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Gallinari è tornato al meglio
Kyrie domina, Ayton delude

Andrea Bandiziol by Andrea Bandiziol
22 Marzo, 2021
Reading Time: 14 mins read
0
7 e mezzo NBA

Copertina a cura di Fra Villa / Getty Images

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È arrivata la primavera e le posizioni in classifica si stanno definendo. A mescolare le carte in tavola ci stanno pensando gli infortuni, che solo nelle ultime due settimane hanno messo a sedere due dei tre protagonisti principali alla corsa MVP, LeBron ed Embiid. È possibile che si venga a creare un vuoto di potere non previsto fino a qualche settimana fa? Ed in tal caso, chi ne potrebbe approfittare? Questo è il filo conduttore di questa parte di stagione, insieme all’emergere di giovani che trovano minuti in franchigie che ormai hanno poco da chiedere all’annata. Partiamo.

 

Stiamo dando per scontato Kyrie Irving

Quando giochi con Durant e Harden, è normale che il tuo nome venga di solito elencato dopo quei due. Credo sia dunque fisiologico che tutti quanti, collettivamente, ci stiamo dimenticando di quanto speciale sia Kyrie Irving. Forse in questo processo siamo stati “aiutati” anche da alcuni suoi comportamenti particolari o da alcune sue esternazioni, ma questo non dovrebbe distogliere l’attenzione dal fatto che Kyrie sia senza ombra di dubbio uno dei migliori scorer della sua generazione.

Potete apprezzare o disprezzare il personaggio, ma Kyrie rimane uno dei giocatori più divertenti da guardare della lega. Molto probabilmente la miglior tecnica di palleggio della storia, e anche come controllo del corpo al ferro siamo tra i migliori di sempre. pic.twitter.com/n99F71yrzC

— Andrea Bandiziol (@AndBand7) March 16, 2021

L’acquisizione di Harden è stata fondamentale per un aspetto: garantire ai Nets un limite inferiore molto alto in termini di produzione offensiva. Si possono dire tante cose di Harden, che il suo stile di gioco non sia adatto alla postseason, che tenda ad accentrare molto la manovra, tutto vero, ma al tempo stesso Harden garantisce la presenza in campo per 80 gare all’anno e, volontà di cambiare aria a parte, è un attira-raddoppi da 30+10 che cammina, un attacco formato da una sola persona.

Questo lascia a Kyrie la libertà di fare quel che sa fare meglio: scegliere il momento giusto per attaccare la partita, segnare ad onde, entrare ed uscire di scena come e quando meglio crede. Kyrie è diventato il giocatore che più nella lega ti fa domandare a fine gara “Come, ha segnato 30 punti? E quando?“, ed è probabilmente uno degli attaccanti il cui rendimento meno dipende dal difensore che ha di fronte. Se Kyrie è in serata, anche un duo come Smart-Robert Williams può farci poco:

 

In stagione Kyrie sta girando a 28 punti a gara con percentuali molto vicine al famoso club dei 50/40/90 (53/41/88 rispettivamente le percentuali dal campo, da tre e ai liberi). Nelle ultime due settimane, Kyrie ha scalato un’altra marcia: per lui 34 punti a notte, 61/43/87. Dopo l’esperienza alle dipendenze di LeBron e la deludente parentesi a Boston, Kyrie sembra aver nuovamente trovato la sua dimensione, una in cui può quasi evitare di creare tiri per i compagni, perché con quella potenza da fuoco i tiri per gli altri si creano quasi da soli.

Certo, rimangono sempre le distrazioni difensive che probabilmente non scompariranno magicamente ai playoff, ma la scommessa di Nash&co è chiara: vincere con l’attacco. Anche quando Kyrie è concentrato da quel lato del campo, spesso gli avversari riescono a sfruttare a loro vantaggio la sua piccola taglia.

 

Ormai è evidente: Kyrie non sarà mai Batman, sarà sempre il Robin di qualcun’altro. Ora di Batman Irving ne ha ben due, e verosimilmente il prodotto di Duke sarà troppo per qualunque terza miglior opzione difensiva in NBA. Non stupitevi se Kyrie dovesse finire per essere il miglior realizzatore di Brooklyn ai playoff, e perché no, forse anche dell’intera lega.

 

È tornato Gallinari

Non faccio parte di quella schiera di tifosi italiani che pensa che la colpa del pessimo inizio di stagione di Gallinari dipendesse unicamente da Coach Pierce. Pierce e l’atmosfera tesa nello spogliatoio riportata da diversi beat writer di certo non hanno aiutato nel processo di integrazione di Danilo nella nuova franchigia, ma era abbastanza evidente che Gallo fosse lontano dal suo migliore stato di forma, a causa di infortuni che lo hanno tenuto lontano dal campo per le prime quattordici gare della stagione.

