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Know your enemy
3 rivalità della NBA moderna

Davide Piasentini by Davide Piasentini
2 Febbraio, 2021
Reading Time: 9 mins read
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NBA FIGHT CLUB

Copertina a cura di Edoardo Celli / Getty Images

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Nella storia della NBA, le rivalità tra giocatori hanno occupato sempre un posto di enorme rilevanza all’interno della tessitura narrativa. Andando a memoria ne potremmo elencare a fiumi, ma certamente commetteremmo l’ingenua imprudenza di dimenticarne qualcuna.

Tutte le ere cestistiche sono state marchiate da rivalità di ogni tipologia e caratterizzazione. Quella più “classica” e intramontabile, che per definizione mette uno contro l’altro i migliori giocatori della propria generazione. Come Wilt Chamberlain vs. Bill Russell o Magic Johnson vs. Larry Bird, “nemici” sul parquet (come le rispettive franchigie) e migliori amici fuori.

Ci sono stati, poi, dualismi profondi, mitizzati da leggendarie Finals (LeBron James vs. Steph Curry) o da maestose serie di Playoffs (Michael Jordan vs. Isiah Thomas). Non sono mancate anche accese rivalità tra giocatori della stessa squadra (Kobe vs. Shaq) e tra giocatori e intere franchigie, come quella tra Reggie Miller e i New York Knicks o, ancora, tra MJ e i Bad Boys di Detroit.

Alcune risse e scazzottate sono entrate nell’immaginario collettivo, diventando parte integrante della storia della pallacanestro americana, come il violento pugno sferrato da Kermit Washington a Rudy Tomjanovich in un Lakers-Rockets del 1977, il duello armato tra Gilbert Arenas e Javaris Crittenton nello spogliatoio dei Wizards nel 2009 oppure il tentativo di strangolamento di Latrell Sprewell, all’epoca giocatore dei Golden State Warriors, nei confronti di Coach P.J. Carlesimo nel 1997. Senza dimenticare l’eccezionale “Malice at the Palace” del 19 movembre 2004 nella gara tra Detroit Pistons e Indiana Pacers, diventato negli anni un cult per gli appassionati del gioco.

Anche nella NBA contemporanea ci sono tantissime rivalità, alcune sviluppate secondo i nuovi canoni di socialità e interazione, degne di essere raccontate. Ne abbiamo scelte tre. Ognuna con una propria anima competitiva. Ognuna in grado di colorare uno spaccato realistico che racchiuda in sé tutte le contraddizioni, gli eccessi e le passioni che solamente l’Association è in grado di offrire.

 

Rajon Rondo vs. Chris Paul

È il 20 ottobre 2018 e allo Staples Center si gioca la prima partita casalinga stagionale dei Los Angeles Lakers contro gli Houston Rockets allenati da Coach Mike D’Antoni. Si tratta del debutto di LeBron James in purple and gold davanti ai suoi nuovi tifosi.

Siamo negli ultimi 4’ di partita, con il punteggio sul 109-108 in favore dei Rockets, quando la transizione di James Harden viene interrotta da un fallo di Brandon Ingram. Il fischio dell’arbitro non ferma il numero 13 dei texani, che prosegue la sua penetrazione al ferro e conclude l’azione con un morbido sottomano che accarezza il fondo della retina.

Harden e il compagno di squadra Chris Paul chiedono animatamente che il canestro venga convalidato, ma gli arbitri confermano la loro decisione: ci saranno solamente due tiri liberi per The Beard. Ingram, infastidito dall’atteggiamento di Harden, lo spinge via con forza provocando un confronto fisico, sedato immediatamente sul nascere. Il giocatore dei Lakers viene punito con un fallo tecnico e tutto sembra rientrare velocemente nella normalità. “Sembra”, appunto.

Poco lontano dal fulcro narrativo della storia principale, se ne sviluppa un altro. Chris Paul e Rajon Rondo, due che non si sono mai sopportati da quando hanno messo piede in NBA, sono uno davanti all’altro, pronti a farsi trascinare dalla tensione del momento. In situazioni del genere, è sufficiente una piccola scintilla per incendiare ogni cosa. Rondo sputa addosso a CP3, che risponde infilandogli un dito nell’occhio. Non c’è bisogno d’altro per scatenare una scazzottata memorabile (davanti allo sguardo compiaciuto di Floyd Mayweather, seduto in prima fila), alla quale partecipa anche Ingram, che evidentemente non aveva ancora sfogato tutta la sua rabbia. Assieme al numero 14 dei Lakers, vengono espulsi (e successivamente squalificati dalla NBA) anche Rondo e Paul.

RONDO VS. CHRIS PAUL RING THE DAMN BELL pic.twitter.com/x82ATmyWvL

— Rob Perez (@WorldWideWob) October 21, 2018

All’epoca in pochi rimasero sorpresi nel vedere due tra le migliori point guard della storia recente del gioco provocarsi e prendersi a pugni in quel modo. Giocatori e addetti ai lavori, infatti, si chiedevano da tempo quando la loro rivalità sarebbe degenerata.

