Ce l’ho, mi manca. La compilazione della lista dei 75 migliori giocatori NBA per l’anniversario della lega ha risvegliato l’animo bambino che c’è in noi. Siamo tornati all’album delle figurine, noi “grandicelli”. Mentre i ragazzi hanno sfruculiato, più tecnologici, i loro fogli Excel per verificare analogie e discrepanze. Insomma, gettiamo la mascherina: ognuno ha provato a buttare giù la sua lista per vedere l’effetto che fa…Ed è scattata la caccia all’intruso da depennare per far posto al pupillo snobbato. Natura umana…
CRITERI E OSTACOLI
Non è facile selezionare i 75 più grandi nella storia del gioco. Perché ogni eroe sportivo lo è stato del suo tempo. Con le sue regole del gioco, col suo sistema di allenamenti, specchio di cultura e società del proprio momento. L’America è cambiata, negli anni, così come lo sport, veicolato sempre più verso il concetto di spettacolo, di macchina da soldi.
Ecco, il marketing è elemento essenziale di questa selezione. Chiaro che l’NBA ha un’utenza giovane: ai ragazzi “impallinati” che la seguono giorno e notte dal New York all’Idaho, dal Sudafrica alla Cina, dalla Russia all’Italia sono dati in pasto nomi forse discutibili in assoluto, ma contemporanei, dunque facilmente riconoscibili dall’ultima generazione di appassionati che fatica a inquadrare il livello di un Larry Bird, figurarsi di un Russell o un Cousy dei tempi pionieristici della lega.
I votanti poi erano principalmente statunitensi: giocatori odierni o del passato, allenatori e dirigenti, giornalisti sportivi. Si spiega così il nazionalismo esasperato ed esasperante delle selezioni che hanno penalizzato in modo palese le glorie internazionali.
I criteri: difficile trovarne di oggettivi e universali. Personalmente, nell’assemblare i miei Magnifici 75 ho tenuto conto del talento, dei riconoscimenti individuali, delle vittorie di squadra, della longevità agonistica, dell’impatto carismatico e di brand sulla lega, della capacità dei campioni selezionati di migliorare dentro e fuori dal campo i compagni di squadra. Poi è chiaro che sarà sempre impossibile mettere d’accordo tutti…De gustibus…
GLI SNOBBATI
Anzitutto partiamo da questo concetto: per inserire chi è rimasto (male) fuori andrebbe tolto un nome illustre. Complicato. Se partite da questo assunto vedrete che i vostri rimpianti si assottiglieranno…Però, ecco, i vari Manu Ginobili, Tony Parker, Pau Gasol, Dikembe Mutombo, Alonzo Mourning, Dwight Howard, Adrian Dantley, Grant Hill, Vince Carter, Tracy McGrady, Bernard King, Jim Pollard, Nikola Jokic più Alex English e Klay Thompson, che non hanno nascosto il loro disappunto per essere stati esclusi, hanno tutti più di una ragione per contestare la bocciatura.
I miei personali rimpianti sono Manu e Hill. L’argentino è stato l’epitome del giocatore vincente, straordinario leader di uomini e genio cestistico. Ha esibito una pallacanestro originale, non omologata, determinante su entrambe le metà campo, cosa che non si può dire di tutti i candidati. Ha contrassegnato l’epopea Spurs, rappresentata nella classifica solo da Duncan, con anche Parker tenuto fuori. Un po’ pochino per una dinastia così grande. Ginobili a livello internazionale, con l’Argentina, ha ribadito la sua grandezza pure da primo violino, non solo da Robin di Batman Timmy. Il Sudamerica ha abbracciato l’NBA anche e soprattutto grazie a lui. Per me andava messo dentro di “diritto”.
Grant Hill è stato un giocatore fantastico. L’NBA cercava l’erede di Jordan, allora, e lui si proponeva come candidato forte. Poi gli infortuni hanno deragliato in parte una comunque sontuosa carriera. Il fatto che abbia in ogni caso giocato per 20 anni, dal 1994 al 2013, dimostra la dedizione di un campione che era precursore del campione moderno senza ruolo. Completo. Intelligente. Leader senza urla isteriche a favore di telecamera…Non è riuscito a vincere con Pistons, Magic, Suns e Clippers, ma meritava comunque maggiore riconoscenza.
GLI INTRUSI
In assoluto non ce ne sono. Non c’è mezzo giocatore che non sia o sia stato grande, sia ben chiaro. Ma ci sono giocatori che sono stati meno grandi di altri, forse. Perché non hanno ancora un body of work completo di carriera, o perché monodimensionali, o fenomeni di corredo a stelle ultra brillanti.
Credo che Damian Lillard e Anthony Davis, pur talenti per i quali stravedo, non meritassero ancora questo onore. Avranno tempo per guadagnarselo “postumo”, inteso come lista già pubblicata. Dame non ha neanche mai giocato le Finals e in difesa fatica da matti, da sempre. Davis ha mostrato fragilità fisiche e psicologiche, più adatto a un ruolo di secondo violino mentalmente, più che tecnicamente, lui ha da quel punto di vista ha superpoteri da libro fantasy…
Poi ve lo dico, l’ho argomentato ancora più dettagliatamente in Milkshake, nell’uno contro uno dell’ultima puntata, e so che non sarete d’accordo in molti, ma io avrei tenuto fuori Dennis Rodman. Il Verme fenomenale difensore e rimbalzista dei Bad Boys di Detroit e dei Chicago Bulls del “Be like Mike” è stato talento decisivo sul parquet e personaggio iconico, più che altro per la vita sregolata, fuori. Se l’è goduta, buon per lui. Ma per me rappresenta l’epitome del giocatore di ruolo di lusso. Il gregario che in un determinato sistema vincente “sposta”, ma altrove cambierebbe pochissimo al contesto circostante.
Quello che è oggi, un’incollatura sotto, è Draymond Green per i Warriors. E credo invece che tra i primi 75 di sempre debbano stare le stelle che brillano di luce soprattutto propria, non soprattutto riflessa. Ma pure così ho liberato solo tre posti…Ce l’ho, mi manca…è un gioco più difficile da far “tornare” che allineare le facce colorate del cubo di Rubik…