In questa puntata dell’Osservatorio NCAA troviamo la caduta delle Powerhouses e la vicenda Jalen Johnson-Duke, la cancellazione del torneo della D-III, un paio di talenti come Wright IV e Liddell ed i cervelli superiori che albergano nelle teste dei giocatori di Stanford.
La caduta degli dei
Abbiamo parlato a lungo degli enormi problemi di Duke, UNC, Kentucky ed infine Michigan State, ma recentemente al gruppo delle powerhouses fuori dal ranking aggiungiamo Kansas e UCLA. Una ecatombe di superpotenze forse non a caso in crisi nonostante la capacità di attrarre per il nome e la visibilità mediatica i migliori talenti in uscita dalle high school.
In una stagione in cui i protocolli anti-covid hanno limitato la possibilità di lavorare assieme, persino nei pick up games, le squadre intrise di potenziali one and dones hanno faticato a carburare a favore invece di mid-major come Gonzaga, Baylor, Villanova o Alabama abituate a impegni pluriennali sui propri atleti e con nuclei importanti di giocatori upperclassmen.
E le acque sono agitatissime a Durham con il candidato alla prossima lotteria del draft Jalen Johnson (11.2 ppg 6.1 rpg) che ha deciso di abbandonare la squadra, ufficialmente per non rischiare infortuni ma con molte voci che parlano di grosse frizioni già da inizio stagione fra lo staff tecnico e l’entourage del ragazzo che ha già abbandonato per ben tre volte le sue squadre di liceo e si porta dietro un padre considerato ingombrante.
Johnson aveva in realtà cominciato bene la sua avventura a Duke per poi sparire a causa di un mai ben chiarito infortunio al piede. Durante la sua assenza poi la squadra, trascinata da un Matthew Hurt riportato al suo ruolo naturale, aveva cominciato a crescere e giocare meglio per poi crollare letteralmente al momento del rientro di Johnson, tornato in campo con una pessima attitudine difensiva ed una preoccupante propensione alle palle perse.
Nelle ultime uscite un sempre più stizzito Mike Krzyzewski aveva provato i classici metodi per stimolare un talento impigrito come toglierlo dal suo posto in quintetto base a favore di Mark Williams, ridurre il suo minutaggio ed infine tenerlo per l’intero secondo tempo seduto in panchina nel derby vinto (bene) dai Blue Devils contro NC State. La risposta di Jalen Johnson è stata allora quella di svuotare l’armadietto ed andarsene abbandonando la squadra a tre settimane dalla fine della stagione ed in vista di un ultimo – disperato – tentativo di vincere il torneo della ACC per conquistare un posto al Torneo NCAA.
Un atteggiamento che sarà sicuramente stato notato dagli scout NBA, qualcosa che nemmeno due primissime scelte sicure come Kyrie Irving e Zion Williamson si erano permessi di compiere, lavorando invece duramente per rientrare dai loro infortuni per il finale di stagione.
Però anche Coach K dovrebbe rivedere qualcosa riguardo al decennio della cosiddetta Brotherhood che ha portato un solo titolo – quello del 2015 con la coesione magicamente quagliata fra Jahlil Okafor, Tyus Jones e Justise Winslow – ed una serie di clamorose delusioni nonostante i tanti talenti da NBA arrivati nel bel campus di Duke, mentre altri college come Virginia dominavano la ACC con una filosofia totalmente inversa: Mike Krzyzewski in questa fase crepuscolare della sua gloriosa carriera ha intenzione di tornare ad allenare e crescere degli atleti o vuole continuare a gestire questi bizzosi talentini con la sola NBA in testa? Ed in tal caso non è forse ora di lasciare al suo erede designato Jon Scheyer le redini della squadra? O magari al sogno proibito – ma forse no – Brad Stevens il compito di gestire i Blue Devils possibilmente tornando a quei valori come lo studio in classe, la coesione in campo e la crescita tecnica che era stato il mantra di Duke per almeno trent’anni?
Il Torneo della Division III salta…
Tutti i tornei post-stagionali della D-III saltano… non solo la pallacanestro ma anche pallavolo, nuoto, ginnastica eccetera… questo va a colpire migliaia di atleti – non quelli di primo livello, ma che comunque lavorano duramente pur senza grandi prospettive di professionismo – ufficialmente a causa dell’esiguo numero di squadre iscritte, ma certamente con la pandemia che ha influito aumentando i costi di gestione di ogni team e diminuendo la sicurezza fisica degli atleti.
