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È il momento di Lillard
Portland è viva grazie a lui

Davide Fumagalli by Davide Fumagalli
12 Marzo, 2021
Reading Time: 9 mins read
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damian lillard

Copertina a cura di Francesco Ricciardi / Getty Images

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“What’s the time? It’s Dame time”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione, da anni ormai è una cantilena che viene ripetuta abbastanza spesso in regular season e poi nei playoffs NBA, perché Damian Lillard è a tutti gli effetti uno dei giocatori simbolo della lega e in questa stagione ha elevato ancor di più il suo status di giocatore decisivo. Quello che spesso e volentieri fa vincere la propria squadra in the clutch, con la partita punto a punto a fil di sirena.

La stella dei Portland Trail Blazers, il figlio di Oakland che raramente sorride, che quasi mai mostra le proprie emozioni e che ha lo zero sulla maglia (una “O” in realtà) proprio in riferimento alla città della California da cui proviene, sta giocando una stagione da serissimo candidato a MVP, perché per l’ennesima volta si sta portando sulle spalle il peso di un’intera franchigia e alla pausa dell’All-Star Game i Blazers hanno un record di 21 vinte e 14 perse (lui ne ha giocate 34 su 35), quinti nella selvaggia Western Conference, nonostante innumerevoli infortuni e sfighe di vario genere. I suoi numeri: 29.8 punti (terzo dietro Beal ed Embiid), 4.3 rimbalzi, 8 assists, 3.3 perse, tirando col 44.5% dal campo, il 93% ai liberi e il 38.4% da tre su 11.2 tentativi a gara.

Numeri che rafforzano la propria candidatura a MVP al pari di Embiid, di LeBron James, di Giannis Antetokounmpo, di Nikola Jokić e di Stephen Curry, statistiche di un giocatore che vale senza il minimo di dubbio il primo quintetto All-NBA.

⌚⌚ Any time is Dame Time ⌚⌚ @dame_lillard | #RipCity pic.twitter.com/nHFL5VPLg9

— Portland Trail Blazers (@trailblazers) March 8, 2021

 

Lontano dai riflettori, perenne “underdog”

Quello zero sulla maglia è per Oakland, l’abbiamo detto, ma è anche perché Dame è stato da sempre abituato a conquistarsi tutto partendo dalle retrovie, da zero o quasi. Proviene da una delle città col più alto tasso di criminalità d’America, dalla zona malfamata della Bay Area, l’opposto rispetto ai riflettori di San Francisco, e ha fatto quattro anni di college a Weber State, nello Utah, un autentico scherzo, sia i quattro anni in un’era in cui già c’erano gli “One and Done”, sia l’università, non certo Duke o Kentucky, e nemmeno una mid-major, ben più sotto.

Però Lillard ha fatto parlare il campo da quando è in NBA nel 2012 e di fatto ha rimesso seriamente sulla mappa a suon di risultati e di canestri i Portland Trail Blazers, una delle franchigie meno seguite e meno mediatiche essendo posizionata nel nord ovest del paese e dovendo subire per certi versi la “concorrenza” dei Golden State Warriors e delle squadre di Los Angeles. In aggiunta, Dame è diventato uno dei testimonial simbolo di Adidas pur giocando nello stato in cui ha sede Nike, paradossale, ma anche questo la dice lunga su come il nativo di Oakland non venga mai considerato tra i primissimi.

Tutto questo concorre al fatto che Dame venga sempre dopo quando si fanno i classici discorsi da bar su chi siano in migliori nelle varie categorie: il miglior giocatore, il miglior tiratore, il miglior attaccante, ecc… Il concetto di big market e small market torna d’attualità anche stavolta perché abbiamo pochi dubbi che Lillard sarebbe ben più considerato se giocasse a Los Angeles, piuttosto che a New York, a Miami o ai Golden State Warriors, dove da oltre un decennio brilla la stella dell’amico-rivale Steph Curry.