Quello che conta però è che ora Gallinari è forse il giocatore più importante nella striscia di otto vittorie consecutive degli Atlanta Hawks guidati da Coach McMillan.

 

Gallo parte dalla panchina come da accordi presi con la franchigia al momento della firma del contratto, come ribadito recentemente anche da McMillan in conferenza stampa. Ma è ormai chiaro che nel basket di oggi poco importa chi è in campo all’inizio della gara, quanto piuttosto chi le gare le chiude, e nei momenti importanti Gallo funge spesso da stretch 4 a fianco di Young, Huerter, Bogdanović e Collins.

Nei finali di gara tirati, McMillan sembra alternare l’italiano e Capela come compagno di reparto di Collins, sebbene Gallo abbia spesso la meglio perché consente di poter utilizzare il lungo da Wake Forest come rollante nel pick&roll, situazione in cui eccelle. Inoltre, qualora la situazione lo consenta, la ritrovata forma fisica sta permettendo a Danilo di mettere di più palla a terra ed attaccare il proprio uomo dal palleggio.

 

Nelle ultime due settimane, Gallinari ha girato a più di 18 punti a notte tirando con percentuali astronomiche (53/50/95). Gli Hawks sono ora quarti ad Est a pari merito con gli Heat e sembrano essere tra le squadre con più probabilità di acciuffare uno degli ultimi tre posti senza passare dal torneo di play-in, e Gallinari è una delle ragioni di questo cambio di rotta.

Qualcosa di nuovo a Minnesota

Premessa fondamentale: tutto quello che leggerete qua sotto va sempre interpretato tenendo bene a mente che Minnesota è una delle franchigie peggiori della lega in questo momento. Detto questo, qualcosa sembra essere cambiato con l’avvento di Chris Finch sulla panchina dei Timberwolves: finalmente, Karl-Anthony Towns è al centro dell’attacco ed Edwards viene inserito in qualcosa di più complesso di “tieni, questa è la palla, quello è il canestro, vai”.

Credo che sia funzionale allo sviluppo di giocatori come Edwards lasciare che imparino dai propri errori, e questo implica molti minuti con la palla in mano. Al tempo stesso, un talento atletico come quello di Edwards si presta molto bene ad essere sfruttato con tagli e movimenti lontano dalla palla: se Ant riesce a prendere anche solo un minimo vantaggio sul proprio uomo, difficilmente si può pensare di impedirgli di andare a canestro senza commettere fallo.

Non è un caso che, non appena Finch ha iniziato ad usare Edwards come tagliante, il numero dei suoi tiri liberi sia radicalmente aumentato (quasi 6 a notte nelle ultime due settimane), in una maniera quasi controintuitiva. Ma togliere responsabilità offensive dalle spalle di Edwards ne ha fatto aumentare la produzione dallo stesso lato, ed insieme alla produzione anche l’efficacia.

 

Chi al contrario ha visto aumentare i tocchi è invece Karl-Anthony Towns. Le uniche due stagioni di KAT con medie realizzative inferiori a quelle di questa stagione sono quella da rookie e quella giocata al fianco di Butler, ma entrambe con percentuali dal campo migliori della corrente. Finalmente, nelle ultime due settimane KAT è tornato su cifre più consone al suo talento: 26+8+5, tirando col 56% dal campo. Non solo, le attenzioni che un talento offensivo come KAT attira rendono la vita di chi gli sta attorno molto più facile, anche perché il lungo da Kentucky ha più volte dimostrato di saper trovare i compagni smarcati.

 

C’è tanto, tantissimo da fare in quel di Minnesota. Ma ristabilire le gerarchie, mettere al centro del progetto il proprio uomo franchigia e avere un approccio più “paideutico” col rookie più pregiato è un buon inizio.

 

Ayton, anello debole

Le due gare contro Minnesota sono state la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma i limiti di Ayton, soprattutto dal punto di vista della concentrazione e della tenuta in campo, sono stati in bella mostra per tutto il mese di marzo. Che il tassello da migliorare per poter puntare ad un titolo, o quantomeno provarci, sia quello del centro è ormai chiaro; Ayton ha tutte le caratteristiche per poter essere il 5 di cui i Suns hanno bisogno, ma allo stesso tempo per ora sembra avere anche le fattezze del loro principale limite quando arriveranno i playoff.

