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5 ragioni per guardare l’All-Star Game 2021

Davide Torelli by Davide Torelli
5 Marzo, 2021
Reading Time: 11 mins read
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ALLSTARS_CULTURE

Copertina a cura di Sebastiano Barban / Getty Images

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Non era scontato in tempo di pandemia, ma l’All-Star Game 2021 alla fine si terrà. Tutto pronto in quel di Atlanta, non senza polemiche da parte dei giocatori, e con una struttura completamente differente rispetto al solito. Come questi tempi particolari impongono, in una condizione in cui è necessario salvare capra e cavoli. Che tradotto nel linguaggio di una lega che si confronta da inizio stagione con palazzi vuoti, significa “soldi”, in materia di diritti televisivi e sponsor.

In ogni caso, come da abitudine l’evento rappresenta lo spartiacque tra la prima e la seconda metà di stagione, ed è occasione per analisi, valutazioni e soprattutto previsioni. Si tratta di una vetrina spesso bistrattata dai “non occasionali”, considerati i contesti e quella volontà di non rischiare infortuni da parte delle stelle in gara, con i tempi delle rivalità ormai andati e destinati a non tornare.

Eppure, per quanto in molti si affrettino a sottolineare il poco interesse verso tutto “il baraccone”, un’occhiata più o meno distratta la danno tutti. Anzi, azzardiamo, l’All-Star Game NBA è un po’ come una colpa: tutti la rifiutano, ma poi nel privato delle proprie quattro mura, la contemplano e l’accettano. Ma in questo caso non c’è niente da espiare e tanto meno qualcosa da apprendere, solo osservare quello che la National Basketball Association propone al grandissimo pubblico.

Senza aspettarsi nulla di trascendentale, se non piccoli momenti in cui stupirsi, anche se va male. Anche quando l’edizione ha poco di indimenticabile. Ecco a voi le 5 ragioni per cui può aver senso far nottata, gustandosi quello che – ricordiamolo ancora – è poco meno di un esercizio di esibizione, ed a parte le simulazioni, di competitivo non ha niente.

 

1) Tutto in una notte

Sarà un’edizione atipica, inutile ripeterlo. Basta vedere il programma snellito e compresso dell’evento, per capirlo. Ed anche qui, dipende dai punti di vista, ma potrebbe non essere così male.

Per ovvie ragioni di sicurezza, via il Rising Stars Challenge (ma i potenziali partecipanti sono stati comunque nominati), senza perdersi le tre competizioni abitualmente piatto forte nel weekend canonico. Lo Skills Challenge ed il 3-Point Contest funzioneranno da antipasto alla partita delle stelle, con lo Slam Dunk Championship a sostituire un Halftime Show con molto meno hype rispetto a quello storico del Super Bowl NFL. E che solitamente traina per interesse tutta la tre giorni di spettacolo.

Certo, la curiosità di capire come tante cose riusciranno a convivere con tempi umani di svolgimento, è tanta. Probabilmente limitando i copiosi momenti di intrattenimento per un pubblico che, stavolta e probabilmente come mai in futuro, non sarà numeroso sugli spalti. Sicuramente dimezzando il numero dei partecipanti ai relativi contest. Tuttavia la possibilità di veder tutto in una notte, senza rischiar di cedere alla curiosità e sorbirsi certi momenti imbarazzanti del venerdì, o il rischio di delusione nel Saturday di competizione, è da considerarsi più come un’opportunità che un limite.

Chiaramente lo spettro di un gruppo di giocatori svogliati si aggira sull’operazione, a maggior ragione ascoltando il rumore prodotto dalle defezioni di protagonisti attesi rispetto a quelle gare che saranno destinate ancor di più a far da contorno alla partita. E che in anni fortunati hanno offerto maggiori elementi di spunto, della stessa.

Attenzione però, perché anche in caso questa struttura incontri i favori del pubblico, è praticamente impossibile vederla ripetuta negli anni a venire. Non avrebbe senso per la NBA non sfruttare tre pienoni di fans in cambio con uno, tre differenti notti da vendere in un pacchetto più ampio, alle televisioni di tutto il mondo.

Spalmare il prodotto è una delle chiavi del suo successo economico, guardando alle casse della lega. Tuttavia, risolvere tutto rapidamente offrirebbe più giorni di riposo agli atleti impegnati, magari favorendo la voglia di tornare a competere singolarmente, anche nelle stelle che abitualmente snobbano quantomeno la gara delle schiacciate. Quella dei tiri da tre punti, anche quest’anno, dovrebbe proporre tanti specialisti che vedremo impegnati in campo poco dopo, nella sfida tra Team LeBron e Team Durant.