 

Decisivo come nessuno “in the clutch”

Lillard, che quando fa il rapper si trasforma in Dame DOLLA, negli anni si è costruito la nomea di giocatore clutch, quello a cui affidare il pallone nel momento decisivo della partita e che spesso infila la palla nel canestro. Alcuni suoi canestri sono diventati iconici e li ritroviamo spesso negli spot NBA, su tutti i buzzer beater nei playoffs contro i Rockets nel 2014 e quello famoso, da quasi centrocampo, contro gli Oklahoma City Thunder nel 2019.

In questa stagione altre perle tra il game winner a Chicago contro i Bulls in una prova da 44 punti, i 10 punti nel momento topico contro i Sacramento Kings e poi contro i Warriors con bomba e sfondamento subito da Draymond Green. In aggiunta, per quanto possa valere quanto succede in un All-Star Game, Lillard ha firmato gli ultimi 9 punti di Team LeBron per chiudere il match contro Team Durant, tre bombe clamorose, l’ultima delle quali da quasi centrocampo (non più sorprendente ormai).

Damian Lillard has a clutch bucket against EVERY team in the NBA @Dame_Lillard ?⌚️ pic.twitter.com/t4FgS7RqxM

— ESPN (@espn) March 6, 2021

“Penso che tutti guardino la parte finale delle partite e dicano ‘chi ha fatto la differenza?’. Personalmente preferisco essere io a finire nella foto. Solo perché in quel momento puoi mettere la tua squadra in condizione di arrivare in cima. Come leader della mia squadra mi sento più a mio agio nell’essere la persona che deve rispondere alla domanda, perché so che posso andare avanti se non faccio canestro o se non faccio la giocata giusta”, ha dichiarato Lillard in un’intervista riportata da NBCS parlando del concetto di closer.

Questo status di giocatore decisivo è confermato dai numeri: dal 2012, anno in cui è entrato nella lega, Damian Lillard ha segnato 25 canestri per vincere o pareggiare negli ultimi 20 secondi di una partita (seguono Westbrook con 21 e DeRozan con 17). Inoltre, negli ultimi 5 minuti delle partite decise da 5 o meno punti, Dame è primo nella lega in: punti (82), percentuale dal campo (63.2%), percentuale da tre (58.8%), percentuale ai liberi (100%) e record (12 vittorie e 3 sconfitte).

Lillard in the clutch (5-point games in the last 5 minutes) this season:

⌚️ 82 PTS (1st)
⌚️ 63.2 FG% (1st, min 15 att)
⌚️ 58.8 3P% (1st, min 15 att)
⌚️ 100 FT%
⌚️ 12-3 record (1st)

DAME. TIME. pic.twitter.com/0qaQWdN45S

— StatMuse (@statmuse) February 18, 2021

 

Arriverà mai il suo momento? I Blazers devono aiutarlo

Dame è ormai legatissimo ai Trail Blazers, è il volto simbolo della franchigia e non è escluso che possa chiudere lì la carriera come hanno fatto Tim Duncan con gli Spurs o Kobe Bryant coi Lakers. A Portland è un assoluto re, in campo e fuori, e ha un contratto fino al 2024 (più player option per un’altra stagione) da 142 milioni di dollari garantiti (più 54 della player option), senza contare quelli già incassati.

Finora però Lillard non ha mai avuto la chance concreta di dare l’assalto al titolo, aldilà della finale di Conference nel 2019 persa 4-0 contro i Golden State Warriors, e in cui Dame è stato fortemente limitato da un problema alle costole. Già, gli infortuni, un leit motiv che ormai accompagna i Trail Blazers di coach Terry Stotts da moltissimo tempo e che nemmeno quest’anno sembrano dar tregua alla franchigia. Infatti, delle 35 gare disputate, CJ McCollum e Jusuf Nurkic ne hanno giocate 13, e sarebbero le altre due stelle della squadra che con Lillard compongono i Big Three di Rip City.

