La clamorosa playoff run dei Miami Heat nell’ultima stagione ha forse messo in ombra una regular season anch’essa al di sopra delle aspettative. Per ESPN gli Heat avrebbero chiuso la stagione al sesto posto ad est con 43 vittorie, mentre sono riusciti a vincere 44 incontri disputando 9 gare in meno delle classiche 82. L’attacco dinamico e la solida difesa mostrati dagli Heat, insomma, non nascono nella bolla di Orlando. Le basi sono chiaramente state gettate prima, con Spoelstra che oltre a poter sperimentare schemi e rotazioni, ha potuto beneficiare di elementi più o meno inaspettati: l’impatto di Jimmy Butler al di sopra di ogni previsione, la costante crescita di Adebayo e il boom dei giovani: Robinson, Herro e Nunn.
Se delle abilità da cecchino del primo e della clutchness del secondo si è parlato abbondantemente, meno si è discusso dell’apporto di Kendrick Nunn, divisivo fin da subito anche tra i fan, e costantemente considerato il principale agnello sacrificale per giungere a un bene più grande. La guardia (allora già 23enne) di Chicago si era candidata al draft 2018, finendo undrafted. Accolto poi dai Warriors e subito girato al loto team di G League, è riuscito infine a strappare un contratto triennale da circa 3 milioni totali con i Miami Heat.
Ancora fuori dai radar, Nunn si è presto ritrovato nello starting five (ha iniziato da titolare tutte e 67 le partite di RS in cui ha giocato), data l’intenzione di coach Spo di preservare Dragić, a cui ha affidato le chiavi della second unit. L’inizio è stato dei migliori: è diventato il giocatore dei Miami Heat con più punti nelle prime 5 partite, superando Dwyane Wade e LeBron James. Gara dopo gara ha iniziato a guadagnarsi le luci dei riflettori, fino a creare una vera e propria Nunn-Mania in una fetta di tifosi. Dapprima alcuni hanno iniziato a presentarsi all’AAA travestiti da suora (data la similitudine tra il suo cognome e appunto il termine nun, suora), fino a giungere ad un vero e proprio endorsement dai piani superiori, letteralmente:
Nel prosieguo della stagione, Nunn si è portato a casa diversi record come rookie undrafted: tre premi di rookie del mese della Eastern Conference (su un totale di quattro assegnati) e il secondo posto nella classifica per il ROTY.
Se ci fermassimo qui, penseremmo di essere davanti una papabile nuova futura stella, l’ennesima gemma scovata da Riley. Eppure non è questa la percezione che si ha di lui, anche all’interno della fanbase Heat. Oltre ad essere in parte stato oscurato dal talento dell’altro esordiente Tyler Herro, le prestazioni di Nunn hanno subito un vertiginoso declino nella bolla di Orlando, dove è arrivato in ritardo per aver contratto il COVID-19.
Le sue cifre sono passate da 15.2 punti (44% FG, 35% 3PT e il 51.4% eFG) con 3.2 assist in oltre 29 minuti di impiego a partita, a 6.1 punti (39.1% FG, 27.9% 3PT e 45.7% eFG), accompagnati da soli 0.8 assist in 15.9 minuti. La scarsa produttività del suo scoring – praticamente la sua sola e migliore abilità -, unita ai deficit in difesa dovuti anche a limiti fisici (188 cm x 86 kg), lo hanno portato fuori dalle rotazioni, non troppo lentamente e senza troppe remore. Ha rivisto il campo proprio alle Finals, dove si è reso necessario data l’assenza di Goran Dragić per infortunio.
Nonostante – cifre alla mano – Nunn e Herro si siano dimostrati molto simili nella loro prima regular season, esiste una notevole differenza nella loro valutazione. Esaminiamo brevemente i motivi. Herro è un classe 2000, quindi ben 5 anni più giovane, e sarà sotto contrato con gli Heat per altri 2 anni, mentre alla fine di questa stagione, Nunn diventerà free agent.
Seppur simili in termini di scoring, in quanto entrambi in grado di crearsi tiri dal palleggio con una certa efficacia, oltre ad una freddezza da veterano nei finali di gara, il prodotto di Kentucky si è mostrato più attivo a rimbalzo e con una buona propensione alla creazione di gioco, tale da aver portato Erik Spoelstra a impiegarlo come point guard titolare all’inizio di questa stagione, salvo poi fare recentemente dietrofront dati i risultati forse al di sotto delle attese.
In sostanza, mentre Nunn appare decisamente vicino al suo ceiling, il collega offre quanto meno la possibilità di miglioramenti anche imponenti fino alla maturità cestistica.
Dopo le prime 26 partite di questa stagione, le cifre di Nunn si attestano in media praticamente sugli stessi livelli dell’anno da rookie. Completamente diverso è stato però il suo utilizzo. Per ben 6 volte non è entrato in campo, in 4 occasioni è stato impiegato meno di 10 minuti, registrando 2.75 punti di media con il 24% al tiro e l’11% da 3. All’opposto, in 13 incontri ha giocato per 30+ minuti, registrando in media 17.7 punti con il 47.9 al tiro e il 35% da oltre l’arco, cifre che si sono alzate ulteriormente negli ultimi 5 incontri (18.2 PPG, 50.7% FG, 39.47% 3P, 33.4 MP), che costituiscono 5 delle sole 6 volte in cui è stato inserito nel quintetto base.
L’impressione è dunque che se il roster è al completo, Nunn sia fuori dalle rotazioni. Ciononostante, si fa trovare presente quando chiamato in causa, garantendo il solito apporto, e migliorandolo in tutti i termini all’aumentare del minutaggio concessogli.
Tirando le somme, Kendrick Nunn può essere considerato un elemento utile ma non fondamentale di questi Miami Heat. Probabilmente massimizzerebbe il suo apporto nella second unit, dove porterebbe punti e movimento, ma la forma di Dragić – e la sua assenza – lo costringono all’inserimento nello starting five, dove la sua monodimensionalità non lo rende imprescindibile. In sostanza, il suo non variegato contributo può essere compensato abbastanza agevolmente. Con Bradley a completare il reparto guardie, e compiti di creation affidati a Herro, è inevitabile finisca ai margini delle rotazioni. I numeri messi a segno quando richiesto, comunque, fanno comodo ai Miami Heat sotto molteplici punti di vista, poiché lo rendono un asset positivo. Se infatti esistono due linee di pensiero relativamente al suo valore effettivo, Nunn mette tutti d’accordo sul fatto che probabilmente sarà inserito in una trade alla prima occasione utile.
Marco D’Amato per Miami Heat Italia