In questa puntata dell’Osservatorio NCAA parleremo dei corsi e ricorsi storici per UNC, Duke e Kentucky, dell’ascesa di Baylor, dei problemi nel Michigan ed infine dell’addio al leggendario Coach John Chaney.
Sessant’anni…
Nel 1961 al Cavern Club The Beatles fanno il loro primo concerto, Ernest Hemingway, sfiancato dalla depressione, dopo una giornata tranquilla si uccide con un colpo di fucile a Sun Valley nello stato dell’Idaho – nel 1918 aveva scritto «Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto… E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse» – mentre a Berlino la Germania Est chiude la frontiera con la Germania Ovest ed il presidente John Fitzgerald Kennedy annuncia la nascita del programma Apollo e la corsa alla Luna… e North Carolina, Duke e Kentucky sono contemporaneamente fuori dalla Top25 del ranking.
A Chapel Hill si veniva dal terremoto dell’allontanamento di Coach Frank McGuire per uno scandalo scommesse che aveva coinvolto un suo giocatore, oltre ad altri quattro di NC State, causando pure la cancellazione del sentitissimo Dixie Classic, il quadrangolare che prevedeva la sfida fra le principali squadre del North Carolina. Al suo posto viene promosso il giovane assistente Dean Smith, che conduce i Tar Heels ad un dignitoso record di 8 vinte e 9 perse. Sarà l’unica stagione sotto al 50% di vittorie della sua gloriosa carriera.
Duke, fuori solo inizialmente dal ranking, con 20 vittorie e 5 sconfitte va molto meglio e vi rientra sotto la guida di Coach Vic Bubas, impegnato da un paio di anni a rendere vincente un programma perennemente agli ultimi posti della Conference, un ateneo privato più interessato ai risultati accademici che a quelli sportivi. Sarà proprio Bubas, allievo del santone Everett Case, Coach di North Carolina State, a cambiare le cose, andando a soffiare ai due colossi NC State e UNC un paio di stelle come Art Heyman e Jeff Mullins. Il bello è che allora non c’era una gran rivalità fra Duke e North Carolina – più attenta alle battaglie con State – la Rivalry più famosa d’America nascerà proprio nel 1961 con la famosa rissa in stile strade di New York, inizialmente fra un guerriero come Art Heyman ed il tignoso play di UNC Larry Brown, quel Larry Brown, ed in seguito contro mezza formazione dei Tar Heels.
Kentucky invece era al terzo posto della SEC e sempre guidata dal controverso e intoccabile Adoph Rupp, una stagione non memorabile anche se alla fine rientrò nel ranking chiudendo al diciottesimo posto per poi esser eliminata al secondo turno del Torneo NCAA dalla Ohio State di Jerry Lucas e John Havlicek – ed una riserva di nome Bob Knight, quel Bobby Knight – che andrà poi a perdere in finale con Cincinnati.
Sessant’anni dopo North Carolina, Duke e Kentucky sono di nuovo assieme fuori dalle Top25 del ranking. Quella messa meno peggio è decisamente North Carolina, che continua ad avere buone risposte dai lunghi Armando Bacot (12.6+7.8) Garrison Brooks (10.6+7.1) e Day’Ron Sharpe (9.3+7.8) mentre Roy Williams si conferma allenatore da palestra migliore del suo dirimpettaio di Durham trovando una crescita anche da Caleb Love, pessimo nella prima parte di stagione, e recuperando nel back court Kerwin Walton ed Anthony Harris. Al momento i Tar Heels sono più dentro che fuori, in vista del Torneo NCAA.
Mike Krzyzewski invece parla di pazienza, ma lascia trapelare nervosismo come nel pelo e contropelo fatto a un povero studente-cronista del Duke Chronicle, colpevole di avergli fatto una domanda magari banale, ma non particolarmente cattiva. Il mattino seguente Coach K ha chiamato lo studente e si è scusato per la ruvida risposta ma sono evidenti le sue difficoltà nel portare questo gruppo fuori dal guado: col rientro di Jalen Johnson (12.4+7.3) gran talento, ma anche telepass difensivo, Krzyzewski ha ri-spostato Matthew Hurt (19.2+8.2) nel ruolo di centro ed ha scelto una zona 3-2 per coprire la sua leggerezza sotto canestro con tutti i pro e contro di una difesa a zona. Hurt in attacco invece è encomiabile in questa sua stagione da sophomore ed è l’esempio del lungo tiratore (45.8% da tre con oltre 5 tentativi dall’arco a partita). Semmai il problema dei Blue Devils è che fra gli esterni a turno uno fra DJ Stewart, Jeremy Roach, Wendell Moore ed addirittura Jordan Goldwire giocano una buona gara, ma quasi mai lo fanno contemporaneamente. Di recente invece Krzyzewski ha recuperato il centro Mark Williams, che ha risposto molto bene con undici punti a segno contro Clemson, ritrovando una rotazione più logica, ma al momento Duke è più fuori che dentro al prossimo Torneo NCAA.
