domenica, 26 Marzo 2023
Newsletter
The Shot
  • NBA
    • Atlanta Hawks
    • Boston Celtics
    • Brooklyn Nets
    • Charlotte Hornets
    • Chicago Bulls
    • Cleveland Cavaliers
    • Dallas Mavericks
    • Denver Nuggets
    • Detroit Pistons
    • Golden State Warriors
    • Houston Rockets
    • Indiana Pacers
    • LA Clippers
    • Los Angeles Lakers
    • Memphis Grizzlies
    • Miami Heat
    • Milwaukee Bucks
    • Minnesota Timberwolves
    • New Orleans Pelicans
    • New York Knicks
    • Oklahoma City Thunder
    • Orlando Magic
    • Philadelphia 76ers
    • Phoenix Suns
    • Portland Trail Blazers
    • Sacramento Kings
    • San Antonio Spurs
    • Toronto Raptors
    • Utah Jazz
    • Washington Wizards
  • Rubriche
    • 7 e mezzo
    • I consigli sul fantabasket
    • Focus
    • Draft 2020
    • Interviste
    • Preview
    • The Answer
  • Podcast
    • NBA Milkshake
  • Dagli USA
  • Altro
    • FIBA
    • NCAA
    • WNBA
  • Community
No Result
View All Result
The Shot
  • NBA
    • Atlanta Hawks
    • Boston Celtics
    • Brooklyn Nets
    • Charlotte Hornets
    • Chicago Bulls
    • Cleveland Cavaliers
    • Dallas Mavericks
    • Denver Nuggets
    • Detroit Pistons
    • Golden State Warriors
    • Houston Rockets
    • Indiana Pacers
    • LA Clippers
    • Los Angeles Lakers
    • Memphis Grizzlies
    • Miami Heat
    • Milwaukee Bucks
    • Minnesota Timberwolves
    • New Orleans Pelicans
    • New York Knicks
    • Oklahoma City Thunder
    • Orlando Magic
    • Philadelphia 76ers
    • Phoenix Suns
    • Portland Trail Blazers
    • Sacramento Kings
    • San Antonio Spurs
    • Toronto Raptors
    • Utah Jazz
    • Washington Wizards
  • Rubriche
    • 7 e mezzo
    • I consigli sul fantabasket
    • Focus
    • Draft 2020
    • Interviste
    • Preview
    • The Answer
  • Podcast
    • NBA Milkshake
  • Dagli USA
  • Altro
    • FIBA
    • NCAA
    • WNBA
  • Community
No Result
View All Result
The Shot
No Result
View All Result

Le Cronache del Barba
8 anni di amore e odio

Jacopo Bianchi by Jacopo Bianchi
1 Febbraio, 2021
Reading Time: 11 mins read
0
jamesharden

Copertina a cura di Edoardo Celli / Getty Images

Condividi su FacebookCondividi su Twitter

Il 14 gennaio si è chiusa definitivamente una grande storia d’amore, quella tra James Harden e gli Houston Rockets. L’ufficialità della trade a tre squadre (Rockets, Nets e Cavs), che ha portato il prodotto di Arizona State a Brooklyn in cambio di LeVert, Kurucs, Exum, 4 prime scelte e 4 swap, ha messo la parola fine ad un idillio durato ben 8 stagioni.

Si respirava aria di maretta già da qualche tempo però in Texas, soprattutto dopo l’ennesimo fallimento in post-season arrivato nella bolla di Orlando al secondo turno contro i Lakers. Infatti, dopo tutti i rumors di mercato e le dichiarazioni dello stesso Harden in off-season, ha stupito e non poco assistere all’inizio della nuova stagione con il numero 13 ancora in maglia Rockets.

É bastato poco più di un mese da separati in casa per convincere Houston che i cocci non sarebbero mai tornati al proprio posto. Decisamente riduttivo però pensare di valutare il rapporto tra la franchigia texana e l’otto volte All-Star dando particolare peso ai ‘dispetti’ e alle frasi fuori posto tipiche delle fasi finali dei grandi amori. Anzi è proprio in questo momento che bisogna provare a mettere da parte tutto l’orgoglio delle due parti in causa di fronte ad un fallimento e concentrarsi sul cammino fatto insieme.

 

L’infatuazione 

James Harden mette piede in NBA nel 2009, selezionato al draft dagli Oklahoma City Thunder che avevano la possibilità di aggiungere un altro pezzo ad un puzzle piuttosto intrigante. Le prime due stagioni di Harden sono di completamento fisico e tecnico, l’esplosione arriva al terzo anno con il nativo di LA che dopo aver incantato la Drew League durante il lock-out mette in bacheca il premio di Sixth Man of The Year.

Sono i playoff giocati dai Thunder nel 2012 ad elevare ulteriormente le quotazioni con il Barba impegnato in un crescendo costante fino alle finali di conference. Proprio contro gli Spurs arriva la consacrazione definitiva, nonostante Brooks possa contare su due superstar come Durant e Westbrook, è Harden a firmare le giocate decisive che mandano OKC per la prima volta alle Finals.