Il problema tattico maggiore, per ora, è l’incapacità di Ayton di alternare nella stessa gara difesa drop, in cui cioè il lungo “aspetta” l’avversario retrocedendo verso canestro, e cambi sul perimetro. Spesso nella stessa azione accetta un cambio sul portatore di palla, solo per poi “rivolere indietro” il lungo anche in situazioni in cui questa non è l’opzione migliore, e soprattutto si dimentica completamente del suo nuovo assegnamento, come fa con Edwards in questo caso. Notare come si disinteressi di Edwards non appena questi si libera del pallone:

 

Che l’anello debole della catena sia Ayton comincia ad essere chiaro agli avversari. Non è un caso che, contro squadre che hanno buoni tiratori dal palleggio come Charlotte e che quindi rendono quasi obbligatorio cambiare sul perimetro, Ayton sia stato cercato con insistenza dagli avversari, sebbene abbia tutte le carte in regola per essere un lungo in grado di dire la sua in queste situazioni.

La conseguenza naturale è la riduzione del minutaggio (meno di 25 minuti a gara nelle ultime due settimane), e la panchina nei finali di gara tirati: sia Crowder che Šarić sono stati provati da 5 più e più volte in questi frangenti, facendo diventare la presenza di Ayton nei finali di gara quasi una rarità.

 

Ayton ha il proprio futuro nelle sue stesse mani: se riesce a trovare convinzione e continuità, sarà il 5 di cui i Suns hanno bisogno, e la dirigenza sarà ben lieta di offrirgli una lauta estensione quest’estate. Nel caso contrario, il lungo da Arizona è il principale candidato ad essere inserito in una trade per portare a Phoenix l’ultimo pezzo per completare il puzzle di Coach Monty Williams.

 

Il ritorno di Kevin Porter Jr

I problemi di Kevin Porter Jr lontani dal rettangolo di gioco sono purtroppo noti a tutti: carattere fumantino in spogliatoio, difficile da inquadrare in logiche di squadra, profilo psicologico che ha fortemente spaventato gli scout NBA in fase di draft. Infatti KPJ ha messo in mostra flash di grande talento a USC: non si trova tutti i giorni un giocatore perimetrale con quelle doti atletiche, quella naturalezza nel crearsi un tiro e la sua capacità di battere l’uomo dal palleggio.

Nonostante un talento da prime dieci scelte, Porter Jr è sceso fino alla 30, selezionato dai Cavs che lo hanno poi all’inizio di questa stagione prontamente scaricato letteralmente per nulla a Houston. Porter Jr è andato nella bolla della G-League ed è stato uno dei migliori giocatori del torneo, poi è tornato alla casa madre, dove ad aspettarlo c’erano molte libertà come portatore di palla e come scorer.

 

KPJ ha la capacità di far sembrare facili cose che facili non sono per niente, e non esiste tiro che non abbia segnato o provato almeno una volta: sebbene tiri come quello della clip seguente facciano strabuzzare gli occhi quando entrano, spesso l’esito è diverso, ed infatti sono le percentuali a risentirne (17 punti a notte, ma solo il 42% dal campo).

 

In queste prime gare di ritorno dalla lunga assenza, Porter Jr ha messo in mostra anche il suo talento nel guidare l’attacco in transizione, parte del gioco in cui il ruolo di playmaker gli riesce più facile rispetto all’attacco a metà campo:

 

Houston ha un’arma in più nel recupero di Kevin Porter Jr: John Lucas, che gestisce una centro di disintossicazione per giocatori di basket, famoso per la sua abilità nel gestire “casi delicati”. Mi auguro vivamente che KPJ sia il prossimo nome che Lucas possa aggiungere alla sua lista, perché ne guadagnerebbe la lega intera.

 

Immanuel Quickley è finalmente in quintetto

Ci sono voluti due infortuni, quelli di Rose e Payton, per vedere Immanuel Quickley finalmente in quintetto. Ne ho parlato nella puntata di The ANDone Podcast sui premi di metà stagione: credo che la prima metà di stagione di Quickley non abbia avuto il riconoscimento che avrebbe meritato. Il prodotto di Kentucky ha messo in mostra una capacità notevole di creare separazione per il tiro nonostante non sia il più atletico dei rookie, ma soprattutto è diventato nel giro di qualche mese il floater più famoso delle lega.

Prima gara in quintetto per Quickley, che non delude: 21 punti (ok, con 19 tiri) e lampi di playmaking dal p&r. Sta velocemente scalando la mia personale classifica “non prendere quel tiro…ok, l’hai messo”, ha un gran mix di tocco e controllo della parte alta del corpo. pic.twitter.com/o3pfst9fy9

— Andrea Bandiziol (@AndBand7) March 16, 2021

Una parte del proprio gioco che Quickley ha avuto poco modo di mettere in mostra, anche perché l’attacco dei Knicks ruota attorno a Julius Randle anche per quel che riguarda la circolazione di palla, è la sua capacità di trovare i compagni in uscita dal pick&roll. Nella clip seguente, Quickley sfrutta bene il doppio blocco portato da Randle e Gibson per lasciarsi Milton alle spalle e metterlo “in gabbia”, per poi fintare il floater, attirare Howard verso di sé e servire Gibson per i due punti facili.

