Nikola Jokic e Joel Embiid sono i lunghi “veri” migliori dell’NBA contemporanea. “Mostri” immarcabili, gemelli diversi per caratteristiche fisiche, tecniche e formazione personale e sociale. Ma valgono il confronto, in una lega di guardie e di “small ball”, con i migliori lunghi di sempre della lega? Insomma sono paragonabili a Moses Malone, Olajuwon, Ewing, David Robinson, Shaq, lasciando stare le creature mitologiche Russell e Chamberlain, esponenti di un basket profondamente diverso da quello attuale? I migliori centri del 2022 meritano un posto nella storia al fianco di quelli che l’hanno fatta, sinora?
Scrivo questo pezzo dopo una notte in cui Jokic, l’MVP in carica, ha fatto il bullo con i Los Angeles Clippers, piegati al supplementare grazie alla sua clamorosa tripla doppia da 49 punti, mentre Embiid nel frattempo ne segnava 50, di punti, in appena 27′ contro i malcapitati Orlando Magic. Nel celebrare sui social netowork le imprese dei due colossi mi sono fatto la domanda più naturale, eppure non abbastanza frequente in questi tempi: quei due sono l’evoluzione della specie dei lunghi, oppure sfruttano soltanto una concorrenza modesta, se non mediocre, in una lega dove non si immaginano più i centri come principali terminali offensivi? Provo ad argomentare le possibili risposte.
Il caso pro Jokic
Jokic ha tenuto in linea di galleggiamento i Denver Nuggets quasi da solo, in questa stagione. Quando scrivo i ragazzi di Coach Malone sono 23 vinte e 20 perse di record. Considerate che Jamal Murray, il secondo miglior giocatore della squadra, non ha ancora giocato un minuto in stagione, lungo degente. E Porter Jr, l’alto talento cristallino di franchigia, ha giocato, e male, appena 9 partite, prima di arrendersi all’ennesimo sinistro scricchiolio di quella schiena traditrice. Il serbo non ha battuto ciglio.
Coach Malone su Jokic
“Se non è lui l’MVP, chi mai può esserlo?
Semmai ha abbattuto Markieff Morris nel frattempo, ribadendo che l’etichetta di soft affibbiata spesso ai lunghi europei in NBA è l’ennesima fake news che circola in questo periodo. Non sono tanto i 26 punti, 14 rimbalzi e oltre 7 assist di media a impressionare, è l’onnipotenza tecnica con cui domina la lega, con mezzi fisici limitati, diciamo così. Si potrebbe persino opinare che stia disputando una stagione migliore di quella scorsa, che pure gli è valsa il riconoscimento di miglior giocatore. Perché sta facendo più o meno lo stesso, come cifre, ma con meno di fianco. Molto meno.
Difficile trovare nella storia del gioco un lungo europeo con quelle capacità da passatore. Arvydas Sabonis e Vlade Divac sono i primi paragoni che mi vengono in mente, ma il lituano arrivò in NBA rotto e cotto, potendo mostrare solo a sprazzi il suo talento, e il suo connazionale serbo era pigro e indolente come il primo Jokic, e non efficiente come quello attuale.
E comunque gli unici altri lunghi europei capaci di vincere l’MVP sono stati Dirk Nowitzki e Giannis Antetokounmpo. Il tedesco è stato un martello realizzativo senza eguali dal Vecchio Continente a livello NBA. Un mostro di continuità. Ma si sognava la fantasia offensiva del Joker. E le sue doti da facilitatore. Il fenomeno greco fisicamente è di un altro pianeta, ma a livello di tecnica è al massimo l’amico che regge il moccolo quando sei tu a provarci con la tipa bella e (magari non) impossibile.
Non so se sia stato il matrimonio, e poi la paternità, ma l’efficienza fisica del gigante di Sombor, capace di essere sempre presente, sera dopo sera, è disarmante. Lui c’è, comunque. E’ riuscito a trasformare il suo tallone d’Achille, il limitato atletismo, le carenze fisiche, lui ha un passato da ragazzone sovrappeso, in un valore aggiunto. E’ infrangibile. Non ha bisogno di essere al top atletico per dominare, lo fa grazie ai fondamentali, a una comprensione enciclopedica del gioco.
