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I Rockets si trovano di fronte a un bivio

Cesare Russo by Cesare Russo
9 Marzo, 2021
Reading Time: 13 mins read
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Houston abbiamo un problema

Copertina a cura di Matia "Di Ui" Di Vito / Getty Images

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Quante volte vi è capitato nella vita di sognare qualcuno o qualcosa di caro, di provare a raggiungerlo senza mai riuscirci, correndo all’infinito una distanza incolmabile? A causa dell’alta componente d’ansia non è esattamente uno dei sogni che rientrano nella categoria “Sogni d’oro”, ma è un fenomeno abbastanza ricorrente quando nella nostra vita il raggiungimento di un obiettivo viene messo a rischio da situazioni contingenti.

L’attuale stagione degli Houston Rockets può paragonarsi a questo fenomeno onirico: la franchigia continua a camminare su una strada e vede avvicinarsi un bivio che però sembra non arrivare mai, costantemente spostato da qualcosa che le impedisce di fermarsi a riflettere su quale sia la strada più sicura da prendere.

Il bivio in questione è un momento imprescindibile e ricorrente per ogni società sportiva al termine di un ciclo importante come lo sono stati gli anni di James Harden a Houston. É un momento delicato e richiede grande attenzione prima di imboccare una delle due strade che caratterizzerà profondamente gli anni futuri della franchigia tra, ormai l’avrete capito, il tentativo di rimanere al più alto livello competitivo possibile e il sacrificare qualche anno in nome del talento e delle scelte al draft.

Un elemento preoccupante di questa situazione è che più tempo passa prima di prendere una decisione, più la forbice tra le due strade diventa ampia, rendendo sempre più difficoltoso l’andamento sul percorso scelto.

Già nella preview stagionale intravedevamo questo bivio, complice la richiesta di trade del Barba. Allora, un brutto colpo sembrava inevitabile (non si perde un giocatore come James Harden senza battere ciglio), ma c’era forse la possibilità di incassarlo e rialzarsi presto, pensiamo alla richiesta di “young star” da parte della dirigenza Rockets come contropartita minima e della quale Ben Simmons è stato per giorni la sua materializzazione più concreta, o di rifondare completamente puntando su un alto numero di scelte al draft di grande valore.

La realtà si è rivelata essere una via di mezzo: la young star è poi diventata Victor Oladipo, arrivato a Houston nei classici incastri che seguono trade importanti come questa, il quale ha portato a corredo con sé un discreto numero di prime scelte future sulle quali non sembra però esserci scritto con certezza “prima assoluta”.

A quel punto, la situazione non sembrava tragica: Wood aveva iniziato la stagione in maniera superlativa, Wall era un “certo che il progresso medico fa continuamente passi da gigante” ambulante, facendo vedere un ottimo livello di gioco nonostante gli infortuni e l’assenza prolungata, Silas sembrava sulla buona strada nell’implementare nuove soluzioni, offensive e difensive, in un sistema che conservava dei validi punti di forza.

L’arrivo dell’ex stella dei Pacers sembrava potesse essere il tassello mancante per una squadra che poteva puntare a rimanere ogni anno ai playoff nell’attesa di una chance al titolo.

 

I momenti positivi della stagione

Ci sono due momenti che descrivono bene questo momento positivo, l’unico finora, della stagione. Il primo è la vittoria contro gli Spurs, immediatamente successiva allo scambio Harden, in cui 9 Rockets, capitanati da un Wood eccellente (27 punti, 10/18 e 5/7 da 3, e 15 rimbalzi), battono una San Antonio al completo grazie ad un’intensità elevata, una buona difesa e un grande quarto quarto.

In questa partita si iniziavano ad intravedere quei contributi richiesti a Silas al momento dell’assunzione: una maggiore mobilità, di palla e di uomini, in attacco e una difesa che, pur facendo del cambio costante il proprio cavallo di battaglia, potesse ancorarsi a dei punti fermi, come la presenza di un centro di ruolo a proteggere il ferro.

 

Con l’arrivo di Oladipo, i Rockets hanno avuto un momento di grande ottimismo, capitalizzato in una striscia di 6 vittorie in cui la squadra, grazie all’arrivo di un talento importante come il giocatore da Indiana, sembrava sul punto di potersi lanciare in un’altra stagione di alto livello.

In generale, possiamo individuare le 12 partite che vanno dalla vittoria contro gli Spurs alla vittoria in trasferta contro Memphis, nella quale Christian Wood si è infortunato, come il miglior periodo della stagione di Houston, confermato dal buon record di 8-4.