 

2) La sfida per l’MVP

Il titolo di miglior giocatore della partita è un qualcosa che di fatto conta poco, ma comunque resta negli annali del gioco. Difficile prevedere qualcuno che non sia “eroe di casa”, un non-valore che spesso è coinciso con il vincitore del trofeo personale. Contrariamente alle aspettative però, Trae Young non sarà tra i presenti, ed allora dobbiamo calcolare il livello di ispirazione con cui i giocatori arrivano alla pausa di metà stagione, per capire chi può spuntarla. Non dimenticandoci che uno dei grandi “decani” come LeBron James (e Chris Paul subito dopo), non avrà particolari motivazioni per premere il piede sull’acceleratore, rischiando magari qualche acciacco.

Se guardiamo al momento, James Harden è uno degli indiziati principali, considerando che ha appena vinto il premio di Player of the Month per Febbraio, almeno rispetto alla costa est. Per quanto riguarda l’ovest, anche Devin Booker sta vivendo un ottimo momento, e sarà presumibilmente motivato dal “ripescaggio” che tanto ha fatto discutere, rientrato tra i convocati a seguito della defezione di Anthony Davis.

Ed a proposito di motivazione, una sfida nella sfida destinata a rinnovarsi è quella tra Luka Dončić e Damian Lillard, che si sono giocati lo starting five dopo esser giunti sostanzialmente appaiati nei voti (hanno deciso le preferenze del pubblico).

Dopo le prime partite disputate decisamente fuori forma, lo sloveno sta ingranando confermando i suoi livelli e provando a trascinare i Mavericks vicini all’ottava piazza di Conference. Impresa non impossibile con lui ispirato. Di contro Lillard continua a convivere con quella pessima sensazione di esser calcolato sempre dietro qualcun altro, malgrado anni di prodezze e prestazioni di alto livello. Principale ragione del record dei Blazers – nonostante il numero impressionante di infortuni in questa prima parte di stagione – ha declinato la partecipazione al 3-Point Contest. Magari la sua intenzione è quella di concentrarsi sulla gara.

Particolare menzione per Bradley Beal, in testa alla classifica dei realizzatori stagionali con discreto distacco sugli inseguitori. Ovviamente protagonista della recente rinascita dei Wizards insieme a Russell Westbrook, tra gli esclusi eccellenti di questa edizione.

Infine, tra i numerosi successi personali e di squadra conquistati da Stephen Curry, manca l’MVP dell’All-Star Game. Personalmente non credo che avrà voglia di dar tutto nella partita, ma se dovesse trovarsi ispirato al tiro come spesso gli capita in questa stagione, il suo nome non potrebbe non stare tra i favoriti.

 

3) Le motivazioni degli esordienti

Come in ogni partita delle stelle che si rispetti, una lente d’ingrandimento particolare tocca agli esordienti. E questa edizione 2021 non rappresenta certo un’eccezione, considerando la presenza di nomi qualche anno fa imprevedibili. Il pensiero vola subito a Zach Lavine e Julius Randle, che tra i giocatori selezionati per la Eastern Conference erano sicuramente meno pronosticabili di Jaylen Brown. Principalmente per le squadre che rappresentano, seppur Knicks e Bulls si presentino alla pausa con record superiori alle aspettative.

Non è necessariamente detto che gli esordienti abbiano molti minuti a disposizione in un All-Star Game, ma Lavine rappresenta il prototipo perfetto per una gara simile, almeno a livello di potenziale spettacolare. E nei weekend passati lo abbiamo visto volare in ogni modo immaginabile.

La convocazione di Randle, invece, è totalmente meritata per quanto l’ex settima scelta dei Lakers nel Draft 2014, avesse proposto medie di tutto rispetto nelle ultime due stagioni. Quello che impressiona è il ruolo centrale ricoperto nel gruppo guidato da coach Thibodeau, sinonimo evidente di maturità acquisita.

Nonostante le aspettative, comunque, tanti meritevoli tenutari di un ottimo campionato ad oggi, non hanno trovato spazio nei roster dei convocati. A prescindere dalle defezioni dell’ultimo minuto. Da Malcom Brogdon a Shai Gilgeous-Alexander, passando per un redivivo Tobias Harris per giungere a nuove leve che avranno bisogno di confermarsi per tagliare il traguardo, come i vari Collin Sexton, Jerami Grant e Christian Wood. Non dimenticando un Ja Morant adattissimo ad una vetrina simile, penalizzato da un infortunio che ha limitato un avvio di stagione strepitoso, ancora in cerca della forma migliore.

Ancora una volta, la legittima lista degli assenti non fa che dar credito ad una lega stracolma di talento. Anche se l’esordiente principe della serata, il più atteso, è pronto a far scintille. E non ce ne voglia Jaylen, ma stiamo parlando di colui che da solo vale la quarta motivazione di questa lista.

 

4) Zion Williamson

No, Zion non parteciperà alla gara delle schiacciate, contrariamente alle aspettative di gran pare dei tifosi. E se questa notizia crea clamore, la causa è quella scia di hype che lo insegue da prima che entrasse nella lega. Croce e delizia per un ragazzo che, non dimentichiamocelo, ha compiuto appena 20 anni.