Questi tornei non sono poi nemmeno a basso costo e la NCAA, che lo scorso anno a causa del covid ha perso centinaia di milioni di dollari per la cancellazione del Torneo NCAA, potrà risparmiare qualche milione non organizzando i Tornei della D-III dai quali, ricordiamocelo, negli anni passati sono transitati giocatori come Jack Sikma, Devean George o Terry Porter.
Nel frattempo, altri college di Division I sono bloccati dai protocolli anti-covid cosicché Virginia Tech o Memphis non possono giocare, mentre Howard – dove giocava l’interessante Makur Maker – e Maine si sono ritirati e non proseguiranno a giocare per il resto della stagione a causa della pandemia.
Il piccolo Chris Paul
Tornando a parlare di pallacanestro giocata, uno dei giocatori tutto sommato più sottovalutati è McKinley Wright IV – ebbene sì, sono già quattro generazioni che i Wright chiamano McKinley il proprio figlio (!) – point guard di Colorado che è il primo giocatore della storia della Pac12 ad avere superato i 1600 punti 600 rimbalzi e 600 assist. Un’impresa considerando che si tratta di una conference che in passato ha visto fenomeni nel suo ruolo come Jason Kidd, Gary Payton, Kevin Johnson o Chauncey Billups, quest’ultimo proprio a Colorado.
Wright ha un fisico compatto nei suoi cento ottanta centimetri di altezza e possiede l’arte perduta del gioco dalla media distanza che ne fa un piccolo clone di Chris Paul, sta viaggiando a 14.4 ppg, 4.3 rpg e 5.7 apg e sta trascinando i Buffaloes verso il prossimo Torneo NCAA.
Menti speciali a Stanford
Per giocare e studiare a Stanford ci vogliono voti alti ed una mente all’altezza, aspetti non secondari per poter frequentare l’esclusivo college adiacente alla cittadina di Palo Alto a sud di San Francisco dove uno studente paga in media quasi 65.000 $ all’anno per la frequenza. La squadra di pallacanestro poi non è mai stata banale: a partire dalla prima grande stella della storia della pallacanestro: Angelo “Hank” Luisetti nato a Frisco da genitori originari del lago Maggiore ed inventore – o meglio sarebbe da dire colui che lo ha perfezionato e reso famoso a livello nazionale – del tiro con una mano in corsa da cui nascerà in seguito l’odierno tiro in sospensione, infatti sin lì si tirava solo a due mani e da fermi.
Siamo a metà anni Trenta e Luisetti cambierà la pallacanestro pur non giocando mai un solo minuto da professionista, ma il suo quadriennio con la casacca rossa ed il numero 7 stampato diventerà iconico con intere masse di tifosi pronti a seguirlo, specialmente nei tour giocati nei palasport dell’Est degli Stati Uniti dove gli organizzatori locali riempivano un Madison Squadre Garden grazie alla sua presenza ed il suo modo rivoluzionario di giocare. Con una “legacy” simile la storia dei Cardinal, rigorosamente senza la s finale poiché non si tratta dei cardellini ma del colore rosso delle casacche, non è mai stata banale specie sotto Coach Mike Montgomery che raggiunse nel 1998 la Final Four perdendo coi futuri campioni di Kentucky di coach Tubby Smith.
La stella, intesa come prospetto NBA, dovrebbe essere Ziaire Williams, figlio di militari e filiforme ala piccola dotato di grande classe ed intelligenza cestistica che nella sua esperienza da freshman sta viaggiando a 11.7 ppg e 5.4 rpg ma che non siamo così certi che si dichiarerà per la NBA seguendo il classico destino dei one and dones.
In realtà il leader assoluto è il tedesco, con padre ex pugile brasiliano, Oscar da Silva, ala forte di 2.06 e braccia lunghissime nato a Monaco di Baviera e cresciuto alla Basketball Akademie München. Ragazzo assolutamente speciale e di enormi qualità: parla sei lingue (inglese, tedesco, portoghese, spagnolo, francese e persino latino) ed a Stanford si sta laureando in biologia specializzandosi in cellule staminali creando campioni di tessuto, studiando le funzioni cellulari ed il modo di inibire patologie gravi.