Se volessimo cercare i motivi dietro queste vittorie su un piano più “di campo”, bisogna partire innanzitutto dalla difesa, capace di registrare 100.2 di DEF rating. La ragione di questa grande difesa si può ritrovare nella presenza di individualità molto capaci, Tucker, Tate, Nwaba su tutti, ma anche nelle intuizioni vincenti di Silas, capace di mixare con maestria la precedente esperienza dello small ball con schemi che includessero un centro di ruolo.

In questo modo, i Rockets riescono a concedere pochi tiri aperti nei primi secondi (date un occhio al cronometro delle azioni nel video sotto), costringendo gli avversari ad azioni lunghe e macchinose o a tiri forzati. Se si gioca sul perimetro emerge l’abilità nel cambiare degli esterni, se si prova ad entrare, il corpaccione di Cousins o le braccia sterminate di Wood sono pronti ad infastidire qualunque tentativo ravvicinato.

 

Sul fronte offensivo, possiamo sottolineare le grandi partenze. 33 punti di media nel primo quarto (sarebbe il dato più alto della lega), tra i quali vanno segnalati i 38 segnati contro Dallas, forse la vittoria più importante in stagione finora, e i 48 contro i Thunder, bilanciati dai soli 17 segnati contro i Blazers in un terribile primo quarto, seguito però da una frazione finita 36-18, forse il momento più alto del gioco Rockets quest’anno.

Un altro dato estremamente importante per capire queste vittorie sono i punti dalla panca: nelle sei partite in questione le seconde lineee di Houston hanno segnato in media 46 punti a partita (un dato di 4 punti superiore ai 42 dei Pistons, miglior panchina per punti segnati in stagione).

Questo dato va certamente contestualizzato. Spiccano, per esempio i 68 punti segnati contro i Thunder, partita in cui il garbage time è iniziato sostanzialmente subito. Un’altra cosa da notare è che raramente siano stati punti che hanno creato strappi o parziali decisivi, realizzati invece quasi sempre da uno o due dei principali talenti (i 19 punti in due di Oladipo e Wall nel quarto quarto contro i Wizards per esempio, o i 32 equamente divisi tra Wood e Oladipo nel magistrale secondo quarto contro i Blazers citato poche righe sopra).

Un’altra cosa da notare è che i costanti infortuni subiti da Houston hanno ovviamente ristretto la rosa, portando ad un aumento sostanzioso nel minutaggio dei panchinari.

Detto questo, la panchina dei Rockets ha rappresentato senz’altro un valore aggiunto nel momento in cui la squadra sembrava potesse ambire ad alti risultati, forte di un Eric Gordon fenomenale (forse la sua miglior stagione in carriera, 18 punti a partita con il solito pericolo da tre ed una sorprendente abilità in area, visibile nel miglioramento delle percentuali anche al ferro e nell’aumento di tiri liberi a partita) e di interpreti perfetti per il sistema di gioco, tra i quali vale senz’altro la pena nominare David Nwaba: in venti minuti a partita flirta con la doppia cifra (il tiro è momentaneamente latitante ma c’è) e marca tutte le altre caselle statistiche, portando un’energia e una sapienza nelle giocate che vanno ben oltre i tabellini.

 

Altri due nomi di cui vale la pena parlare sono i rookie, Jae’Sean Tate e Kenyon Martin Jr.

Il primo è ormai un nome noto tra gli iniziati al mondo NBA: il rookie undrafted proveniente dal campionato australiano continua a stupire per la straordinaria capacità difensiva in ogni situazione, l’intelligenza nelle giocate e la grandissima energia apportata alla squadra. Anche quando viene schierato in quintetto, e succede spesso a causa delle costanti defezioni, si fa trovare pronto, pur incorrendo nella solita irruenza che caratterizza i giocatori come lui nelle prime esperienza NBA

THREAD: Jae’sean Tate vs i Trail Blazers
Come ne abbiamo parlato in preview, Tate è estremamente interessante per la sua versatilità, offensiva e difensiva.
Partiamo dalla difesa, dove non ha concesso una chance a Carmelo Anthony (1/4 al tiro)
1/5 pic.twitter.com/WLSVU5O1cM

— Cesare Russo (@caesarsalad7_4) December 30, 2020

Martin Jr. è invece ancora fuori dai radar, giustamente, ma è un prospetto sul quale è bene drizzare le antenne.

Se seguite l’NBA da tanto tempo potreste prenderlo in simpatia, in quanto figlio d’arte di quel Kenyon Martin che distruggeva i ferri di mezza NBA schiacciando con una potenza sovrumana gli alley-oop di Jason Kidd nei New Jersey Nets di inizio millennio.

