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Aldridge saluta San Antonio
Portland opzione romantica

Davide Torelli by Davide Torelli
19 Marzo, 2021
Reading Time: 10 mins read
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Aldridge trade

Copertina a cura di Edoardo Celli / Getty Images

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L’accordo raggiunto tra LaMarcus Aldridge ed i San Antonio Spurs, rispetto alla conclusione consensuale di un matrimonio giunto al sesto anno, non è più una notizia ormai. È un tema da analizzare, a maggior ragione con l’avvicinarsi della trade deadline. Anche perché il lungo nativo di Dallas non è necessariamente un giocatore finito, anzi tutt’altro.

In una lega dove si guarda con interesse al “fenomeno” dei buyout, soprattutto per quanto concerne le ambizioni delle cosiddette contender, un giocatore con quelle caratteristiche potrebbe rivelarsi profondamente utile. Magari con una veste diversa rispetto al ruolo recitato per gli Spurs soprattutto nei primi anni di approdo, quando lo si vedeva come erede naturale di Tim Duncan.

In realtà le caratteristiche di LaMarcus si sono dimostrate piuttosto differenti, rendendo impietoso il paragone con quello che è il giocatore più importante della franchigia, per qualità, longevità e anelli vinti. Perno – insieme a coach Popovich – di un’autentica dinastia stilistica.

Non è facile, quando arrivi in una realtà protagonista di oltre un decennio NBA, soddisfare le aspettative con echi tanto impegnativi. E se poi a tutto questo aggiungi gli anni che passano, infortuni ed acciacchi più o meno fastidiosi, è normale pensarlo lontano (e senza rimorso) da un progetto che sta puntando ufficialmente sul ringiovanimento del roster. Oltretutto con risultati sorprendenti, ad oggi.

Eppure, in buona parte delle gare in cui è sceso in campo anche nella prima parte di stagione, Aldridge ha ampiamente dimostrato di poter dire la sua, di essere ancora lontano da un declino irreversibile della carriera. Semplicemente potrebbe aver senso ridiscuterne il ruolo all’interno di un organico, limitando il minutaggio e permettendogli di concentrare i suo i sforzi in porzioni di gara circoscritte, senza chiedergli di condurre la squadra.

Anche perché, se un talento offensivo del genere funziona bene quando ha una serie di palloni da gestire, è contemporaneamente vero che può rappresentare un limite in difesa, sia per mobilità che per attitudine. Non troppo incline a difendere il ferro e battagliare nel pitturato.

Insomma, in attesa di capire se sarà scambiato o “lasciato libero” da San Antonio, c’è da domandarsi a chi può servire e cosa può ancora dare un giocatore come LaMarcus Aldridge. Che per la prima volta si affaccia sul mercato senza essere considerato un “top player” da grosse cifre, ma non per questo inutile per chi punta ad andar avanti in postseason. Non fosse altro che per l’esperienza maturata nelle 14 stagioni da professionista vissute prima di questa.

 

Il riconoscimento degli Spurs

Abbiamo accennato alle aspettative con cui Aldridge scelse gli Spurs nell’estate 2015, per certi versi inaspettato se valutiamo la nomea che il prodotto di University of Texas a Austin si era costruito con i Blazers. Sostanzialmente 20 punti e 8 rimbalzi di media in 9 stagioni, con possessi e tiri a disposizione degni di un go to guy conclamato.

Figura che è stato a lungo con la squadra che è cambiata attorno a lui, a partire dall’esordio a fianco dello sfortunato Brandon Roy per chiudere come vertice di un triangolo composto con Lillard e McCollum (seppur la terza opzione offensiva di squadra fosse Wesley Matthews). Raggiungendo come apice le semifinali di Conference del 2014, eliminato proprio dagli Spurs di Duncan e Tony Parker destinati poi al titolo. Facendo registrare la miglior stagione personale in carriera, oltretutto.

Dicevamo, protagonista di una scelta rivoluzionaria principalmente perché nessuno del suo calibro – prima di lui – aveva mai valutato San Antonio come approdo potenziale in free agency. Oltretutto sulla carta non proprio adatto al sistema di gioco di Popovich, basato su una struttura democratica dei possessi e sulla circolazione di palla.

Considerando quanto il LaMarcus dei Blazers amasse gestire la soluzione personale in post, fermando il flusso offensivo e quindi facendo valere le sue immense capacità in attacco, l’adattamento del già 5 volte All-Star non era proprio scontato. Senza ombra di dubbio, per far funzionare la cosa entrambe le parti dovevano andare l’una verso l’altra, con Coach Pop destinato a cambiare parte dei suoi giochi per sfruttarne la soffice mano.

