Fra poche ore sarà ufficialmente conclusa la stagione per Kentucky e Duke, proprio quando la March Madness entra nel vivo, col Selection Sunday imminente e il tabellone delle 68 squadre che si giocheranno il titolo nazionale che prende forma.
I Wildcats hanno subito la mazzata finale con la sconfitta di misura patita da Mississippi State, mentre i Blue Devils hanno visto infrangersi le residue speranze d’una chiamata al Torneo NCAA dopo una positività al Covid emersa nel gruppo della squadra. Due epiloghi clamorosi, inimmaginabili a inizio stagione, per i due programmi di pallacanestro che probabilmente hanno più caratterizzato il college basketball negli ultimi 30 anni. Ma cosa hanno in comune Kentucky e Duke? Più di quello che i tifosi stessi, acerrimi nemici, vorrebbero ammettere
Colori, Coach e filosofie in parallelo
Innanzitutto, il colore della maglia: un blu importante, militaresco, non l’azzurrino cielo di North Carolina o l’azzurro allegro di UCLA. Questo è il blue
usato dagli eserciti e dalla marina militare per secoli. Poi una rivalità nata da The Shot, il tiro più importante della storia della pallacanestro universitaria al culmine della sfida fra la UK di Pitino e la Duke di Coach K preso da Christian Laettner sulla sirena del primo tempo supplementare. Non un tiro qualunque, ma un simbolo di quella che è stata forse la partita più avvincente della storia della pallacanestro, NBA inclusa. Una sfida che generò polemiche e la nascita di una accesa rivalità.
Poi ci sono due coach iconici come John Calipari e Mike Krzyzewski che hanno creato un culto della personalità ed esasperato la filosofia imperniata sui cosiddetti One and done ovvero quei giocatori “prestati” per una stagione al college basketball in attesa della transizione definitiva verso la NBA. L’elenco delle prime scelte mandate in NBA da questi due atenei è impressionante: al momento ci sono 26 ex Blue Devils nei roster della NBA, da Zion Williamson a Kyrie Irving, e 31 ex Wildcats, da Anthony Davis a Bam Adebayo e Tyler Herro.
Numeri impressionanti, che vengono sbattuti in faccia alle miglior reclute d’America, numeri che significano tanti biglietti verdi con effigie di Presidenti defunti per i ragazzi e le loro famiglie, ma pure per i due atenei che attraggono così sponsor importanti e fanno felici facoltosi “amici” del programma. Duke in tal senso ha creato pure un brand chiamandolo “The Brotherhood” sfruttando tutta la potenza mediatica dell’università di Durham che coi social network e con l’utilizzo dei media è avanti anni luce rispetto alle concorrenti ed è diventato uno dei brand più riconoscibili al mondo, quasi ai livelli di New York Yankes o Dallas Cowboys.
One and done: fu vera gloria?
Tutto strepitoso ma quanto, sul piano sportivo e non sul piano economico dove è stato chiaramente un grande successo, hanno davvero ottenuto così questi due atenei? Da quando Calipari ha preso in mano i Wildcats ed ha cominciato a portare a livelli da maestro l’aggressivo reclutamento dei prospetti delle scuole superiori, Kentucky ha vinto un titolo NCAA grazie al meraviglioso Anthony Davis (2012) e collezionato parecchie brutte figure rispetto alle enormi aspettative che le varie Classi di reclutamento generavano ai Wildcat.
Simili le prestazioni dei Blue Devils con un solo titolo (2015) quando magicamente quagliò la chimica fra Okafor, Winslow, Tyus Jones e Grayson Allen, ma anche tante umiliazioni subite da squadre sulla carta inferiori per talento in ACC su tutte Virginia e soprattutto nei disastrosi Tornei NCAA contrassegnati dalle uscite al primo turno contro le Cenerentole Lehigh o Mercer. Eppure stiamo parlando di due college che sommano assieme ben tredici titoli NCAA ed una tradizione straordinaria che incute rispetto, se non addirittura timore reverenziale.
Più marketing che trionfi
A questa stagione 2020-21 Kentucky si presentava forte della Classe #1 dei vari ranking grazie a BJ Boston (4 del ranking di Espn), Terrence Clarke (7), Devin Askew (27), Isaiah Jackson (30), Lance Ware (36), Cam’Ron Fletcher (60), mentre Duke vantava la Classe #3 con Jalen Johnson (11), Jeremy Roach (21), DJ Steward (24), Mark Williams (26), Jaemyn Brakefield (39) and Henry Coleman (50).
Il risultato è stato disastroso: BJ Boston (11.5 ppg 35% fg) e Jalen Johnson (11.2+6.2) sono stati un fallimento. Il primo si è dimostrato immaturo, pessimo nelle scelte di tiro, mentre il secondo sul più bello ha abbandonato la squadra per inseguire il sogno NBA dopo aver causato enormi tensioni all’interno dello spogliatoio con la squadra che ha decisamente giocato meglio senza colui che doveva esserne il faro ed invece era un poderoso peso con la sua insipienza e pigrizia difensiva.
Curiosamente alla fine chi è andato meglio è stato il meno atteso, Mark Williams, non immaginato one&done, centro di 2.15 sbocciato dopo la fuga di Johnson viaggiando a 16.7 punti e 7.8 rimbalzi nelle ultime sei partite che ha dimostrato di essere il giocatore da cui Duke deve ripartire.
Coach K e Calipari a un bivio
Poiché per ripartire queste due squadre devono fare delle profonde considerazioni, la stagione piagata dal Covid ha dimostrato che in NCAA funzionano le squadre che hanno un forte nucleo di giocatori esperti come Gonzaga o Illinois nelle quali si può inserire una matricola di valore come Jalen Suggs o
Andre Curbelo. Un nucleo basato sulle matricole è adesso improponibile. A causa del Covid le nuove reclute hanno meno possibilità di lavorare assieme anche fuori dai rigidamente controllati “tempi ufficiali” con gli ora proibiti pick up games che tanto bene facevano a ragazzini appena giunti dal liceo e bisognosi di tempo per crescere e fare reciproca conoscenza e con la concorrenza della G League che attrarrà talenti importanti.
Sta a John Calipari e a Mike Krzyzewski decidere se continuare su una strada che fa molto bene alle finanze dell’ateneo portandosi a casa talenti con la testa alla NBA (intanto il prossimo anno arrivano l’azzurro Paolo Banchero e AJ Griffin a Durham e Daimion Collins a Lexington) – e di riflesso alle loro – o ricominciare ad allenare con quella maestria e passione che li ha fatti grandi. Sarà per loro una lunga primavera di riflessioni mentre le altre si giocheranno il titolo NCAA 2021.