Insomma, uno scienziato in divenire nella vita, ma pure sul parquet si dimostra uno studioso del gioco: QI di livello superiore (ma non avevamo dubbi) buone capacità tecniche e tempismo a rimbalzo e nelle stoppate per compensare una esplosività non di primo livello. Nel suo anno da senior sta volando a 19.2 ppg 6.9 rpg 57% al tiro, 79% dalla lunetta ed un promettente 32% dalla distanza e se la NBA non si mostrerà interessata a questo ragazzo siamo certi che i club di Eurolega, Bayern Monaco di Coach Trinchieri in testa, saranno pronti a lanciarsi su questo piccolo grande genio.
Il ritorno di Ohio State
Era il 2012, in panchina c’era Coach Thad Matta ed in campo le stelle erano Jared Sullinger e Deshaun Thomas con alla regia l’amatissimo Aaron Craft. Con questo cast Ohio State giocava la sua ultima Final Four perdendo in semifinale di misura con Kansas, da quel momento i Buckeyes hanno visto un doloroso cambio di panchina nel 2017 con l’allontanamento di Matta sostituito da Chris Holtmann da Butler ed anni comunque discreti con un paio di secondi turni al Torneo NCAA ma senza esser più stata considerata una squadra da titolo.
Ma quest’anno con un EJ Liddell in grado di prendere l’eredità di Keita Bates-Diop i bianco-rossi sono tornati al #4 del ranking lottando con gli odiati rivali di Michigan – pronti a rientrare dopo tre settimane di stop causa Covid – ed i Fightin Illini di Illinois per l’egemonia della durissima Big Ten che annovera altre due squadre nel ranking come Iowa e Wisconsin e due team appena fuori come la sorpresa Rutgers e Purdue. Una vera Royal Rumble da gustare in questo finale di stagione coi Buckeyes, squadra altruista che gioca duramente e fa tutte quelle cose giuste per vincere, a cercare di esser protagonisti sino in fondo.
EJ Liddell fa parte della tribù dei Millsap ovvero quei giocatori sui due metri scarsi dotati di grande forza fisica e robusti garretti in grado di ovviare alla mancanza di centimetri nelle lotte in area, al suo secondo anno ha più che raddoppiato i suoi punti (da 6.7 a 15.1) ed i rimbalzi (da 3.8 a 6.7) mostrando anche confortanti miglioramenti sia nel tiro dalla media che nel tiro da tre (da 19% a 31%) diventando così un giocatore difficile da contenere oltre che un ottimo difensore ed un uomo squadra. Non una stella assoluta ma un vincente.
Twitter Friendly
“Cerchiamo avversaria per partita casalinga questa settimana, per favore contattateci se interessati” era il tweet uscito sulla pagina ufficiale dei Tar Heels di North Carolina. Poche ore dopo Northeastern University, bel college bostoniano situato nella zona sud della città non lontano dal mitico Fenway Park dei Red Sox, secondo in classifica nella Colonial ha accettato la sfida nonostante il poco tempo a disposizione per programmare la trasferta a Chapel Hill.
Ma come mai questo modo inusuale, quasi rivoluzionario, per organizzare una partita nel minor tempo possibile? Semplice… perché North Carolina ha giocato pochissime gare casalinghe questa stagione a causa del Covid: come quella con Virginia Tech annullata per la pandemia in corso fra gli Hokies o quella con Miami annullata dopo che sui social sono uscite le foto di Bacot e Sharpe – due grandi menti – che festeggiavano senza mascherina la vittoria su Duke ad un party, coi Canes che hanno rapidamente girato il pullman sulla highway in stile Blues Brothers e sono tornati a Coral Gables in mancanza dei tempi minimi per accertarsi della negatività al coronavirus dei due lunghi di Roy Williams.
Il problema è che UNC ha un disperato bisogno di vittorie visto che al momento è fuori dalla bolla per gli ultimi posti dei 64 a disposizione per il torneo NCAA, avrebbe voluto un’avversaria di livello superiore per recuperare posizioni nel complesso algoritmo che calcola quali siano le “elette” alla Big Dance: Northeastern, considerata un’avversaria di “grado 3” è un rischio, se vincono i Tar Heels migliorano di poco la loro situazione, se invece perdono sarebbe un disastro epocale ma Roy Williams ha bisogno di partite – anche per far crescere un gruppo pieno zeppo di freshmen – e non ha potuto fare troppo lo schizzinoso perché il tempo passa e la situazione è ancora complicata per Carolina…