I Milwaukee Bucks sono indubbiamente una delle squadre più accreditate a raggiungere le NBA Finals e lo sono, a ragion del vero, da almeno tre anni. I due primi posti nella Eastern Conference delle ultime due stagioni, impreziositi dai 2 titoli di Most Valuable Player conquistati dalla stella Giannis Antetokounmpo, non hanno addolcito le altrettante brutali eliminazioni accumulate ai Playoffs. Nella postseason 2018/2019 vennero sconfitti ad un passo dalle Finals dai Toronto Raptors di Kawhi Leonard, futuri campioni NBA, dopo essere stati in vantaggio per 2-0 nella serie. Lo scorso anno nella bolla emotivamente anestetizzata di Orlando, invece, sono stati sbattuti fuori in anticipo rispetto alla stagione precedente, al secondo turno, con un 4-1 inappellabile firmato Miami Heat.
La squadra allenata da Mike Budenholzer, saldamente sulla panchina dei Bucks dal 2018, ha visto il suo status consolidarsi come una macchina da vittorie apparentemente inarrestabile in regular season, ma incapace di fare il passo decisivo nei Playoffs. Con l’innalzamento del livello della competizione e quei maniacali aggiustamenti che rendono straordinari i contenuti tecnici della postseason, la tendenza di Milwaukee è stata quella di implodere su se stessa, accartocciandosi come un banale foglio di carta di fronte ai limiti del proprio sistema e palesando una latente frustrazione che ha minato le sicurezze del gruppo.
Un gruppo che pure sembrava pronto a giocarsi le sue chance per alzare al cielo il Larry O’Brien Championship Trophy. Difesa organizzata e coesa, pressione fisica ed emotiva sull’avversario e, poi, via con la transizione offensiva, conclusa da una tripla magnificamente costruita o da una schiacciata devastante della divinità greca. Budenholzer ha modellato la sua idea di pallacanestro attorno a Giannis e ha scelto gli interpreti del suo sistema in base alla funzionalità degli stessi con le caratteristiche, ancora in divenire, della sua stella.
I limiti evidenziati nelle ultime due edizioni dei Playoffs si sono riproposti con relativo anticipo in questa stagione, nonostante la squadra sia, almeno sulla carta, migliorata rispetto alle precedenti annate. Durante l’offseason è arrivato un giocatore importante come Jrue Holiday, tra le migliori point guard della lega, specialmente nella metà campo difensiva, e il roster si è arricchito di altri caratteristi in cerca di un’opportunità per cambiare le loro carriere. Il “picchiatello” con le mani d’artista Bobby Portis e il play nativo di New Orleans, ex compagno di Kevin Durant a University of Texas, D.J. Augustin, sono state le acquisizioni più significative. Ma soprattutto, è arrivata la stratosferica (e tanto attesa) estensione contrattuale di Giannis Antetokounmpo, la più ricca nella storia della NBA: 5 anni a 228 milioni di dollari complessivi.
La stagione dei Bucks, però, ha subito un saliscendi inatteso, complici alcune palesi difficoltà manifestate sul parquet. Il sistema Antetokounmpo-centrico si è sciolto molto prima del previsto, mettendo a nudo insicurezze e pericolosi vuoti di sceneggiatura che hanno portato in dote qualche sconfitta di troppo. I ragazzi di Coach Budenholzer si sono visti travolgere dalla normalità. Non era ancora mai capitato nel biennio inaugurale dell’allenatore ex Atlanta Hawks. La “normalità” di essere una squadra che non funziona e non riesce a trovare una risposta credibile alle proprie crepe strutturali.
Il mese di febbraio, nello specifico, ha seguito una folle sceneggiatura che ha fatto vivere momenti piuttosto intensi alla squadra. I Bucks hanno giocato 15 partite, equamente suddivise da tre strisce di risultati. Cinque vittorie consecutive in apertura, seguite da altrettante sconfitte e, infine, da cinque successi. Un rendimento umorale, a tratti lunatico, che ha strattonato emotivamente i giocatori come sulle montagne russe, sommersi da pressioni ed esaltazioni estemporanee.
