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A.A.A. lungo cercasi a Boston

Enrico Bussetti by Enrico Bussetti
6 Marzo, 2021
Reading Time: 7 mins read
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Copertina a cura di Edoardo Celli / Getty Images

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3 Maggio 2013. Una data che a Boston si ricordano tuttora molto bene, poiché ha simboleggiato la fine dell’era dei Big Three e l’inizio di un nuovo ciclo all’insegna della linea verde, reso molto più rapido del previsto grazie alle scelte al Draft generosamente concesse dai poco lungimiranti Brooklyn Nets.

Nello specifico, però, è anche l’ultima partita in biancoverde di Mister Kevin Maurice Garnett, il più recente interprete di una tradizione di lunghi di altissimo livello, da Bill Russell a Kevin McHale passando per Dave Cowens e Robert Parish. Da allora nessun fuoriclasse ha più dominato i tabelloni del TD Garden e oggi assistiamo addirittura ad un’abbondanza di lunghi di medio/buon livello, senza che però nessuno abbia le stimmate del campione.

Ripercorriamo dunque insieme tutte le scelte poco felici dei Boston Celtics, dando anche un’occhiata ai nomi della prossima free agency per capire se ci sia un’opportunità di riscatto immediato.

 

L’immediato post-KG: tanti nomi, nessuno realmente convincente

La stagione 2013-14 è sicuramente una delle più difficili dell’intera storia dei Celtics: solo in altre due occasioni (1996-97 e 2006-07) i biancoverdi ottennero una minore percentuale di vittorie. Solo 25 “referti rosa” per Boston quell’anno, con Brad Stevens alla prima esperienza come allenatore ed il neo capitano, tal Rondo Rajon, che disputò appena 30 partite a causa del recupero dall’infortunio al crociato.

Difficile individuare un lungo capace realmente di lasciare il segno in questa stagione. Nessun 5 di ruolo ma tanti “4 e mezzo”, parafrasando Platini: Jared Sullinger, Kris Humphries, Kelly Olynyk, Brandon Bass. A fine anno saranno ben 24 i diversi quintetti provati da Stevens: la più frequente è stata utilizzata per appena 21 partite e vede l’istrionico Sullinger come pivot. 206 centimetri per 117 chili, una struttura fisica alla Big Baby Davis e la fugace illusione di Ainge di aver pescato al Draft un giocatore quantomeno utile alla causa in prospettiva.

Una discreta annata da sophomore e un ottimo terzo anno furono semplicemente il preludio ad una discesa verticale: a 25 anni Jared era già in Cina. Fisicità, ottima propensione al rimbalzo e…basta: un’efficienza ai minimi storici e la perenne presenza di qualche chilo di troppo lo condannarono a restare semplicemente un simpatico ricordo nella mente degli appassionati più accaniti.

La stagione di Kris Humphries con i Celtics rimane probabilmente una delle migliori della sua carriera, e purtroppo è tutto dire per un giocatore ricordato quasi esclusivamente ricordato per i 72 giorni trascorsi come marito di Kim Kardashian. Brandon Bass viene ricordato come un giocatore solido, ma mai neanche vicino a livelli da All-Star.

Resta Kelly Olynyk, tiratore canadese che nonostante uno stile (cestistico e non) il più lontano possibile dal glamour è riuscito a costruirsi una dignitosa carriera NBA, essendo già oltre quota 500 partite senza aver ancora compiuto trent’anni. Parliamo però di un giocatore di 211 centimetri che oltre ad una chirurgica precisione da dietro l’arco ha sempre offerto ben poco sotto le plance, soprattutto nella sua metà campo. La sua giocata più famosa rimane probabilmente la lotta a rimbalzo in Gara 4 dei playoffs 2015 che causò l’infortunio di Kevin Love, non ultima di una lista di giocate quantomeno controverse…

L’arrivo di Tyler Zeller da Cleveland non riuscì a cambiare granché: il fratello di Luke e Cody ha già cambiato nella sua carriera ben 7 squadre in 8 stagioni ed è attualmente svincolato. Delle tre stagioni trascorse nella Beantown solo la prima fu discretamente convincente, ma fu sempre chiaro che al momento di alzare un po’ asticella ed ambizioni non ci sarebbe più stato spazio per lui, perlomeno non con 20 minuti a sera.