Eppure ancora una volta gli occhi addosso li avrà un po’ più degli altri, nella partita dei “grandi”, la prima in carriera al secondo anno nella lega. Anche se la sua stagione di esordio è stata funestata da un pesante infortunio in avvio, minutaggio contingentato ed infine dalla pausa per COVID-19, precedente ad un rientro in bolla non esattamente al massimo della forma.

In realtà, al crescere del tempo passato in campo, Williamson sta facendo registrare evoluzioni sensibili nei dati statistici stagionali, nonostante le montagne russe che stanno caratterizzando il campionato dei Pelicans. I miglioramenti appaiono progressivi, tanto che il suo mese di febbraio è stato caratterizzato da oltre il 60% di realizzazioni dal campo, per circa 27 punti per gara. Si tratta del primo giocatore dopo Shaquille O’Neal a riuscirci per in una forbice temporale simile.
E stiamo parlando di un ragazzo che, in carriera, ha giocato in tutto soltanto 59 gare totali da professionista.

Per stato di forma e caratteristiche, le sue giocate sopra al ferro saranno probabilmente le più attese della notte, e non possono che rappresentare uno di quei motivi per star svegli di cui parlavamo in introduzione. E cioè la speranza di vedere almeno una manciata di giocate uniche, a livello prettamente spettacolare, all’interno dello show. Se cercate questo, Zion Williamson sarà il vostro uomo, sono pronto a scommetterci.

 

5) Le scelte dei capitani

L’ultima ragione – ma non per importanza – riguarda le scelte dei due capitani a livello di Draft delle stelle, secondo una regola recentemente inserita per restituir senso alla gara. Come sappiamo benissimo, i giocatori NBA posseggono un ego particolarmente espanso, giustificato da una carriera di successo e da quella proverbiale competitività per cui è doloroso dichiararsi meno forti di qualcun altro. Anche alla faccia delle evidenze.

In questa circostanza, l’ordine di preferenza dei due giocatori più votati può creare precedenti, malcontenti o stringere rapporti destinati a solidificarsi anche in altri contesti. Basti ripensare alle evidenze tra James e Davis, dalla stessa parte dapprima nell’All-Star Game e poi ai Lakers, alzando per ultimi ad oggi il Larry O’Brien Trophy.

Se da una parte il più votato ad est – Kevin Durant – non sarà fisicamente in campo mantenendo il suo status di selezionatore e leader dei suoi, per l’ennesima volta dall’inserimento di questo formato LeBron James è nuovamente capitano. E stavolta il compagno in gialloviola non sarà il presumibile primo opzionabile, visto il sopracitato infortunio.

Trattandosi del primo dei due a scegliere per acclamazione popolare, il re si è permesso di creare un quintetto personale indubbiamente inedito, e molto interessante. Si parte con Giannis Antetokounmpo come first pick assoluta, per proseguire con Steph Curry ed i due europei Luka Doncic e Nikola Jokić. Che sommati al greco testimoniano ancora una volta l’importanza dei “non statunitensi” tra i top della lega. Per Durant, di contro, ci sono nell’ordine: Kawhi Leonard, il compagno ai Nets Kyrie Irving, Joel Embiid, il suo sostituto in campo ufficiale Jayson Tatum ed infine Bradley Beal.

E se intendiamo l’ordine di chiamata sinonimo di status ricoperto nella mente del capitano, è impossibile – considerando lo star power che domina la lega, e l’eventuale decisionismo dei due nelle rispettive franchigie – non pensare a dietrologie di lusinga. Che se mai avessero un senso che non sia fantabasket, lasciano intendere il sogno impossibile per i Lakers di firmare l’MVP delle ultime due stagioni (che comunque si è legato ai Bucks in avvio di questa, con il contratto più oneroso di sempre), e probabilmente il segno lasciato dalle recenti dichiarazioni di Kyrie verso King James. Tanto che l’ex compagno (ed ex amico?), malgrado i “bei tempi” andati in quel di Cleveland, si troveranno nuovamente l’uno di fronte all’altro.

E sempre guardando a LeBron, interessante valutare come – con Embiid a disposizione – abbia optato per prendersi in squadra un pupillo come Doncic, che non ha mai nascosto di essersi più volte ispirato alle sue gesta, nelle fasi di formazione del suo talento. Una decisione che lo ha obbligato ad accaparrarsi Jokić di conseguenza, per coprire lo spot di centro in fase di completamento dello starting five.

Ed a proposito di amicizie e rivalità (termine meno reale di un tempo, nella NBA di oggi), scorrendo i nomi delle riserve possiamo incontrare sia Chris Paul che Paul George dei Clippers, mentre il primo voluto da James è Damian Lillard, a dei recenti attestati di stima rilasciati sui social.

Per quanto riguarda KD, da dire che se fossi in campo avrebbe riprodotto il temibile trio che ha reso i Nets tra i favoriti di conference, accaparrandosi da subito James Harden, con Booker e Zion a seguire, per completare un Draft che, volendo, si conferma carico di potenziali suggestioni. I roster completi, li trovate qui.

Tags: All-Star Gamenba
Davide Torelli

Davide Torelli

Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.

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