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Draymond è odio o amore
È il migliore role player di sempre?

Davide Fumagalli by Davide Fumagalli
12 Febbraio, 2021
Reading Time: 12 mins read
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Draymond Green

Copertina a cura di Marco D'Amato / Getty Images

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Dici Draymond Green e pensi Golden State Warriors. É facile, è immediato, perché il ragazzone di Saginaw, nel Michigan, è simbolo della “dinastia” che ha segnato la NBA nello scorso decennio tanto quanto lo sono gli “Splash Brothers” Stephen Curry e Klay Thompson. Tre pezzi fondamentali di un puzzle che poi è cambiato nel corso degli anni, ma la base sono sempre loro. E Dray, pur essendo evidentemente quello col minor talento talento tecnico, è forse quello più determinante perché da sempre è il barometro, l’ago della bilancia dei “Dubs” dentro e fuori il parquet.

Il suo ruolo è imprescindibile: per fare un paragone abbastanza calzante e non troppo lontano nel tempo, visto che è tornato in auge con la serie “The Last Dance”, Green potrebbe benissimo essere quello che era Dennis Rodman nei Chicago Bulls di Michael Jordan e Scottie Pippen. L’ex Spartans è uno dei giocatori di ruolo migliori di questo millennio, uno che ha trovato a Golden State la sua isola felice, il suo “posto nel mondo”, l’incastro perfetto del mosaico, ed è tutt’altro che certo che avrebbe lo stesso peso altrove, lontano dalla Baia di San Francisco.

Green in questi nuovi Warriors in cerca di un’identità è ancora più imprescindibile per il suo rapporto con Curry, l’intesa con coach Steve Kerr, il ruolo di leader emotivo e, non meno importante, la figura di tutor che ha coi più giovani, in primis James Wiseman, seconda scelta assoluta dell’ultimo Draft e da subito sotto l’ala protettiva dell’ex allievo di Tom Izzo a Michigan State. A proposito, Izzo, che lo ha allenato per quattro anni a East Lansing, è quello che meglio ha riassunto cosa sia davvero Draymond Jamal Green Sr a Yahoo Sports: “Potete dirmi tutto quello che non sa fare, io invece vi dico quello che sa fare: qualunque cosa serva per vincere”.

 

Uguali ma diversi: il paragone con Dennis Rodman

La similitudine con il “Verme” ci sta proprio all’interno del contesto, Green per i Warriors, Rodman appunto per quei Bulls della seconda metà degli anni Novanta. Due istrioni, due giocatori, anzi due personaggi, con una personalità enorme ed impattante seppur con espressione diversa, più vocale quella di Dray, più di immagine col look, i tatuaggi, i piercing, i capelli colorati, quella di Dennis.

In campo però la stessa capacità di dominare una partita pur senza essere il miglior marcatore, il più talentuoso, il miglior atleta, il più alto, il più veloce, il più muscoloso: la capacità di entrambi di capire e vedere il gioco un secondo prima, in attacco e in difesa, è il frangente che più li accomuna e li rende due clamorosi role player. Viceversa anche la possibilità di creare fratture nello spogliatoio e problemi sul campo coi loro comportamenti, gli errori, le proteste, e quant’altro.

Proprio Rodman, in un’intervista del settembre 2019 a Bleacher Report, disse: “I giocatori devono avere il coraggio di scendere in campo tutte le sere e dare alla squadra tutto quello di cui c’è bisogno per vincere. Draymond Green si avvicina a questa definizione. Ma a parte lui non vedo altri giocatori con lo stesso fuoco, con la stessa passione per il gioco. Il giocatore che cerco pensa: vado la fuori a fare il mio lavoro, a vincere per gli altri, e la mia gratifica sarà un anello di campione NBA al dito”.

 

Lingua lunga e comportamenti sbagliati: il lato oscuro della luna

Green non è uno dei giocatori più amati nella NBA, per tanti è considerato un sopravvalutato e tende a non farsi troppi amici. A volte qualche sua azione è costata cara anche agli stessi Golden State Warriors. L’apice è la squalifica in gara 5 delle Finals 2016 a seguito dell’alterco con LeBron James in gara 4 con conseguente sospensione per aver superato il limite di “flagrant fouls”. Un errore pagato a carissimo prezzo perché i “Dubs”, quelli della regular season da 73-9 e avanti 3-1 nella serie con in palio il titolo persero la gara 5 di cui sopra e poi l’intera serie, chiusa da una gara 7 ricordata per la stoppata di James a Iguodala e per la tripla di Kyrie Irving, non per la debordante prova di Green da 32 punti, 15 rimbalzi e 9 assist, ultimo ad arrendersi.