Anche nella serie con gli Atlanta Hawks dei playoffs 2016, quando già si parlava di Celtics rinati e pronti a tornare negli anni successivi ai vertici della Eastern Conference, fu evidente che senza un lungo di valore almeno nella metà campo difensiva sarebbe stato molto difficile fare strada in postseason anche con un sistema efficiente come quello di Stevens. Detto, fatto: quell’estate, proveniente proprio dagli Hawks, arriva Alfred Joel “Al” Horford.

 

Godfather Horford: intenso, ma troppo breve

Se Brad Stevens avesse potuto creare in laboratorio il lungo ideale probabilmente il risultato non sarebbe stato così dissimile da Horford. Il lungo dominicano arriva nel Massachussets con alle spalle 4 presenze all’All-Star Game e la voglia, dopo tanti anni trascorsi negli Hawks a cercare sempre il fantomatico centesimo mancante per fare un euro, di puntare finalmente al bersaglio grosso. Al è alto solamente 206 centimetri, ma ha leve lunghe che usa molto bene, ottima mobilità laterale per il ruolo e sa interpretare al meglio le situazioni tattiche: perfetto per essere il perno centrale di una difesa ben felice di accettare i cambi come quella messa su da Stevens.

L’impatto è immediato: il piccolo grande Isaiah Thomas disputa la stagione della vita e insieme ad Horford trascina i Celtics di nuovo al primo posto ad Est dopo 9 anni. IT ora è ben più coperto in difesa e i risultati si vedono, ma LeBron James è ancora troppo forte e la corsa di Boston si ferma bruscamente alle Finali di Conference.

Ainge tenta di vendicare lo sgarbo mettendo su uno scambio che a posteriori si rivelerà fallimentare per entrambe le franchigie: soffia al Re Kyrie Irving, il suo più fido scudiero, nel tentativo di farne la stella che manca a Boston. Uncle Drew resta solo due anni in biancoverde, fermato prima dagli infortuni e poi dall’incapacità di tenere compatto lo spogliatoio. Al fa sempre meglio, guadagnandosi un altro gettone alla partita delle stelle e addirittura una presenza nel secondo quintetto difensivo 2017-18, ma ha ormai superato i trent’anni e non è mai stato, né mai sarà, il go-to-guy in grado di prendersi la squadra sulle spalle.

È un role player extralusso, ma pur sempre un role player e nonostante abbia progressivamente ampliato il suo raggio di tiro con ottimi risultati (38.2% da 3 punti nella sua esperienza biancoverde) e possa ormai contare su solide riserve come Aron Baynes e Daniel Theis non può essere lui a dare quel quid in più necessario per mettere le mani sul Larry O’Brien Trophy.

Poi, nell’estate 2019, il colpo di scena: Al annusa la voglia di Irving di esplorare altri lidi e decide che il posto migliore per inseguire l’agognato anello non è più Boston e durante la free agency firma un ricco triennale con i rivali Philadelphia 76ers. Un boccone amarissimo per i Celtics, con Stevens privato della sua coperta di Linus e un reparto lunghi nuovamente da reinventare.

