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“Flight #8” LaVine è decollato
I Bulls ancora no

Cosimo Sarti by Cosimo Sarti
16 Marzo, 2021
Reading Time: 7 mins read
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Copertina a cura di Marco D'Amato / Getty Images

Copertina a cura di Marco D'Amato / Getty Images

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Zach LaVine ha sudato una vita intera per arrivare in NBA. Il papà, Paul LaVine, ha dedicato la propria esistenza ad aiutare il figlio a raggiungere il suo obiettivo, sottoponendolo ad allenamenti durissimi, talmente duri che lo stesso Paul si sentiva spesso in dovere di chiedere al figlio se davvero fosse convinto di voler andare avanti con quei ritmi di lavoro infernali. “Certo”, rispondeva Zach alla fine di ogni seduta, e si rimetteva a tirare, sbuffare e sudare per coronare il suo sogno. Una storia già sentita in tutte le salse fino a questo punto, no? Ѐ adesso che arriva il bello. 

Ho sempre creduto in Zach LaVine, anche nel lontano 2018, quando l’opinione più diffusa era che pareggiare l’offerta di Sacramento – 78 milioni in 4 anni – per trattenerlo a Chicago fosse uno sbaglio enorme. Una delle ragioni per cui ero sicuro che Zach fosse l’uomo giusto per riportare i Bulls fuori dalla lottery, è il modo in cui ha speso il suo primo stipendio NBA. I primi dollari che ha ricevuto in cambio di una gioventù passata a sudare agli ordini del papà li ha investiti per poter sudare ancora di più agli ordini del papà; ha comprato una casa ai suoi genitori e nel giardino sul retro ha fatto costruire un campo di allenamento da far invidia a una franchigia NBA. Su qualunque superficie e con qualunque attrezzo possiate immaginare, Zach ha già versato litri di sudore, per poter volare a canestro senza – apparentemente – versarne una goccia in campo.

Casa LaVine dall’alto, mi viene il fiatone solo a guardare ? pic.twitter.com/YFctaeNLBG

— Cosimo Sarti (@cosimo_sarti) March 16, 2021

Ora che ho finito di darmi delle pacche sulla spalla da solo trastullandomi sulla fatica fatta da altri, andiamo a vedere in che modo Zach si è conquistato la fiducia della nuova dirigenza e del coaching staff, che in settimana ha cambiato il quintetto per mettere Zach al centro dei nuovi Bulls.

 

Da “Replicante” a “Uomo-Franchigia”

Jim Boylen ne ha dette di cose che voi umani non potete neanche immaginare, per esempio che Luke Kornet gli ricorda Robert Horry, ma quando ha paragonato Zach Lavine ai replicanti del film Blade Runner non si sbagliava. Zach fa cose in campo che anche in una lega di super-atleti sono concesse solo a lui. Basta un attimo di ritardo e si finisce dritti sul muro di una cameretta, o meglio sullo sfondo di uno smartphone, per restare al passo con i tempi. Oltre ad essere il miglior atleta nel suo ruolo e forse in assoluto, è anche uno dei migliori tiratori in circolazione grazie ad un rilascio fulmineo ad altezze inaccessibili per il diretto marcatore e ad una gittata pressoché illimitata.

Paradossalmente, con tutte queste armi a propria disposizione, Zach non ha mai dovuto imparare davvero a giocare a basket. Non ha mai imparato quali tiri siano buoni, quando andare al ferro, quando passare, perché per uno con i suoi mezzi un tiro fattibile e una via per il canestro arrivano praticamente a comando. Non ha mai imparato a posizionare bene il corpo in difesa e a fare le rotazioni giuste, perché non ne aveva bisogno per stare davanti al suo uomo e quindi nessun coach ha mai insistito più di tanto. Finché non è arrivato in NBA, dove, anche per i replicanti, ci sono delle regole da rispettare; per impararle tutte, complici infortuni e ambienti non ideali, Zach ci ha messo più tempo di quello che ci si aspettava, ma adesso, finalmente, “Flight Eight” è decollato.

La difesa, pur non essendo la specialità della casa, non è più un punto debole che gli avversari possono attaccare, e con i mezzi a disposizione sono ormai di più le volte in cui Zach si produce in un’ottima giocata che quelle in cui si distrae concedendo due punti. In attacco, invece, è stato in grado di migliorare le percentuali a tutti livelli pur mantenendo praticamente inalterata la propria selezione di tiro. Questo perché non decide più cosa fare prima di farlo, ma sta imparando a leggere la difesa e agire di conseguenza, anche se per adesso questo significa qualche palla persa evitabile di troppo. In ogni caso, Coach Donovan e il nuovo front office hanno visto abbastanza: Zach LaVine li ha convinti che è lui l’uomo giusto per rilanciare i Bulls nella corsa ai Playoffs.