Se invece siete nuovi dell’ambiente non preoccupatevi, il ragazzo ha ereditato i geni migliori del padre: atletismo sensazionale e un discreto gusto per la giocata ad effetto, come la stoppata su Boban Marjanovic contro i Dallas Mavericks, partita in cui ha registrato tre stoppate e una palla rubata dimostrando un gran talento difensivo. Insomma, non sarà fortissimo, ancora, ma è molto divertente da guardare.

 

Per quanto riguarda il quintetto, poche volte al completo anche in questo momento positivo, oltre al solito, ottimo Wood, vale la pena spendere due parole sulla coppia Wall-Oladipo durante la luna di miele tra gennaio e febbraio.

Per quanto riguarda l’ex Wizards possiamo usare parole decisamente positive. Non solo la condizione fisica è sembrata in costante miglioramento, ma appare evidente che Wall abbia impiegato questi due anni di stop per migliorare alcuni aspetti del suo gioco, come il tiro da tre (34%, terzo miglior dato in carriera su 6 tentativi, mai così tanti) e in generale sembra poter gestire meglio del passato i possessi in isolamento che vengono spesso chiesti ai creatori oggi.

Sul fronte difensivo, come molte superstar, Wall segue molto i suoi istinti, alternando ottime difese a momenti in cui decide di staccare la spina. L’ideale sarebbe ovviamente una costante applicazione difensiva, ma visto il rischio a livello fisico e la compresenza di ottimi difensori perimetrali in squadra, raramente si ritrova in marcatura su uno dei migliori due o tre attaccanti avversari, è una condizione che, se al completo, i Rockets possono tranquillamente accettare.

Il discorso sulla “O” del W.O.W. Factor (questo il soprannome del trio Wall-Oladipo-Wood) prende invece tinte più fosche. Nonostante siano estremamente visibili sia la voglia di rivalsa personale (confermata dal recente rifiuto di rinnovo del contratto per due anni) sia quella di aiutare la squadra, la condizione fisica e di conseguenza il livello tecnico sono lontani dall’essere ideali.

Ciò non toglie che Oladipo abbia già registrato delle notevoli prestazioni individuali, nelle quali ha dimostrato di possedere il talento e le abilità necessarie a prendersi maggiori responsabilità in attacco. Questo diventa però un problema quando, nel tentativo eccessivo di trovare il ritmo, finisce per giocare partite in cui i tiri forzati, e sbagliati, oscurano l’ottimo lavoro nel playmaking o in difesa.

Quest’ultimo aspetto è poi di vitale importanza nel gioco dei Rockets e trovo sia quello che più risente della condizione ancora non ottimale: Oladipo è certamente un giocatore capace di avere un impatto molto positivo in difesa, lo ha dimostrato a tratti anche a Houston, ma in questa stagione non è raro vedergli commettere errori troppo banali o eclatanti per pensare che siano effettivi limiti nel suo gioco e non problemi momentanei.

In sostanza, nelle 12 partite appena prese in considerazione, i Rockets sono sembrati una squadra in rampa di lancio, forti di un roster lungo e completo, di un’eccellente difesa e di un attacco dal talento funzionale e diffuso, con tre giocatori di ottimo livello pronti a prendersi sulle spalle il carico di responsabilità necessario per vincere.

Com’è possibile allora che siano passati da quella situazione incoraggiante ad una striscia di 13 sconfitte consecutive?

 

Come spiegare il brutto periodo dei Rockets?

La prima risposta, la più importante, è l’infortunio subito da Christian Wood nella vittoria, l’ultima, contro i Grizzlies. Cadendo sul piede di Ja Morant, il centro ex-Pistons ha subito un infortunio alla caviglia che lo sta mantenendo tuttora fuori dal campo.

L’assenza di Wood non porta semplicemente la sottrazione dei 22 punti di media segnati (a cui vanno senz’altro aggiunti quelli derivanti dalle occasioni create indirettamente dalla sua presenza in campo), ma toglie alla squadra il principale punto di riferimento offensivo, l’uomo chiave in ogni giocata.

Il compagno che ne fa maggiormente le spese è John Wall, che ha apertamente dichiarato di sentirsi molto in difficoltà a giocare senza un centro con cui dialogare e che questo sta avendo un impatto negativo sul suo gioco e su quello della squadra.