Disperata invece la situazione di Kentucky, che pure sta mostrando miglioramenti nel gioco, ma un record vinte-perse decisamente in rosso e troppe sconfitte contro squadre importanti rendono praticamente impossibile una sua chiamata al Torneo NCAA, a meno di vincere il torneo della SEC. Ma con Alabama on fire e buone squadre come LSU, Missouri, Tennessee, Auburn e Florida sembra una missione al limite dell’impossibile, per questi Wildcats. Calipari accetterà poi un invito al NIT?
A spasso nella ACC
L’Atlantic Coast Conference quest’anno ha perso il primato di conference più competitiva della NCAA a favore della Big12, ma pure SEC e Pac-12 si fanno preferite. Eppure, come sempre, qualche giocatore molto interessante c’è. Partiamo con un tris di ali: Justin Champaigne di Pittsburgh, Quincy Guerrier di Syracuse e Keve Aluma di Virginia Tech.
I primi due sono intercambiabili in entrambi i ruoli di ala, al college giocano da quattro ma hanno esplosività, velocità, raggio di tiro e discreto ball handling per evolvere nel ruolo di ala piccola in NBA. Justin Champaigne è bravissimo a crearsi opportunità dopo aver bloccato per un piccolo o tagliando forte sulla linea di fondo e sta viaggiando a cifre da Giocatore dell’anno della ACC con 20.1 punti, 12.1 rimbalzi e 53% dal campo. Con un 31+14 ha trascinato i Panthers ad una vittoria su Duke per certi versi storica: per la prima volta un ex assistente che non sia Mike Brey ha battuto il mentore Coach K, impresa a firma di Jeff Capel.
Anche il canadese Quincy Guerrier gioca in una squadra piuttosto deludente, Syracuse, ma viaggia a livelli interessantissimi con 16.8 ppg e 9.4 rpg, le sue statistiche da freshman sono più che raddoppiate e con Marek Dolezaj forma una coppia di lunghi dinamica e interessante.
Keve Aluma invece è un’ala forte moderna, capace di uscire a tirare da tre, ma anche di giocare in post basso, fisicamente meno strutturato, ma più alto di Champaigne e Guerrier, è un junior ed è la stella degli Hokies, capaci di vincere il sentito derby con Virginia per 65-51 con ben 29 punti e 10 rimbalzi di Aluma, che in stagione viaggia a 14.8 ppg e 7.6 rpg.
Se invece cercate uno stoppatore puro allora meglio rivolgersi al secondo anno Manny Bates di NC State, mano decisamente quadra, ma duecentodieci centimetri di muscoli che viaggia a 3.4 stoppate a partita, terzo di tutta la NCAA: tirare in faccia a Bates è una pessima idea.
Decisamente folkloristica invece è la giovane point guard freshman di Wake Forest Carter Whitt, che ha accelerato il suo percorso scolastico alla High School per presentarsi al college un semestre prima. Per lui l’impatto è stato difficile e forse la scelta di anticipare di un anno il suo arrivo al college è stato prematura, ma il talento per visione di gioco e personalità è interessante. Quello che colpisce sono i lunghi boccoli biondi da surfer tenuti con una frangetta alla Sandy Marton, non prova nemmeno a sistemarli con un cerchietto o un codino. Whitt gioca coi capelli al vento e ci chiediamo come possa gestire quella zazzera davanti al volto… ogni tanto poi gioca assieme ad un personaggio strambo di nome Jonah Antonio, australiano senior, che gioca con la mentalità da vero tiratore delle minors: non si lascia scappare un tiro da tre ed anche quando lancia delle vere mattonate non smette di provarci. Il bello è che un paio di partite importanti come i 15 punti a Pitt o i 14 a Virginia le ha trovate. Idolo assoluto.