 

Quickley è un talento ancora acerbo, ma sembra avere la giusta mentalità per crescere: non ha paura di prendere tiri pesanti, cerca di nascondere le sue evidenti debolezze difensive con l’impegno e sa adattarsi a diversi ruoli in campo, sia che gli venga richiesto di segnare che di facilitare il lavoro altrui. I Knicks potrebbero aver trovato una piccola gemma alla scelta 26 dell’ultimo draft.

 

Tobias Harris, il miglior non-All-Star di sempre

Con Mike Conley convocato all’All-Star Game buona parte degli analisti in tutto il mondo sente di aver perso una certezza nella propria vita, quella che il playmaker ex Grizzlies fosse il migliore giocatore di sempre a non aver mai fatto un All-Star Game. Credo si possa già affermare senza troppi dubbi che sulla piazza ci sia un degno sostituto, pagato profumatamente e spesso additato nel passato di essere un peso per la sua squadra, mentre quest’anno è stato forse la migliore soluzione nei finali punto a punto: Tobias Harris.

Con Embiid infortunato, Harris è diventato la prima opzione offensiva dei 76ers, e fino ad ora ha sfruttato al meglio la sua occasione: nelle ultime due settimane Harris ha girato a 23 punti di media, conducendo i 76ers ad un record di 4-1 in cinque gare senza il centro da Kansas.

 

Harris è un mismatch vivente per le difese avversarie: troppo veloce per quasi tutti i 4 che trova sulla sua strada e troppo grosso per i 3, Tobias sa sia mettere palla a terra che sfruttare i suoi centimetri in post. Un altro tratto importante del gioco di Harris è che migliora di anno in anno: questa stagione sta segnando la sua migliore in termini di efficienza, e nelle ultime gare il maggiore utilizzo palla in mano ha messo anche in mostra le sue capacità di creare occasioni per i compagni; niente di speciale, ma qualche anno fa Harris avrebbe probabilmente preso un complicato tiro spalle a canestro, mentre oggi sfrutta la sua stazza per vedere sopra i difensori e trovare i compagni liberi.

 

Harris è estremamente importante per i piani di Doc Rivers: quando servono due punti contro una difesa arcigna rappresenta, se non l’opzione migliore, il miglior compromesso tra facilità di chiamare un gioco per lui e probabilità di successo. Le fortune dei Sixers ai playoff passano anche da Tobias Harris, e finora gli indizi lasciano ben sperare.

 

Il mezzo: Jordan Poole

Jordan Poole è arrivato nella lega con la nomea di realizzatore, ma di suoi canestri in NBA se ne sono visti ben pochi. Eppure il giocatore da Michigan sembra aver trovato una buona dose di autostima nella bolla G League, ed è tornato nella baia in grande spolvero: nelle ultime due settimane, Poole sta collezionando 20 punti a notte, tirando con percentuali (53/43/88) degne del suo compagno di backcourt più famoso, l’assenza del quale ha fatto sì che Poole partisse in quintetto nelle ultime gare.

 

Come molti dei giovani che mostrano miglioramenti, Poole sembra aver imparato a leggere il ritmo della gara, accelerando e rallentando coi tempi giusti. La capacità di segnare e la facilità di tirare dal palleggio non gli sono mai mancate, ma ora gli avversari sembrano rispettarlo a sufficienza da attirare raddoppi, e quindi sta diventando più facile per lui fare le giuste decisioni in uscita dal pick&roll: nella clip seguente, Poole fa perdere le sue tracce ad Allen, poi attira l’aiuto di Valančiūnas e serve lo schiacciato per Looney.

 

Qualora Poole trovasse spazio significativo a Golden State nei prossimi due anni, vorrebbe dire che qualcosa è andato storto nella baia, perché difficilmente Kerr si priverà di uno tra Curry e Thompson. Ma dietro gli Splash Brothers sembra esserci ancora bagarre per accaparrarsi il posto da prima guardia in uscita dalla panchina, e Poole sta prepotentemente avanzando la sua candidatura.

Tags: deandre aytonImmanuel QuickleyJordan PooleKevin Porter JrKyrie IrvingMinnesotaTobias Harris
Andrea Bandiziol

Andrea Bandiziol

Andrea, 30 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di The Shot vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora. Non è molto contento quando gli si ricorda che i Suns ora avrebbero potuto avere Doncic a roster.

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