La fondamentale vittoria di domenica contro i Los Angeles Clippers al Fiserv Forum ha restituito a Milwaukee parte di quella sicurezza che sembrava essere svanita nel nulla appena dieci giorni prima, dopo la doppia sconfitta casalinga in back-to-back contro Toronto. Non è stata una partita semplice, quella contro i Clips, con gli avversari avanti 100-96 a 4’ dalla sirena. Spalle al muro e con l’inerzia praticamente scivolata dalle mani, i Bucks hanno poi prodotto un parziale di 9-0, trascinati da Antetokounmpo, vincendo la gara e dimostrando maturità e consapevolezza. Due le principali note positive del pomeriggio: la prestazione superlativa di Giannis (36 punti, 14 rimbalzi, 5 assist e 4 stoppate) e il ritorno in campo di Jrue Holiday, assente da 10 partite a causa del protocollo Covid-19.
La quarantena di Holiday
Nella conferenza stampa del post partita, Holiday ha confermato di essere stato positivo al coronavirus e di aver fatto una quarantena di 11 giorni: “Non so come e quando mi sono contagiato. Sono solo felice che nessun altro componente della squadra l’abbia preso, compresa la mia famiglia. Ho avuto sintomi. Non è stato affatto divertente, ma sono felice che tutti stiano bene e che io stia bene ora”. Holiday ha raccontato la sua esperienza, definendola “non semplice” a livello fisico e mentale (perdita del gusto, stanchezza e fatica) e ha poi elogiato i suoi compagni, che in sua assenza hanno colto l’opportunità per emergere e dare un contributo ancora più significativo: “È stata una buona cosa per la squadra”. DiVincenzo, Augustin, Connaughton e Forbes hanno tutti fatto un passo avanti nel momento di necessità.
Il ritorno sul parquet di Holiday rappresenta sicuramente una notizia positiva per Milwaukee, che ritrova in backcourt un giocatore dal QI cestistico elevato, dotato di una forte presenza a livello mentale. Ci vorrà del tempo per rivederlo al meglio, ma solo il fatto di essere tornato riveste significati importanti: “Sentivo che le mie gambe erano ok, ma ero un po’ rallentato”. Con Holiday di nuovo in cabina di regia, i Milwaukee Bucks vogliono riprendersi il trono della Eastern Conference. Stavolta, possibilmente nella postseason.
Giannis ora sa come si fa
I numeri di Antetokounmpo nel mese di febbraio dicono: 30.7 punti (55% al tiro), 12.3 rimbalzi, 6.1 assist, 1.4 recuperi e 1.7 stoppate di media. Il suo unico obiettivo sul parquet è “divertirsi ad ogni possesso” e nella gara contro i Los Angeles Clippers ha dimostrato di saperlo fare anche nella metà campo difensiva, marcando assieme al compagno Khris Middleton giocatori come Kawhi Leonard e Paul George: “È l’orgoglio a spingerci a farlo. Riguarda l’ego. Personalmente amo questo genere di situazioni, specialmente nel finale di gara. Sento la grandezza. Quando giochi contro i migliori al mondo nei momenti decisivi e tu stai cercando di fermarli e loro di segnare per vincere la partita, è il momento in cui si manifesta la grandezza”.
La gioia di vivere la pallacanestro appieno, abbandonandosi totalmente ad essa, è il segreto della mentalità competitiva di Antetokounmpo, straordinario nell’esplodere la schiacciata che ha definitivamente spazzato via Los Angeles dal parquet del Fiserv Forum nei secondi finali del quarto periodo. E sul momento negativo appena trascorso dalla squadra, il pensiero dell’MVP regnante è chiaro: “Ci aiuterà nel futuro ad essere migliori”. Imparare dai propri fallimenti, senza andare nel panico o lasciandosi travolgere dagli eventi, ma abbracciando le difficoltà come una fase di transizione verso il successo. Parla da leader, Giannis Antetokounmpo, ed è esattamente quello che i Milwaukee Bucks e tutta la NBA si aspettano da lui.
Il suo futuro è lassù, in cima alla scalinata che conduce alla grandezza.