I giovani Thunder giungono forse troppo presto sul palcoscenico più importante e pagano a caro prezzo l’inesperienza venendo spazzati via dalla Miami dei Big Three. Cinque gare dove la guardia classe 1989 fatica a sostenere il peso delle aspettative, esattamente come la maggior parte della squadra, chiudendo con soli 62 punti complessivi a referto.

OKC affronta l’estate del 2012 con la delusione di una finale persa, ma anche con la consapevolezza di avere tra le mani il materiale giusto per provare a vincere un titolo nell’immediato futuro. La difficoltà sta nel tenere assieme sia dal punto di vista contrattuale che da quello tecnico un roster pieno di talenti in ascesa. Presti aveva già esteso i contratti di Durant e di Westbrook, ma nel 2012 arriva il momento di Harden e Ibaka. I Thunder ovviamente vorrebbero trattenerli entrambi, ma la situazione salariale non permette di soddisfarli appieno e l’ego di Harden comincia a fare capolino.

L’indecisione di Presti, il sentirsi considerato un giocatore di complemento, i ‘soli’ 55 milioni offerti e la corte sfrenata dei Rockets sono soltanto alcuni dei motivi per cui James non raggiunge l’accordo per l’estensione. Lo scenario allora cambia radicalmente, Daryl Morey in preda ad un incontenibile infatuazione decide di fare tutto il necessario per portare Harden in Texas. Il gm di Houston riesce nel suo intento il 27 ottobre 2012 grazie ad una trade che spedisce ad Oklahoma City Martin, Lamb, 2 prime scelte e 2 seconde scelte. 

 

La nascita di un amore

Il progetto di Morey, che naturalmente ha solleticato e non poco l’ego del Barba, è proprio quello di costruire la squadra attorno a lui, definendolo infatti durante la presentazione ‘foundational’. L’avvio è folgorante, mentre arriva l’estensione immediata con i Rockets da 80M in 5 anni, Harden diventa il primo giocatore della storia a segnare oltre 30 punti al debutto andando anche in doppia cifra di assist (37p 12ast 6r 4stl contro i Pistons).

Houston comincia a viaggiare oltre il 50% di vittorie e arriva la prima convocazione all’All Star Game per il numero 13 che dimostra in pochi mesi di essere oramai pronto ad assurgere al ruolo di superstar. La stagione si chiude con 45 vittorie (9 in più della precedente), ma soprattutto con il ritorno ai playoff dopo 3 anni di assenza.

Neanche a farlo apposta Harden dall’altra parte della barricata trova la storica fidanzata del liceo: i suoi ex Thunder degli amici Westbrook e Durant. Il prodotto di Arizona State gioca un’ottima serie, riesce a trascinare la super favorita OKC fino a gara 6, ma alla fine deve arrendersi ad una squadra nettamente superiore nel complesso.

Houston però continua a crescere assieme alla sua stella e la stagione successiva con 54 vittorie i Rockets si assicurano il quarto posto ad Ovest ed il conseguente vantaggio del fattore campo. La serie con Portland è una battaglia senza esclusione di colpi tra due squadre che vogliono emergere a tutti i costi in una Western Conference piuttosto competitiva. L’esito dopo le prime 4 gare sembra compromesso, ma Harden e Howard trovano il modo di evitare l’eliminazione dominando il quinto atto.

Gara 6 è una partita dall’intensità selvaggia, Harden dispone della difesa avversaria a piacimento e il canestro di Parsons a 0,9 secondi dal termine avrebbe dovuto portare i Rockets alla decisiva gara 7. Il condizionale in questo caso è d’obbligo perché in quei 9 decimi bisogna fare i conti Damian Lillard che semina lo stesso Parsons sui blocchi e rispedisce a casa la franchigia texana.

Nonostante la prima cocente delusione Morey non si scoraggia, anzi forte della totale fiducia che ripone in Harden comincia a levigare staff e roster. Le aggiunte di due veterani come Ariza e Terry aiutano i Rockets a fare un passo decisivo verso la corsa al Titolo, la stagione successiva arrivano 56 vittorie e la seconda testa di serie dell’ovest.

Il primo turno contro Dallas è una formalità, la serie di semifinale della Western contro i Clippers invece è il primo vero banco di prova per Harden con la maglia dei Rockets. Il confronto prende subito una brutta piega, LA sale in vantaggio 3-1 ribaltando totalmente il vantaggio del fattore campo. Il prodotto di Arizona State però non può deludere i suoi fedeli discepoli, la tripla doppia da 26-11-10 in gara 5 indica la strada per la rimonta e Houston con 3 successi consecutivi conquista la finale di Conference per la prima volta dal 1997.  La corsa però si ferma al cospetto dei Golden State Warriors lanciati verso il primo titolo dell’era Splash Brothers.