L’assenza si fa pesare anche in difesa. Innanzitutto va detto che, oltre all’incredibile livello offensivo finora mostrato, Wood è un giocatore in netta crescita anche nella propria metà campo: passo dopo passo stava entrando sempre di più nei ritmi e nei compiti richiesti da Silas, dimostrandosi un rim protector capace di ottime letture e buone abilità nella marcatura di giocatori più piccoli in situazioni di cambio, dunque perdere un giocatore con queste qualità porterebbe problemi alla difesa di qualunque squadra NBA.

A questo va aggiunto il fatto che, complice il rilascio di Cousins, i Rockets si sono ritrovati sprovvisti di alternative nello spot di 5, costretti ad affidarsi allo sfortunatissimo talento Patton (stats infortuni/partitegiocate) o a ritornare per lunghi momenti della partita ad una small ball estrema.

Il problema è che questa volta non è una strategia frutto di un lavoro ben pensato e pianificato, realizzato con gli interpreti più adatti, ma un aggiustamento in corsa a cui i giocatori, oltre a non essere necessariamente portati, non sono neanche abituati.

Il pericolo più grave quando si gioca una difesa di questo tipo, oltre a lasciare evidentemente scoperto il canestro, è quello di lasciare tiri aperti agli avversari, perché nel caos dei continui cambi una marcatura viene “dimenticata” o non letta correttamente, un problema che i Rockets stavano già affrontando nei momenti più positivi, comprensibile essendo una squadra completamente rivoluzionata dalla dirigenza ai giocatori in campo.

Oltre a Wood, in questo periodo hanno saltato partite anche: Wall, Oladipo, Tucker, Gordon, House e Nwaba (operato al polso una settimana fa, si stima almeno un mese di stop). In questa situazione, la persona più in difficoltà è ovviamente il coach, che si ritrova a dover pensare alle soluzioni più disparate e a dover accogliere in squadra gli eventuali two-way contract o i richiami dalla G-League firmati per far fronte all’emergenza.

Non sorprende quindi che il gioco complessivo di una squadra coli a picco, specialmente se durante una stagione di continui stravolgimenti come quella dei Rockets. Ad oggi, Houston è uno dei peggiori attacchi della lega (25° per punti segnati, 28° per OFF rating) e la difesa, pur rimanendo valida, ha perso l’aggressività e la concentrazione che l’avevano caratterizzata in precedenza. Le percentuali al tiro da tre sono crollate rovinosamente fino all’ultimo posto della lega, con un tremendo 33% su più di 40 tentativi a partita. I Rockets sono tra gli ultimi anche per assist e rimbalzi a partita, a riprova di una difficoltà estrema da ogni punto di vista.

Non bisogna sorprendersi quindi nel ritrovare i Rockets penultimi nella Western Conference, con 11 vittorie e 23 sconfitte, impegnati nel tentativo di uscire da una soffocante striscia di 13 sconfitte consecutive.

 

Cosa dovrebbero fare i Rockets adesso?

Torniamo dunque a discutere del bivio che vi ho presentato all’inizio. Da un lato, Houston può decidere di demolire il più possibile: scambiare i giocatori che potrebbero avere mercato (Tucker, Oladipo, Nwaba, McLemore… tutti in scadenza) per provare a ricavare qualcosa di utile per il futuro, per poi costruire intorno a Christian Wood, che sembra effettivamente un talento davvero speciale.

Dall’altro, nonostante la recente esplosione, Wood non è un rookie, ha 25 anni, il contratto di Wall sarà un macigno sempre più inamovibile fino al 2023 e in generale la squadra, quando ha avuto la possibilità di esprimersi, ha dato ottimi segnali, per cui potrebbe valere la pena arrivare fino alla fine nel tentativo di rinnovare quanto meno Oladipo e legarsi al W.O.W. Factor a lungo termine, potendo contare su un Gordon blindato fino al 2024, un Tate che si appresta a diventare il miglior contratto in NBA (un milione e mezzo fino al 2023). Anche nella migliore delle stagioni, difficilmente questa squadra ti porterà ad un titolo, ma per quello la deadline ha la data delle prime scelte non garantite Nets, 2024, 2026.

È importante però che i Rockets facciano una scelta, altrimenti il rischio è di arrivare a quell’appuntamento senza né un progetto né una cultura data dal competere stagione dopo stagione e in quel caso sarà troppo tardi anche per usare la classica battuta che dà il titolo alla grafica di questo articolo, perché lo space shuttle sarà andato in frantumi e ci vorrà parecchio tempo per ristabilire le comunicazioni.

Tags: Christian Woodpj tucker
Cesare Russo

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