Le tensioni tra Paul e Rondo iniziarono in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008, quando quest’ultimo venne escluso dal Redeem Team in favore dell’allora point guard dei New Orleans Hornets. Dopo aver vinto il memorabile titolo 2008 con i Celtics, Rajon credeva di meritare ampiamente quel posto e di essere superiore a CP3. “Io ho un anello e tu non ne vincerai mai uno”, la frase pronunciata da Rondo al suo rivale un anno dopo la spedizione olimpica, in occasione della gara vinta dalla sua Boston contro New Orleans (novembre 2009).

Durante la carriera, Rajon è stato indubbiamente trascurato e snobbato a livello mediatico, in favore di Paul e altre point guard della lega, e ha visto adombrare il suo clamoroso talento da una narrativa incentrata esclusivamente sulle intemperanze caratteriali. Il momento più oscuro della sua storia risale probabilmente all’offseason precedente la stagione 2011/2012, quando Boston decide di fare un tentativo per acquisire via trade Chris Paul (finito poi ai Clippers, dopo l’annullamento dello scambio che l’avrebbe portato ai Lakers da parte del commissioner David Stern) e propone agli Hornets proprio Rondo.

Un insulto, una mancanza di rispetto, una pugnalata alle spalle. Chiamatela come vi pare. Il nativo di Lousiville, Kentucky, non dimenticherà mai quel terribile affronto da parte di Danny Ainge, l’uomo che l’aveva scelto al Draft 2006 (quello di Andrea Bargnani alla numero 1). 

Dopo aver evitato per anni di parlare del suo nemico, Rondo ha deciso di uscire allo scoperto in occasione della rissa dell’ottobre 2018: “Tutti vogliono credere che Chris Paul sia un bravo ragazzo. Non sanno invece che è un orribile compagno di squadra. Non sanno come è solito trattare le persone. Non vogliono credere che sia in grado di insultare o provocare gli avversari, causando risse e scontri sul parquet”. Quelli che “non sanno”, secondo Rondo, sono quelli che lavorano minuziosamente nella sceneggiatura NBA e che per anni hanno dipinto positivamente il personaggio CP3, usando un registro differente, invece, nei suoi confronti.

“Me against the world” è il refrain della storia cestistica di Rajon Rondo. Una fiducia esagerata nei propri mezzi, seconda solamente alla sua proverbiale ipercompetitività. Il resto è un mix letale di genialità e follia. “Chi è migliore tra te e Chris Paul?”.  La sua risposta sarebbe solo una: “2 beats 0”.

 

James Harden vs. Giannis Antetokounmpo

The Beard e The Greek Freak, i giocatori ad aver vinto il premio di Most Valuable Player della regular season negli ultimi tre anni, incarnano nel loro talento due approcci cestistici e caratteriali differenti, sia dal punto di vista tecnico che concettuale. Il loro impatto sulle rispettive squadre ha pochi eguali nella storia recente della NBA ma, fino a questo momento, non li ha ancora portati a giocarsi il traguardo più importante.

Diametralmente opposti per formazione cestistica e background culturale, lontanissimi nel modo di  pensare pallacanestro. Entrambi condizionanti, “nella buona e nella cattiva sorte”, ma sempre in grado di assicurare una chance di vittoria alla propria squadra per il solo fatto di essere in campo. La loro rivalità è recente e ha scritto il suo intreccio attraverso una serie di dichiarazioni che hanno fatto emergere una latente insofferenza reciproca. A dare il via alle danze ci hanno pensato proprio gli Houston Rockets, pubblicando un tweet -poi cancellato- di “congratulazioni” a Giannis nel giorno della conquista del suo primo Most Valuable Player (2019):

“Congrats to the new MVP, but we respectfully disagree”.

Con un tempismo non propriamente elegante, la franchigia texana ha voluto ricordare a tutto il mondo del basket i traguardi raggiunti da Harden nell’annata 2018/2019. Oltre ad essere stato il primo giocatore della storia a chiudere la stagione con almeno 35 punti e 7 assist di media, The Beard è stato capace di segnare 40 o più punti in 28 occasioni, 50 o più in 9 partite e di scollinare anche un paio di volte sopra i 60. Un rendimento semplicemente mostruoso, for the ages, da parte del prodotto di Arizona State.

Harden non ha mai nascosto il suo disappunto per quella sconfitta, consapevole di aver fatto una stagione storica a livello individuale e rimarcando, più o meno velatamente, la proprio superiorità cestistica nei confronti del fenomeno greco dei Milwaukee Bucks: “Vorrei tanto essere alto 2.13 per poter solamente correre e schiacciare. Non serve avere particolari qualità tecniche per farlo. Dovrei imparare a giocare a pallacanestro e costruire il mio gioco solo dopo. Lo farei subito, senza esitazioni”.