Di contro, se quella personalità taciturna ed enigmatica poteva ben inserirsi nella squadra che era a tutti gli effetti di un nascente Kawhi Leonard, il numero di palloni pretesi ed un atteggiamento a tratti passivo rispetto alle sorti dei suoi, non hanno mai completamente convinto gli Spurs. Nonostante i numeri portati in cascina, Aldridge non possiede l’indole del leader e tanto meno quella del trascinatore: un ruolo che sarebbe servito soprattutto nell’edizione dei playoff del 2017.
Quella in cui San Antonio si presentava come autentica alternativa allo strapotere dei Warriors.

La storia la ricordiamo tutti, con una incredibile gara 1 alla Oracle Arena macchiata dal famoso fallo di Zaza Pachulia su Kawhi Leonard, messo traumaticamente fuori gioco. Evento fortuito o meno, ma destinato a cambiare le sorti della partita e della serie.

Dopo i 28 punti punti nella sfida d’esordio, Aldridge gioca una gara 2 disastrosa chiudendo con 4 su 11 dal campo ed appena 8 punti a referto, con Golden State che dilaga per un più 36 finale. Tornati in Texas le cose non vanno meglio, con la concretizzazione di un “cappotto” che grida vendetta per le circostanze, ma la sensazione che l’ex punta di diamante dei Blazers non fosse neanche vicina alle aspettative riposte.

Ed in effetti la possibilità che le strade di LaMarcus e Popovich si dividessero divenne abbastanza quotata, sopita probabilmente nell’accettare la ricostruzione imminente, con le grane riguardanti Leonard a prendere il sopravvento. Anche perché a parità di valore gli Spurs non avrebbero potuto scambiarlo con nessuno, considerando che un talento simile – con quella stazza e quel rilascio tanto alto quanto efficace – era difficilmente sostituibile con qualcuno sul mercato al tempo.

Il suo impegno negli anni a seguire a fianco di DeRozan, in una situazione talvolta poco stimolante forse anche per il titolato Coach, gli ha sostanzialmente fatto guadagnare quella riconoscenza da parte della franchigia che permette oggi l’accordo consensuale in procinto di compiersi.

L’idea di San Antonio è di lasciare comunque Aldridge libero da ogni vincolo, in caso non si concretizzino trade soddisfacenti sia per la franchigia che per il giocatore: un gesto di enorme rispetto, degno di una dirigenza e di un coaching staff che hanno fatto della correttezza con gli atleti a disposizione un marchio di fabbrica. Un vero e proprio “stile Spurs” da cui LaMarcus appare in fuga, non senza rimpianti, per una storia in cui – nonostante i tentativi – la scintilla reciproca non è mai veramente scoccata.

 

A chi può servire?

Difficile discutere il valore portato da Aldridge per oltre un decennio in NBA, soprattutto rispetto alle soluzioni proposte in attacco, e per quelle doti sviluppate con l’andar avanti della carriera. Che si tratti di un vero e proprio maestro del midrange – spesso ai limiti dell’infallibile con un proverbiale fadeaway jumper – è conosciuto già dai tempi di Portland, e confermato nei cinque anni passati a San Antonio prima di questa stagione. Non per nulla, come dicevamo poc’anzi, prototipo ideale per sostituire Duncan nell’impostazione tattica di Popovich (almeno come attaccante, sia chiaro).

Oltretutto, nella stagione 2019/20 ha ampiamente dimostrato di esser in grado di colpire anche da dietro l’arco, opzionando la soluzione più spesso di quanto avvenuto fino ad allora, e talvolta con ottimi risultati. Un’arma in più da aggiungere al suo arsenale, che partendo dai 19 punti di media in carriera, è chiaramente di tutto rispetto. E che potrebbe offrigli una rinnovata efficienza offensiva, laddove è ben conosciuta la sua tendenza a navigar lontano dalle sportellate sotto canestro.

Quindi, ciò che Aldridge può dare in attacco ad una qualsiasi aspirante contender, non è da mettere in dubbio. Anche riconoscendo l’avanzare inesorabile dell’età e l’aumento degli acciacchi registrati, perché la sua mano è educata. E quel tocco difficilmente si perde.


I problemi per lui sono prevalentemente difensivi, laddove una mobilità limitata non lo rende ideale nei cambi, soprattutto quando deve seguire il diretto avversario sul perimetro.

Quella tendenza ad avventurarsi in raddoppi in area improbabili – oppure a lasciar libero il suo uomo nel pitturato per farsi attrarre dal portatore di palla – lo presentano come giocatore che necessita di “copertura”. Inutilizzabile da lungo difensivo solitario, anche perché inadatto a difendere il ferro con efficacia.

Del resto, se non ama sgomitare sotto canestro per conquistarsi punti in attacco, ancor meno in difesa appare disposto al sacrificio fisico. Giustificato in parte dalle trentacinque primavere sulle spalle, oltre che dal già citato equilibrio fisico precario. Ma per una squadra che conta di far strada in postseason, questo può apparire un limite alla scommessa potenziale. Che deve avvenire, quindi, solo se altri giocatori con peculiarità complementari alle sue, sono già presenti a roster.