Poche settimane prima, in quegli stessi playoff 2016, in molti ricorderanno il calcio nelle parti basse di Steven Adams nella serie contro gli Oklahoma City Thunder, vinta in rimonta da 1-3 da quei Warriors.

Andando avanti c’è il famoso battibecco con Kevin Durant a fine 2018 sul finire di un match perso a Los Angeles contro i Clippers, segno di una tensione vibrante nello spogliatoio di un gruppo che già sapeva di essere all’ultimo atto assieme. “Noi non abbiamo più bisogno di te. Non ti vogliamo più in questa squadra. Abbiamo già vinto anche senza di te, vattene pure. Vedremo cosa perderemo quando andrai via e qualsiasi destinazione tu sceglierai, sarai comunque una p*****a in questa lega”, le parole riportate da Yahoo Sports di Green, poi sospeso dai Warriors. La frattura venne ricomposta, ma non c’è dubbio che quello spogliatoio, con anche DeMarcus Cousins, fosse una polveriera.

Nella scorsa primavera, durante una delle tante interviste con la NBA ferma per la pandemia, Green andò all’attacco di uno dei suoi più grandi detrattori, Charles Barkley. “È geloso del fatto che abbia avuto il successo che ho avuto, dei soldi che ho guadagnato, dei titoli che ho vinto, tutte cose che Charles Barkley non è mai riuscito a ottenere. Si comporta come si comportano alcuni tifosi su Twitter. ‘Io ho segnato più punti di Draymond Green’. Perfetto, bravissimo. Questo non vuol dire che sei stato meglio di me, che hai avuto sul gioco l’impatto che ho avuto io”, disse Dray a “All the smoke”, podcast tenuto da Matt Barnes e Stephen Jackson.

Poi, quest’anno, un altro paio di episodi. Prima lo sfogo in seguito al battibecco tra il compagno Juan Toscano-Anderson e Rodney McGruder al termine della gara coi Pistons: “Ma da quando Rodney McGruder è diventato il ragazzo duro della squadra? Ultimamente tutti vogliono fare i duri in questa lega. E non capisco, perché poi nessuno fa nulla. Se avesse veramente voluto fare qualcosa, avrebbe potuto. Invece si è presentato davanti a lui, dicendo qualche stupida parola e poi se ne è andato. Sono certo che in troppi si vogliono mostrare coraggiosi. Ma come si fa ad avere paura di Rodney McGruder? Senza senso”.

“When the f–k Rodney McGruder become the tough guy of the team? … Ain’t nobody scared of no damn Rodney McGruder. F–kin’ kidding me?”

Draymond went off ?

*NSFW*

(via @KNBR)pic.twitter.com/ZfjAdIPl07

— Bleacher Report (@BleacherReport) January 31, 2021

E poi, ultimo in ordine di tempo, la “figuraccia” contro i San Antonio Spurs, con sconfitta dei Warriors perché Green, coi suoi sotto di tre punti, era convinto che gli avversari avrebbero fatto fallo e lo avrebbero spedito in lunetta, e così ha tirato da quasi metà campo sicuro di conquistare tre liberi: invece il fallo non è mai arrivato, il pallone men che meno a canestro, e così sono svanite le speranze dei “Dubs”. Nel post partita Dray si è cosparso il capo di cenere: “Pensavo di fare una giocata intelligentissima, ma si è rivelata una stupidata colossale”.

 

La leadership, l’intesa con Curry, tutor di Wiseman: best of Dray

Detto dei lati negativi di “radio” Green, ci sono anche tanti aspetti molto positivi e di cui i Golden State Warriors proprio non riescono a fare a meno. In primis la leadership in campo e nello spogliatoio, una caratteristica che lo contraddistingue da sempre, fin dai tempi di Michigan State, e che poi gli ha permesso di affermarsi in NBA al netto di un talento tutt’altro che clamoroso, confermato anche dal fatto che fu una seconda scelta al Draft 2012.