Una scelta politica, secondo Harden, quella di premiare Antetokounmpo nel 2019, favorita da una storia personale strappalacrime perfetta per vendere il “prodotto NBA” a livello globale. Anche Giannis, in occasione dell’ultimo All Star Game a Chicago, ha mostrato senza filtri la sua insofferenza nei confronti del rivale, prima escludendo The Beard dalle sue scelte per il quintetto (“Voglio qualcuno che passi la palla”) e poi riservandogli una gomitata durante la partita delle stelle. “Il nostro piano offensivo era attaccare Harden in ogni singola azione”, dichiarerà poi in conferenza stampa The Greek Freak.

Con il recente trasferimento di Harden a Brooklyn, la rivalità tra i due campioni è destinata ad accendersi ancora di più, stavolta per conquistare il trono della Eastern Conference. Nella prima partita tra Nets e Bucks, vinta dagli uomini di Steve Nash per 125-123 lo scorso 18 gennaio, la tensione tra le due contender si è vista nitidamente. Che Harden e Giannis non si piacciano è ormai acclarato. Il tempo delle parole, però, sembra essere finito per entrambi. Ora bisogna provare a vincere sul serio, magari regalando una serie lunga e spettacolare a tutti gli innamorati del gioco. Uno contro l’altro. Non potremmo chiedere di meglio.

 

Joel Embiid vs. Karl-Anthony Towns

La rivalità tra Joel Embiid e Karl-Anthony Towns è durata troppo poco, giusto il tempo di essere ricordata, ed è stata combattuta quasi interamente sul suolo virtuale dei social media. Una versione rivisitata, a tratti piuttosto infantile, del trash talking della NBA dei nostri padri. La battaglia a colpi di post e commenti tra i due promettenti lunghi ha regalato emozioni contrastanti, supportate a fatica dai risultati individuali, carenti di continuità, e della narrativa costruita forzatamente attorno alle rispettive squadre.

La baruffa inscenata nell’ottobre 2019, durante un soporifero Sixers-Timberwolves, con una divertente e impacciata sbracciata reciproca è stato l’unico momento di puro entertainment della loro rivalità, mai concretizzata agonisticamente in termini di postseason.

Great team win!!! I was raised around lions and a cat pulled on me tonight lmao.. Got his mama giving middle fingers left and right. That’s some SERIOUS REAL ESTATE #FightNight #IAintNoBitch pic.twitter.com/MWc9p0jy7u

— Joel “Troel” Embiid (@JoelEmbiid) October 31, 2019

I due giocatori si sono provocati a vicenda ad ogni occasione possibile, dipingendo un ritratto di loro stessi ben lontano dalla realtà e, soprattutto, dalla dimensione machista del “tough guy”. Embiid ama sottolineare la sua bravura nell’entrare nella testa degli avversari, mentre e KAT ostenta sicurezza con una dialettica tagliente, atteggiandosi da uomo navigato che non si lascerebbe mai condizionare dagli altri.

Al di là di qualsiasi rappresentazione artefatta, entrambi sono chiamati ad un salto di qualità a livello caratteriale. È il loro stesso sensazionale talento ad implorarlo a gran voce. In questo inizio di stagione, Joel sta giocando la miglior pallacanestro della sua carriera, mentre Towns, colpito dal Covid-19, sembra essere cresciuto tantissimo a livello personale dopo aver affrontato mesi drammatici a causa della pandemia (il giocatore ha perso la madre e altri sei membri della famiglia).

A fine marzo 2020, KAT ha raccontato ai suoi tifosi via Instagram del momento difficile che stava attraversando la madre, all’epoca in coma farmacologico. La sentita solidarietà di Joel Embiid non si è fatta attendere, mettendo di fatto la parola fine alla loro rivalità cestistica.

We’re with you brother!!! We’ll keep praying @KarlTowns

— Joel “Troel” Embiid (@JoelEmbiid) March 25, 2020

Due giocatori tecnicamente incantevoli, ancora disperatamente alla ricerca della strada che li porterà a costruire una legacy duratura. Una traccia del loro passaggio che possa rimanere nella storia di questo gioco anche quando loro non ci saranno più. È l’ambizione di tutti i grandi giocatori, in generale di tutti i grandi sportivi, quella di poter eternizzare la propria eredità. Il presente, per talenti come Joel Embiid e Karl-Anthony Towns, rappresenta solo il punto di partenza. 

Tags: James HardenJoel EmbiidRajon Rondo
Davide Piasentini

Davide Piasentini

Nato a Padova nel 1986, è scrittore e analista sportivo per passione. Autore di diversi libri sul basket tra cui "Ten. Storie di Grunge Basketball" (2017), "From Chicago. La storia di Derrick Rose" (2019) e "Flash. La storia di Wade" (2020). Scrive di NBA per La Gazzetta dello Sport e Overtime.

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