Damian Lillard wants to leave a lasting legacy for the Blazers ? pic.twitter.com/4gwieIK5sF

— Blazers Nation (@BlazersNationCP) March 10, 2021

Questo incide parecchio sulle reali possibilità di Portland, senza dimenticare che anche altri hanno avuto problemi, da Nassir Little a Harry Giles, lo scorso anno Rodney Hood, fino ai guai che affliggono Zach Collins, ormai diretto all’etichetta di giocatore “injury prone”. È chiaro che il tempo passa per tutti, anche per Lillard che il prossimo 15 luglio compirà 31 anni: la finestra è ancora aperta e abbastanza ampia ma le occasioni rischiano di essere sempre meno per riuscire a regalare qualcosa ad una franchigia che ha vinto un solo titolo nel 1977 con Bill Walton (anche l’unico MVP stagionale della franchigia nel 1978) e che non fa le Finals dal 1992, quando i Trail Blazers di Clyde Drexler e Terry Porter vennero battuti 4-2 dai Bulls di Michael Jordan.

 

Le perdite in famiglia e il concetto di lealtà

Il legame con Portland e la lealtà nei confronti dei Trail Blazers dicono molto sul Damian Lillard persona, sul Dame compagno di Kay’La e papà di Damian Jr. e dei gemelli Kali e Kalii, senza arrivare al rapper Dame DOLLA che è un’altra storia. Un ragazzo che quasi mai fa trasparire le proprie emozioni, che sorride poco o mai, e che ha vissuto un anno piuttosto tragico, come ha deciso di raccontare in un’intervista a The Athletic:

“Molte persone non sanno davvero le cose, non cerco simpatie o scuse. Appena apro i social vedo commenti di ogni genere: tiri falliti, titolo non ancora vinto e scelte sbagliate durante la partita. Pochissimi fan vedono le cose belle del gioco, io continuerò ad allenarmi al massimo come ho sempre fatto per me e per la mia squadra. Penso che ci siano molte persone che non prendono in considerazione il fatto che anche noi abbiamo delle vite”.

Infatti Lillard lo scorso anno ha scoperto il cadavere di un cugino e del suo chef personale, poi una zia è morta di cancro ed il suo migliore amico se ne è andato a causa del COVID-19. A inizio 2021 un altro cugino è morto a West Oakland in una sparatoria; infine, il giorno prima della partita con i Lakers, ha appreso della morte di un caro amico di famiglia che era stato tra i primi a trasferirsi a Portland quando fu scelto dai Trail Blazers nel 2012.

Prayers up for Damian Lillard and his family.?? The last 18 months have been hell for the Blazers' PG:

– found his cousin and his chef dead
– his aunt died from cancer
– family friend died of COVID-19
– cousin was killed in West Oakland
– two people in his inner circle shot dead pic.twitter.com/e0eG9tumbJ

— ClutchPoints (@ClutchPointsApp) March 3, 2021

Ed è proprio in famiglia e con la squadra, i Blazers appunto, che Lillard si sente a casa, si sente protetto e motivato a far sempre meglio e a raccogliere tutte le sfide che gli si pongono di fronte. Per lui la lealtà e il legame con la franchigia è diventato fondamentale e l’ha raccontato sempre a The Athletic, perché vincere qualcosa a Portland non è “la strada giusta”, è semplicemente “la strada”:

“In questo momento nella lega vedi molti ragazzi che vanno in altre squadre per giocare con uno o due altri All-Star perché è quello che pensano sia meglio per loro. E non sono affatto arrabbiato. Se Draymond Green o Jrue Holiday decidessero di voler venire a Portland, io direi, ‘Prego. Sei più che il benvenuto’. Ma io non sono quel genere di giocatore che dice ad altri ‘Andiamo a giocare per questa squadra insieme’… non è il mio stile. Io ho la mia battaglia qui”.

Per questa lealtà, per l’amore che ha per il gioco e per i Portland Trail Blazers, per quanto fa sul campo e per lo spettacolo che regala ogni singola notte senza mai risparmiarsi, la speranza che è il tempo di Dame arrivi presto e che l’orologio segni l’ora della vittoria di Lillard.

Tags: Damian LillardPortland Trail Blazers
Davide Fumagalli

Davide Fumagalli

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