“Non credo di aver bisogno di altro da Draymond. Penso che il suo coinvolgimento sia fantastico. Sta davvero facendo un ottimo lavoro alla guida della squadra. È molto vocale nelle sessioni video. È schietto e diretto nel tentativo di guidare un gruppo di ragazzi, su come farlo diventare squadra in campo. È attivo. Aiuta moltissimo la nostra difesa ad avere un certo tono“, le parole di Steve Kerr riportate dal San Francisco Chronicle qualche giorno fa.

La sua presenza è decisiva per la squadra, più ancora lo è per Stephen Curry. I due hanno sviluppato un’intesa quasi telepatica, si trovano ad occhi chiusi, sono diametralmente opposti come carattere, ma allo stesso tempo sono due duri, due leader, come detto i pilastri insieme a Thompson della “cultura Warriors originale”.

“Penso di aver cambiato il gioco con l’aiuto di Steph Curry. Penso che Curry abbia cambiato il gioco col mio aiuto. E poi è arrivato Klay Thompson e noi tre assieme abbiamo cambiato la pallacanestro per sempre”, disse Dray in quella già citata chiacchierata della scorsa primavera con Barnes e Steph Jackson. Un’intesa, quella con Curry, nata durante i viaggi in trasferta sull’aereo in cui i due giocavano, e vincevano, spessissimo a poker: lo ha raccontato l’assistente allenatore Bruce Fraser, secondo cui Dray e Steph hanno sviluppato una chimica che li ha poi abituato a capirsi con un solo sguardo anche in campo.

A proposito di Curry, la presenza di Green sul parquet è decisiva e testimoniata dai numeri in questa stagione: Wardell tira con percentuali nettamente migliori sia dal campo, sia da tre, ha uno usage minore e una forbice di quasi 8 punti di plus-minus parametrati su 36 minuti!

L’importanza di Draymond Green per i Warriors e soprattutto per Stephen Curry: il giorno e la notte, o quasi…

via @nbastats #NBA #DubNation @warriors pic.twitter.com/L4DjVZnsO2

— Davide Fumagalli ??? (@DavideFuma) February 9, 2021

Infine il ruolo di tutor, o fratello maggiore, del rookie James Wiseman, ragazzo dal potenziale enorme, doti tecniche e fisiche rare per un sette piedi, ma una comprensione del gioco tutta da costruire, soprattutto in difesa. E chi meglio di Green per imparare l’ABC della NBA? Nessuno probabilmente! Per il suo rookie Dray è stato anche espulso, visto che nella gara persa in casa coi Knicks dello scorso 22 gennaio ha incassato il secondo tecnico poco prima dell’intervallo perché uno degli arbitri ha pensato fossero rivolti a lui determinati insulti: in realtà quelle parole erano per Wiseman…+

Qualche giorno prima invece le telecamere di TNT avevano ripreso Green che si rivolgeva alla matricola e lo “telecomandava” nella gara vinta allo Staples Center contro i Lakers, spiegandogli i trucchi del mestiere, dove e come doveva posizionarsi, e come comportarsi contro un veterano come Marc Gasol. “Ho grandi speranze per lui e credo nelle sue capacità, delle quali sono consapevole. So che può gestire quelle situazioni difficili e migliorerà ancora”, Green su Wiseman al termine della gara coi Lakers.

Here’s the Draymond Green to James Wiseman fastbreak turnover, the TNT on court mic’d up conversation between the two and then Green’s detailed postgame explanation on why he wants to put Wiseman in tough spots like that pic.twitter.com/GiMlwfMg9C

— Anthony Slater (@anthonyVslater) January 19, 2021

Dray è anche diventato un modello per alcuni giocatori che sono appena arrivati in NBA e non certo dalla porta principale, proprio come lui. “Ha ridato importanza alla difesa, l’ha resa cool! A molte persone interessano solo i canestri, ma lui è riuscito a dare importanza e hype a questo lato del gioco, come hanno fatto i Rodman, i Tony Allen, i Beverley”, le parole di Xavier Tillman, matricola dei Memphis Grizzlies, seconda scelta da Michigan State che per certe caratteristiche fisiche ha similitudini con Green.