Stavolta ho fatto le cose più in grande! Sì, sono più di 20 minuti di #CianceDaChicago, ma con il supporto visivo delle clip a cui ho preventivamente tolto l’audio. Se siete antipatici potete ascoltare solo la prima parte senza clip??‍♂️https://t.co/cWeos6VQIw

— Cosimo Sarti (@cosimo_sarti) January 21, 2021

Solo per cuori forti, venti minuti di chiacchiere su Zach LaVine.

 

Vecchi numeri, nuovo Zach?

I detrattori più accaniti – e gli osservatori meno attenti – potrebbero contraddire quanto scritto sopra portando come prove i disastrosi numeri on/off di Zach, quelli che in sostanza sono evoluzioni del buon vecchio plus/minus che ci aiutano a correlare la presenza in campo di un giocatore con i risultati di squadra. I Bulls accumulano 8 punti di svantaggio ogni 100 possessi quando Zach è in campo, dato intorno al 20esimo percentile, e anche se il -0,7 e -0,8 rispettivamente in DEPM e DBPM lo posizionano un po’ più in alto, intorno al 35esimo percentile, non sono certo cifre lusinghiere. “Defensive Estimated Plus Minus” e “Defensive Box Plus Minus” sono, in parole povere, due statistiche avanzate che ci danno l’idea di quale sia l’impatto difensivo di un giocatore rispetto ad un ipotetico giocatore medio NBA in un altrettanto ipotetico quintetto medio NBA. Il percentile invece ci dice quale percentuale di giocatori ha fatto peggio di quello preso in analisi, per cui più è alto e meglio è, visto che essere nel 100esimo percentile corrisponde a dire che il 100% degli altri giocatori hanno fatto peggio del nostro.

Di fronte a queste cifre e ad un record di squadra migliorato ma comunque perdente, verrebbe da pensare che Zach sia sì diventato più efficiente, rimanendo tuttavia il solito giocatore con tanti punti nelle mani che non è in grado di mettersi al servizio della squadra. Coach Donovan, invece, la pensa in modo diametralmente opposto; è il giovane “supporting cast”, termine di Jordaniana memoria, a non essere all’altezza di questo Zach LaVine in rapida ascesa. Mi perdonerete un’ultima carrellata di numeri, dato che l’alternativa sarebbe guardare ogni singola partita dei Bulls più volte come Donovan. Chicago, quando Zach è in campo con i veterani Satoransky, Temple e Young, viaggia a cifre astronomiche: 130 punti segnati ogni cento possessi contro soli 105 subiti. Una schiacciasassi, su un campione di 217 possessi tutt’altro che trascurabile, se si pensa che il quintetto titolare dei Bulls (White – LaVine – Williams – Markkanen – Carter Jr.) ne ha giocati, tragicamente, 210.

Sato and Young will enter the starting lineup for tonight’s game against the Raptors. pic.twitter.com/3oKbzicmng

— All Around Designs (@DesignAllAround) March 14, 2021

 

N.B.A. – No Boys Allowed

“Si vince con gli uomini” diceva Phil Jackson, e Donovan sembra pensarla allo stesso modo. Per continuare a sognare i Playoffs, prima della partita di domenica 14/3 contro Toronto, ha annunciato che avrebbe inserito in quintetto Satoransky e Young al posto di White e Carter Jr.. La sfida contro i Raptors decimati dal Covid è andata nel migliore dei modi, fatto comunque non scontato viste le recenti batoste contro i Sixers privi di Embiid e Simmons e gli Heat senza Adebayo, ma nemmeno indicativo di un salto di qualità. Più interessante sarà capire come si scioglieranno i nodi che questo avvicendamento ha portato al pettine in modo repentino.

Nel post partita Donovan ha spiegato apertamente le ragioni dietro al nuovo quintetto, senza puntare il dito contro nessuno ma mettendo tutti di fronte ai fatti. La squadra iniziava male le partite e i giovani si abbattevano se i primi tiri buoni non entravano, rinunciando a muovere la palla e mollando qualcosa in difesa; “sviluppo” non vuol dire mandare in campo un giovane e farlo sbagliare senza conseguenze, ma aiutarlo a guadagnarsi ogni minuto sul parquet; così come i veterani hanno dimostrato di meritare il quintetto facendosi sempre trovare pronti dalla panchina, adesso tocca ai giovani fare altrettanto per riprendersi il posto da titolari.

Più di ogni altra spiegazione, però, è passato un messaggio molto chiaro: è ora di vincere e chi vuole far parte di questa squadra deve dimostrare di saperlo fare, e dimostrarlo entro fine stagione, quando il nuovo front office sceglierà su chi puntare. Zach LaVine ha piena fiducia ed è stato messo nelle migliori condizioni possibili al momento, basterà per portare la squadra ai Playoffs, conquistandosi così sul campo il max contract che legherebbe definitivamente la sua carriera ai Bulls a doppio filo?

Tags: Billy DonovanChicago BullsZach Lavine
Cosimo Sarti

Cosimo Sarti

Il Laocoonte della redazione di The Shot dal giorno della sua fondazione, imperverso inascoltato su tutti i canali di comunicazione disponibili.

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