Malgrado questo – come già introdotto – di squadre interessate al sette volte All-Star (due volte nominato nel seconda squadra ideale, e tre volte nella terza), ce ne sono a volontà. Anche perché un giocatore simile può davvero offrire un salto di qualità importante, in una situazione per lui ideale. L’immagine dell’azzeccatissima addizione di Marc Gasol a Toronto – a stagione in corso e decisiva per l’anello 2019 – è ancora vivida nella mente di numerosi General Manager in NBA.

 

Dove può andare?

Partiamo dal presupposto che se Aldridge è ufficialmente sul mercato, non sono tantissime le squadre con una trade exception sufficiente per potersi accollare il suo contratto attuale. Escludendo Oklahoma City, New York e Charlotte che non hanno ambizioni da contender, solo Boston e Miami potrebbero provare ad imbastire una trade alla pari. Una soluzione che servirebbe a battere sul tempo le altre squadre alla finestra, in attesa del buyout.

Rispetto agli Heat, si è già sentito parlare di un pacchetto comprendente Meyers Leonard (poi impacchettato altrove), Mo Harkless e Avery Bradley da spedire in Texas. Con lui, Miami aggiungerebbe punti all’interno di una batteria di lunghi ampiamente capace di coprirlo difensivamente, considerando il buon impatto di Achiuwa e la presenza di Bam Adebayo.

Discorso simile per Boston, che a differenza degli antagonisti di Conference ha profondo bisogno di aumentare volume offensivo nel pitturato. O nel caso di Aldridge, anche e soprattutto in allontanamento da quello, magari da accoppiare con Tristan Thompson e Daniel Theis, in alternanza con Robert Williams. Ammesso che uno o più di questi non venga coinvolto in una trade eventuale per lui.

Guardando sempre ad Est – e stavolta in ottica prettamente buyout – sembra che qualsiasi giocatore libero di accasarsi dove vuole sia nel mirino di Brooklyn, che per completare il roster dovrebbe finalmente aggiungere una alternativa concreta ai limiti di DeAndre Jordan.

Partendo da questo però, le caratteristiche di LaMarcus non appaiono sovrapponibili con quelle dell’ex Clippers, e la presenza del neo arrivato Griffin potrebbe effettivamente crear più cortocircuiti che vantaggi. Inoltre, l’infortunio di Embiid per i Sixers inserirebbe anche loro in corsa, soprattutto calcolando che il sostegno di Howard non può che essere limitato all’interno di una singola partita. C’è però il rischio di rompere quell’equilibrio ritrovato con la cessione di Horford, che a Philadelphia vorrebbero tenersi stretto.

Restando invece ad ovest, si è parlato di un interesse da parte di Dallas, ancora incerta se disfarsi o meno di un Porzingis apparso decisamente in ripresa nel post All-Star Game. Anche i Lakers sono alla finestra, considerando quanto Aldridge potrebbe essere speculare ad Anthony Davis per preferenze offensive, per quanto non paragonabile a livello di apporto nell’altra metà campo di gioco.

Diciamo che a livello di lunghi, guardando alla postseason, a Los Angeles resiste qualche dubbio rispetto alla produttività di Harrell e la veneranda età di Gasol. Ma guardando alla batteria a roster, Aldridge appare più un doppione potenziale che altro, e seppur al minimo salariale, non dovrebbe essere la prima scelta desiderabile.

Altro discorso, infine, riguarda Portland. E si tratterebbe di una faccenda principalmente romantica, ma non solo. I problemi fisici di Nurkic – all’interno dell’ennesima stagione falcidiata dagli infortuni – giustificherebbero il “ritorno a casa” di un uomo che ha passato nove anni nella Rip City, nel pieno del suo prime.
Damian Lillard non ha mai fatto mistero di quanto amasse il compagno di squadra, tanto da sottolinearlo spesso in seguito al suo approdo in Texas.
Due personalità strutturalmente distanti, ma ben amalgamabili se partiamo dal fatto che LaMarcus è professionista gentile, capace e contemporaneamente “distante” dagli equilibri di spogliatoio. Il che può non guastare in una gruppo dove Dame è conduttore conclamato, che ha resuscitato Carmelo Anthony e che potrebbe puntare in alto, con il ritorno dell’ex.

Insomma, dovesse trovarsi libero di scegliere il suo approdo, il ritorno alle origini appare piuttosto quotato, seppure eventuali velleità di vincere subito mettano altre squadre in pole position, almeno al momento.

Tags: Lamarcus AldridgePortlandSan AntonioSan Antonio Spurs
Davide Torelli

Davide Torelli

Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.

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