In attacco sa fare tutto: se lo raddoppi ti punisce con gli scarichi, se gli concedi una tripla può punirti (37% da 3), se gli concedi l’area ti porta a scuola con quelle mosse al rallentatore che pure non c’è verso di neutralizzare. Finte e piede perno, e poi quei polpastrelli morbidi. Poesia. Una dadaista del gioco. Tanto bello quanto anacronistico. O forse bellissimo soprattutto per quello.
Poi la testa. Jokic l’ho raccontato in parte come personaggio in 30su30, il mio libro/ebook, e ammetto che, dopo aver avuto la fortuna di seguire per stagioni intere Tim Duncan e Ginobili, Steph Curry e Jimmy Butler dall’America, da cronista della città delle loro squadre, il rimpianto più grosso è non aver potuto fare lo stesso col Joker. Personaggio intrigante. Guascone, giocoso. A volte sembra sceso da Urano. Lui e la passione per i cavalli da trotto, lui che canta a squarciagola l’inno serbo, lui che ha fatto la gavetta NBA da signor nessuno, scelto solo con la chiamata 41 al Draft del 2014.
Lui che pare un pacioccone, ma che come tutti i buoni quando perde la pazienza, beh, fa paura…Lui che non si lamenta se la squadra non vince, che non chiede la trade se i Nuggets non sono da corsa, che non frequenta strip club o locali del jet set. Che prende rimbalzi come se non ci fosse un domani, altrimenti. Capace di fare l’operaio, se serve, il gregario. Ma che dà il meglio quando pennella pallacanestro, il campo da basket come una gigantesca tavolozza. E lui va a mano libera. Uno spettacolo: capolavori, uno dietro l’altro.
Il caso pro Embiid
I Philadelphia 76ers sono 23-10 di record in stagione, con Joel Embiid disponibile. Per capirci, sono 3 vinte e 8 perse, senza. Ha dominato senza Ben Simmons, che qualcuno (che vive sulla Luna, ma ce ne sono eh) individuava come segreto del suo successo da realizzare. Come innesco cruciale. Ehm, no. Non necessariamente. Era semmai l’africano a far sembrare chissà chi l’australiano, piuttosto. Le cifre di Gioele sono da racconto fantasy di Licia Troisi. Dunque: 28 punti di media, con di contorno quasi 11 rimbalzi, oltre 4 assist e una stoppata e mezza a partita. Un uomo in mezzo ai bambini, Gulliver a Lilliput.
Coach Rivers su embiid
Joel è un po’ Olajuwon e un po’ Garnett, in più può segnare da 3 punti
Embiid in attacco è immarcabile. Può dominare sotto canestro, ha mosse da ballerino tipo Hakeem spalle e fronte a canestro, può dominare di prepotenza atletica al ferro, sa essere implacabile dalla media e dalla lunga distanza. Non ha le capacità da passatore di Jokic. Ma chi le ha? – Per dirla alla Coach Malone -. Gioele ha un vantaggio su Jokic: difensivamente è un mostro. Da stoppatore può mettere il coperchio al canestro. Va forte a rimbalzo, pulisce i vetri che nemmeno il signor Smith, l’americano medio, l’auto la domenica. Può “cambiare” senza farsi troppo male sui giocatori di perimetro. Può diventare un incubo per chiunque quando ha la concentrazione e la voglia per applicarsi dentro la partita o di partita in partita, con continuità.
La testa, poi. Come nel caso di Jokic, mi è capitato di parlare con lui da reporter sia di persona che via Zoom. Divertente, spontaneo, selvaggio. Un bel personaggio. Per nulla stupido, sia chiaro. Semplice, ma per nulla stupido. Un ragazzone spiritoso e divertito, che sta maturando, che sta studiando da leader. Alla scuola della vita, con gli alti e bassi che ti temprano, e fanno male più dei suoi tanti, troppi infortuni. Embiid può essere l’uomo franchigia di una squadra vincente, non solo il miglior talento della squadra.
Il caso contro Joker e The Process
Non hanno ancora mai vinto, in NBA. Non ci sono neanche andati vicino, per dirla tutta. Mai giocato le Finals. Per brillare in America, in una società in cui conta solo arrivare primi, dove il secondo è il primo dei perdenti, a torto o ragione, devi poter esibire l’argenteria. Anelli, nel caso NBA. Il simbolo dei campioni. Eppure sono “compagni di classe” entrambi scelti al benedetto (come lunghi) Draft del 2014: Gioele con la scelta numero 3. L’africano è alla sesta stagione, perché le prime le ha saltate per infortunio, il serbo alla settima, ma non c’è traccia di crisi del settimo anno…Però di successi di squadra neanche l’ombra.