Guai grossi nel Michigan
Le due università del Michigan sono in guai grossi. I Wolverines siti ad Ann Arbour stavano volando sino a raggiungere il #4 del ranking con 13 vittorie ed una sola sconfitta prima di esser fermati dal Covid per casi di positività alla variante inglese del virus e sarà da riconsiderare la forma fisica della squadra dopo questo stop di almeno due settimane. Un vero peccato per Michigan, che stava mettendo in luce il talento del centro freshman Hunter Dickinson, un 2.15 vera forza in post basso che sta viaggiando a 15.1 ppg e 7.2 rimbalzi col 69% dal campo.
A East Lansing invece gli Spartans sono penultimi nella Big Ten e reduci da una pensante sconfitta per 67-37 contro Rutgers, che per la prima volta è riuscita a battere Michigan State. Gli Izzo Boys storicamente sono abituati ad esplodere in questa parte della stagione per poi arrivare a piena forza al Torneo NCAA, ma quest’anno gli Spartans, pure loro reduci da 20 giorni di blocco a causa di casi di Covid fra giocatori e staff, difficilmente riusciranno a recuperare e guadagnarsi una chiamata alla Big Dance, tradizionalmente il territorio di caccia di Coach Tom Izzo.
Addio Coach Chaney
Qualche settimana dopo coach John Thompson, un’altra icona del basket afroamericano se ne è andata: John Chaney, storico Coach di Temple, ci ha lasciato a 89 anni. Uomo non semplice, dal carattere ruvido e testardo, ma di gran cuore. Chaney è stato per ventiquattro anni sulla panchina degli Owls ed una delle istituzioni del basket di Philadelphia, nonostante sia nato e cresciuto povero e discriminato razzialmente, nel Sud degli Stati Uniti. Verrà ricordato per la sua difesa Match Up che mischiava principi di difesa a zona e di difesa ad uomo e per la sua integerrima mentalità che a volte lo portava a liti durissime con Calipari, quando questi sedeva sulla panchina di UMass, che chiamò “Italiano figlio di pu..ana”minacciando di “prenderlo a pedate nel sedere”, o con Jay Wright di Villanova. La sua carriera finì purtroppo in malo modo dopo aver consigliato ad un suo giocatore di far male ad un avversario di Saint Joseph, episodio che portò alle sue dimissioni, ma al di là dell’estrema durezza restano i tanti riconoscimenti dei suoi ex giocatori per il gran cuore e la generosità in favore della comunità nera di Philly.
Baylor, la contro-Gonzaga
Gonzaga, college gesuita, ha un bel campus fra i boschi alla periferia di Spokane, graziosa cittadina situata nella parte interna dello stato di Washington.
Baylor da qualche anno sta lavorando per diventare la Gonzaga del Texas. Posizionata a Waco, ma non pensate ad una polverosa cittadina nel deserto perché Waco è bella e verde, tagliata in due dal fiume Brazos, e Baylor, altro college cristiano anche se di credo battista, ha un bel campus con tutte le costruzioni in mattoni rossi e delle torrette in stucco bianco. Non solo è una buona scuola accademicamente, ma, così come ha fatto Gonzaga con Mark Few, i vertici dell’istituzione hanno dato carta bianca a coach Scott Drew che dal 2003 ha portato i Bears ad essere regolarmente una delle migliori squadre della Big 12 e per otto volte al Torneo NCAA, dove però non è mai riuscito andare oltre alle Elite Eight. Quest’anno potrebbe essere la volta buona per vedere Baylor – che grazie a Dio ha abbandonato i terrificanti completi giallo fluo – andare sino in fondo alla March Madness avendo sin qui dominato la Big 12 e rimanendo imbattuta, nonostante l’enorme qualità della Conference, guidata dal favoloso Jared Butler (16.8 ppg 5.4 apg) e con altri tre giocatori in doppia cifra di media ovvero MaCio Teague (15) Davion Mitchell (12.8) e Adam Flagler (10.4). Squadra atletica, veloce ed aggressiva che tira con un incredibile 43.4% da tre punti collettivo sopperendo così ad una line up non particolarmente ricca di centimetri, ma che pare decisamente in missione…