 

Ago della bilancia pur con numeri in calo

I Golden State Warriors in questa stagione regolare hanno un bilancio sostanzialmente pari, 13 vinte e 12 perse (stanotte hanno vinto la 14ma ndr, non conteggiata nel computo delle statistiche), che diventa 11-10 con Green, che ha saltato le prime gare per infortunio. La sua importanza non è cambiata rispetto al passato, è determinante come quando faceva parte della famosa “death lineup” in cui giocava da centro al fianco di Curry, Thompson, Iguodala e Durant (e prima Barnes), e allo stesso tempo ha bisogno di avere determinati giocatori al proprio fianco, perché nella disgraziata stagione scorsa si è visto come sia un giocatore infinitamente meno incisivo se il contesto che ha attorno è totalmente diverso. E peggiore.

La sua presenza non è fondamentale in quanto tale, ma in funzione degli altri. In altre parole: Green viaggia a 5 punti di media (mai così pochi dall’anno da rookie in cui segnava 2.9 punti, ma giocando 13 minuti, non 28) e tira col 19% da tre (minimo di carriera), ma smazza 7.8 assist di media ed è ottavo assoluto in NBA, meglio di giocatori come Lillard, Irving, Brogdon, lo stesso Curry, Holiday e LaMelo Ball, contribuendo al fatto che i Warriors siano terzi per assist a gara, 27.2 di media, e quarti per canestri assistiti, il 66.4%.

Draymond è andato in doppia cifra per punti solo in tre occasioni finora, ma ha prodotto una gara da 4 stoppate, una da 7 recuperi e addirittura 6 partite da oltre 10 assists, smazzandone 51 nelle ultime quattro gare (15+15 in due partite consecutive a Dallas, una vinta e una persa; 10+11 in due gare a San Antonio, una vinta e una persa).

Per @EliasSports, Draymond Green is only the second starting center to record at least 10 assists in four consecutive games, joining Nikola Jokic (since starters were tracked in 1970-71).

— Warriors PR (@WarriorsPR) February 10, 2021

Numeri che confermano come l’ex Spartans sia il vero “playmaker” della squadra, inteso letteralmente come “creatore di gioco”. La sua capacità di leggerlo e di passare la palla lo rendono unico, e i compagni che non si chiamano Curry stanno imparando a muoversi, tagliare e a sfruttare blocchi lontano dalla palla dando così a Green delle linee e dei bersagli che lui può trovare facilmente.

É davvero incredibile vederlo sempre con la testa alta e lo sguardo vigile per esaminare come un computer lo schieramento avversario, sia che si trovi in punta, sia che abbia la palla sull’arco piuttosto che al gomito o in post basso: quando la palla è nelle sue mani, sai che accadrà qualcosa e i numeri dicono che quasi un terzo dei suoi passaggi diventa un assist (32.4 di assist percentage).

La sua presenza è altrettanto importante in difesa, ma il fatto che lui in primis abbia perso qualcosa dal punto di vista fisico e che gli attuali compagni non siano né Thompson, né Durant, né Iguodala, né Livingston, o chi per loro, fa tutta la differenza. Draymond resta un ottimo difensore in aiuto e nelle rotazioni, anche come rim protector nonostante non sia un gigante, conserva una certa efficacia sui cambi difensivi ed è imprescindibile a livello vocale per guidare gli altri, però al momento sta naufragando con tutta la difesa Warriors.

I numeri un po’ lo confermano: il 109 di Defensive Rating è il peggiore in carriera escludendo la disastrosa stagione scorsa, idem il 4.5 di Net Rating. Nonostante tutto Golden State ha bisogno di Green per avere una chance di competere ogni sera e con qualunque avversario, e anche qui le statistiche avanzate lo testimoniano: lo stesso 5.3 di Net Rating è il terzo della squadra dietro soltanto a Looney (10.8) e a Bazemore (8), che però hanno un minutaggio più ridotto, ma è davanti all’1.8 di Curry. Quando Green non è in campo, il Net Rating dei Warriors crolla a -4, il peggiore in assoluto, anche più del -3 di Steph.

Per riassumere: Green è l’erede di Rodman? É il miglior role player della storia? O è uno dei più sopravvalutati dell’NBA moderna? Impossibile dare delle risposte, ma si può dire con certezza che i Golden State Warriors, degli ultimi 10 anni e attuali, non sarebbero per nulla questi senza l’impatto devastante, nel bene e nel male, dell’orso ballerino da Saginaw, Michigan.

Tags: Dennis RodmanDraymond GreenKevin DurantStephen CurrySteve Kerr
Davide Fumagalli

Davide Fumagalli

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