Ne hanno di attenuanti eh. Embiid ha fatto parte del Processo, quella ridicola e populista favoletta raccontata con una faccia tosta rimarchevole da Sam Hinkie, allora primo dirigente dei 76ers, secondo la quale bisognava perdere sistematicamente per vincere, un giorno. Perché così dicevano i (suoi) numeri, quelli che dava, probabilmente, prima di essere finalmente licenziato per conclamata incompetenza cestistica. Jokic è stato “portaborracce” (letterale, visto coi miei occhi e raccontato allora) di Danilo Gallinari da ragazzo di bottega ai Nuggets, da improbabile compagno di reparto, sotto canestro, di Nurkic, altro lungo slavo dal talento offensivo smisurato. Poi gli è stata costruita la franchigia attorno in Colorado, e ci stanno ancora lavorando, con i lavori in corso dovuti agli infortuni delle altre stelle del firmamento, quelle che dovrebbero brillare sopra le montagne rocciose. Nella città dell’amore fraterno, nel frattempo, le bizze di Simmons, un bebè di 211 cm e, se l’arroganza fosse pagata al peso, dal valore di un emirato arabo, hanno fatto perdere la pazienza a tutti. Gli hanno messo le valigie sul pianerottolo e gli hanno detto di prendersi i suoi tempi e non sbattere la porta, quando se ne va.
Come carenze eclatanti, ne hanno una per parte. Jokic è un difensore decente, non di più. Nel senso che può essere esposto, se puntato sistematicamente dal pick&roll e forzato a difendere sul perimetro, magari un esterno. Diventa un trapezista che si esibisce senza materasso sotto, in caso di caduta. Embiid è fragile come un meraviglioso cristallo. Non ha mai giocato più di 64 partite in una stagione regolare (il formato standard è di 82), ai playoff fatica ad essere al meglio di partita in partita e di serie in serie. Anche se ha dimostrato di volere e sapere giocare da infortunato. Il cuore e gli attributi li condivide col Joker, che rappresenta fedelmente l’orgoglio di un popolo fiero e ribelle.
La concorrenza poi li aiuta. Questo è vero, innegabile. Non ci sono i rivali di una volta. Ewing doveva vedersela con Mutombo, con Mourning, erano tutti scuola Georgetown: un tempo i lunghi li allenavano sin dall’università, anche in attacco, oltre le schiacciate al ferro, le difese sul perimetro e le omologazioni da 3 punti. Embiid non dovrà mai essere Curry, come tipologia di attaccante. Perché dovrebbe, con quel corpo, potendo sfruttare quel valore aggiunto? Oggi Jokic ed Embiid sbaragliano il campo anche perché si trovano di fronte onesti mestieranti, operai specializzati, giocatori di ruolo, come 5 “nemici”. Con tutto il rispetto per gli Zubac o i Bamba della situazione.
Jokic ed Embiid non sono stati inseriti tra i primi 75 giocatori NBA di ogni epoca. Sono stati preferiti loro due lunghi “sui generis” contemporanei, Antetokoumpo e Anthony Davis. Insomma, non godono ancora del credito “da strada” di chi il titolo lo ha già vinto.
Il verdetto: insufficienza di prove
Troppo presto per dire se i lunghi del futuro si paragoneranno a Jokic ed Embiid. Se quei due sapranno diventare il termine di paragone, di comparazione. I miti che possono stare nella conversazioni con quelli della storia antica NBA. Solo a fine carriera sapremo tutto. Certo la gloria dovrà passare dai successi di squadra, la pallacanestro non è il tennis. Non giochi da solo. Dovranno affinare le doti da leader, loro che sono capo-branco più con l’esempio che con le parole.
Ma i presupposti per diventare “immortali” del gioco ci sono tutti. E di una cosa si deve già dare loro atto: si battono senza pensare a soldi e onori, sul parquet. “onorate gli scudi, spartani” era il grido in “300”, alle Termopili. Ecco, stanno entrambi lottando per la giusta causa, oltre le possibilità di vittoria, per ora più martiri che conquistatori, per colpe altrui. Ma non se ne lamentano. E non arretrano di un centimetro. E anche soltanto per questo, meritano gloria eterna.