 

Il presente: tanta carne al fuoco, ma manca un pezzo pregiato

La situazione salariale di Boston non permette a Stevens di fare miracoli: la toppa per la stagione 2019-20 si chiama Enes Kanter, mai noto come una saracinesca in difesa. Il titolare però si chiama Daniel Theis, che ha appena completato la sua definitiva trasformazione in un centro di ruolo ed è fresco di rinnovo biennale. Il tedesco è arrivato in NBA a 25 anni in punta di piedi ma incarna il perfetto prototipo del feticcio di Stevens. Grande intelligenza cestistica, ottimo tiratore e difensore tosto, puntuale, preciso, in grado di tenere le guardie senza particolari problemi. In più, un’abilità di passaggio che non guasta mai: i suoi assist dopo lo short roll diventano presto un marchio di fabbrica.

Theis continues to impress as a short roll passer pic.twitter.com/iW8IquAY6z

— Nate ❄️ (@Hoops_Nate) March 8, 2020

Siamo ormai però al limite del disco rotto: Theis è l’ennesimo comprimario utilissimo, che si fa amare dai tifosi e che ogni allenatore vorrebbe avere, ma per una stella citofonare altrove, ancora una volta.

Il peso dell’attacco è sulle spalle di Tatum e Brown e il centro sembra essere tornato il giocatore più debole del quintetto titolare. Kanter dura solo un anno e durante l’estate Ainge, almeno stando ai rumors, avrebbe l’opportunità di portare a Boston Myles Turner, lungo di Indiana che ha un po’ perso l’hype che orbitava inizialmente intorno al suo nome ma rimane un gran bel talento.

Il GM preferisce però virare su Tristan Thompson, in uscita da Cleveland dopo ben nove anni nell’Ohio. Una mossa sensata se si guarda alle caratteristiche di TT ma che si sta rivelando controproducente: il canadese finora è stato ben lontano dai suoi anni migliori e la sua presenza ha tolto parecchi minuti a Robert Williams III, talento con tante lacune ma dall’altissimo potenziale che finora è sembrato l’unico nel frontcourt in grado di dare un po’ di adrenalina a dei Celtics un po’ spenti in questo 2021.

Nel tentativo di fornire a lui e a Theis un quantitativo sufficiente di minuti, coach Stevens ha schierato in più occasioni due lunghi insieme, un po’ in controtendenza con la pallacanestro moderna e anche con il quintetto con Jayson Tatum da 4 che tanto bene aveva fatto nella scorsa stagione. I risultati non sono stati incoraggianti, con una difesa ancora troppo altalenante e un attacco inevitabilmente più stagnante.

A fine anno i Celtics si troveranno probabilmente ad un bivio: Theis è in scadenza, mentre Thompson ha un’opzione giocatore. Dando per scontata la conferma di Williams, ancora all’interno del suo contratto da rookie, cosa sceglierà di fare Ainge? Punterà tutto su TimeLord, affidandosi alle lune di un giocatore affascinante ma con ancora tanti alti e bassi? Inserirà il giovane in qualche pacchetto cercando qualcosa di meglio via trade in giro per la lega? Rifirmare Theis puntando sulla continuità?

Quando si tratta dell’ex guardia dei Celtics di Bird il colpo di scena è sempre dietro l’angolo ed è complicato fare previsioni. La certezza è che la free agency 2021 non offre granché nel ruolo: Drummond sembra ben poco adatto ad una difesa heavy switch, mentre Aldridge e Ibaka hanno passato da un pezzo i giorni migliori e Harrell è tanto accattivante quanto potenzialmente un flop.

Il front office dovrà fare appello a tutta la sua fantasia, o a Boston i tifosi rischiano di rimanere “vedove di Garnett” ancora per un po’. Certo, se Tatum e Brown dovessero fare l’impresa in questa stagione si guarderebbe al problema con tutt’altra prospettiva, ma ora stiamo giocando con i sogni più reconditi e piccanti dei supporters biancoverdi…

Tags: Al HorfordBoston Celtics
Enrico Bussetti

Enrico Bussetti

Vive per il basket da quando era alto meno della palla. Resosi conto di difettare lievemente in quanto a talento, rimedia arbitrando e seguendo giornalmente l’NBA, con i Mavericks come unica fede.

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