Adesso non ci sono più dubbi: Zach LaVine è un All-Star. Non perché abbia già ricevuto la convocazione per la Partita delle Stelle del prossimo 7 marzo e non solo per quello che è capace di fare, come singolo, in un campo di basket. Ma per quanto stia diventando, partita dopo partita, il leader che stavamo cercando e che in molti (compreso chi vi scrive) dubitavano sarebbe mai diventato. Del suo straordinario impatto sulla stagione (e dei suoi miglioramenti) ne avevamo già parlato nel nostro ultimo articolo, quando però l’annata era appena agli inizi.
Adesso il campione di partite è cresciuto, con un 1/3 della stagione già in archivio, così come l’impronta di LaVine sulla squadra. Nelle ultime 5 partite sta viaggiando a 35.2 punti di media, col 55% dal campo ed il 57.2% da 3. Cifre irreali, che però non esprimono a pieno tutto quello che il prodotto da UCLA sta mettendo sul parquet. Cifre (e prestazioni) che non riescono a toglierci dalla mediocrità, in una Eastern Conference già di per sé abbastanza mediocre.
Infatti, nonostante questo LaVine formato All-Star, la nostra stagione non riesce a decollare. I motivi che stanno frenando la nostra crescita (comunque evidente rispetto alle ultime sciagurate stagioni) sono molteplici: gioventù, discontinuità, scarsa cultura vincente. Ma è evidente che il fattore che più di tutti sta minando il nostro cammino sia legato agli infortuni. Basti pensare infatti che, in questa prima porzione di stagione, sono ben 7 i quintetti diversi utilizzati da coach Donovan, con quello che sulla carta doveva essere il titolare, visto solo in 6 occasioni.
Sfortuna certo ma anche qualcosa di più profondo, legato alla situazione clinica di tre giocatori, Wendell Carter Jr., Lauri Markkanen e Otto Porter Jr., tanto fondamentali nel progetto Bulls, quanto dannatamente fragili e molto propensi all’infortunio. Il prodotto da Duke rappresenta il caso più eclatante ed allo stesso tempo sconcertante (per noi) . Scelto dai Bulls nel Draft del 2018, ha saltato 73 partite (11 in stagione) sulle 173 a sua disposizione. Un numero drammaticamente alto che certo non ha contribuito alla sua crescita, né alla creazione di una chimica di squadra.
Va meglio a Lauri Markkanen. O forse meglio dire che va “meno peggio”. Il finlandese infatti è sceso in campo in 202 occasioni sulle 273 disponibili, saltando dunque “solamente” 71 partite di cui 12 nella corrente annata. Ragionando in termini di frontcourt, i due hanno giocato insieme appena 69 volte, di cui 7 in questa stagione, a fronte delle 172 possibili. Basterebbero questi numeri per spiegare il perchè, stentiamo più del previsto, anche in questa stagione.
Ma siamo in debito di un altro giocatore, quell’Otto Porter Jr. che in sede di presentazione dell’annata, avevamo indicato come ago della bilancia per i nostri successi, se la salute lo avesse assistito. E invece l’ex Wizards, di star bene per una stagione intera, proprio non ne vuole sapere. Ad oggi sono già 10 le gare saltate che vanno ad aggiungersi alle 60 che aveva perso dal suo arrivo ai Bulls.
Insomma, se per quanto riguarda questa stagione, possiamo pure rammaricarci per l’assenza di fortuna (visti anche i problemi fisici di Satoranský e l’assenza prolungata di Hutchison), è evidente che il problema legato ai tre sia ben più serio. Cosa fare dunque? Oltre a tutti i riti propiziatori del caso, un rimedio (forse più valido e sensato) potrebbe essere affidarsi al mercato.
Tre giocatori con questo storico infatti sono una tassa troppo pesante per qualsiasi squadra, soprattutto per la nostra, ancora in cerca della sua vera identità. Per di più i contratti di Markkanen e Porter Jr. sono in scadenza e quindi cercare di usarli come pedine di scambio potrebbe essere tutt’altro che una cattiva idea. Al 25 marzo, data indicata per la trade deadline, manca ancora oltre un mese: palla dunque al duo Karnisovas-Eversley che, sfruttando la leva degli infortuni, potrebbe decidere di rinnovare il nostro roster.
Gherardo Dardanelli per Bulls Nation Italia