Nonostante i primi due atti si risolvano soltanto nei secondi finali è una singola prestazione eroica di Harden (45p 9r 5ast in gara 4) ad evitare il capotto a Houston. Sicuramente un netto miglioramento rispetto alle prime due stagioni, ma non abbastanza per suggellare l’amore sconfinato tra i Rockets e il loro condottiero. Morey nasconde sotto il tappeto i 14 punti con 2-11 al tiro e 13 palle perse di Harden nella elimination game e si rimette al lavoro. Coach McHale finisce sul banco degli imputati e il pessimo avvio di stagione gli costa la panchina dopo sole 11 gare.

L’annata diventa un ottovolante di prestazioni sotto la temporanea guida di Bickerstaff, le vittoria alle fine saranno soltanto 41, il minimo sindacale per agguantare l’ultimo posto disponibile ai playoff. Di fronte ci sono ancora i Warriors che hanno appena fatto registrare la miglior regular season di tutti i tempi con 73 vittorie e sole 9 sconfitte. L’esito finale è fin troppo chiaro dal primo minuto, l’eccellente organizzazione di squadra di Golden State riesce a tenere testa al gradissimo talento di James Harden senza grossi problemi, infatti la serie si chiude sul 4-1 con quasi 20 punti di scarto medio. Ancora una volta è una prestazione eroica della guardia losangelina ad evitare il capotto, in gara 3 mette a ferro e fuoco la miglior difesa NBA segnando anche il game winner a 2 secondi dal termine. 

 

Un amore puro 

É proprio con questa prestazione negli occhi che Morey consegna nelle mani di Harden un’altra estensione, stavolta sono 118 i milioni di dollari per 4 anni. Houston costruisce un nuovo ciclo attorno alla sua superstar e lo fa ripartendo dal ruolo di head coach affidato a Mike D’Antoni. Dopo un anno di notti insonni Morey è riuscito a trovare l’uomo giusto per massimizzare le qualità del suo figlio prediletto.

L’ex allenatore di Suns, Knicks e Lakers mette subito tutto il potere nelle mani del numero 13 spostandolo nello spot di playmaker e Harden risponde con un avvio di stagione folgorante. Gli arrivi di Gordon, Williams e Anderson aiutano ad aprire il campo e Houston torna a superare il muro delle 50 vittorie stagionali (55 per l’esattezza) con D’Antoni incoronato Coach of the Year, Gordon sesto uomo dell’anno e Harden candidato al premio di MVP. Il primo turno di playoff contro i Thunder è una passeggiata, James viaggia ad oltre 33 punti di media e la pratica si chiude in sole 5 gare.

Sembra tutto perfettamente apparecchiato per una grande cavalcata, ma la vecchia volpe Popovich con i suoi Spurs riesce ad esporre tutti i difetti del gioco dei Rockets e soprattutto quelli del numero 13. San Antonio a sorpresa elimina 4-2 Houston e negli occhi di tutti resta la stoppata di un eterno Ginobili nei secondi finali dell’ovetime di gara 5. Una giocata incredibilmente decisiva ai danni proprio di Harden che poteva mandare la gara al secondo supplementare, in quella che viene definita the pivotal game con la serie sul 2-2. 

 

Il matrimonio

Non è sicuramente un singolo episodio a poter giudicare un’intera stagione, ma soprattutto l’inizio di un nuovo ciclo e infatti Morey archivia l’ennesimo fallimento ai playoff rendendo Harden il giocatore più pagato della storia della NBA (ulteriore estensione da 160 milioni in 4 anni). Anche D’Antoni abbraccia totalmente l’idea del suo visionario general manager e si lascia andare ad un amore viscerale nei confronti del suo miglior giocatore.

I tre passano l’estate a cercare un modo per raggiungere il Larry O’Brien Trophy. Ognuno porta il suo mattoncino a cominciare da Morey che individua il giocatore perfettamente complementare ad Harden nel back court: Chris Paul che sbarca in Texas in cambio di 7 giocatori (tra cui Beverly, Williams e Harrell) e una prima scelta. Nel frattempo l’ex playmaker dell’Olimpia lavora incessantemente sulla parte tattica, estremizza ulteriormente i principi già utilizzati a Phoenix e imbastisce al millimetro la trama del gioco sulle caratteristiche di Harden e Paul.

Il nativo di LA dal canto suo si presenta ai blocchi di partenza in forma smagliante dal punto di vista fisico, mentale e tecnico dopo aver lavorato duramente in estate. Con delle premesse del genere Houston sembra una squadra in missione, progettata per spodestare i Warriors e per arrestare la propria corsa soltanto al raggiungimento dell’obiettivo finale. Ne esce fuori una sinfonia di pallacanestro con pochi eguali negli ultimi 20 anni, ma soprattutto arriva la miglior regular season della storia della franchigia: 65 vittorie, primo posto ad ovest e miglior record dell’intera Lega.

A coronare il tutto c’è il premio di executive dell’anno per Morey e quello di MVP per James Harden che raggiunge così il massimo livello possibile per una superstar, con alcune prestazioni da libro dei record (leggendaria la prima tripla doppia della storia NBA da 60 punti).

Anche i playoff stavolta cominciano nel modo migliore, la serie con i Wolves di Thibodeau dura un battito di ciglia, il nuovo MVP della Lega apre la contesa con 44 punti in gara 1 e i Rockets non si voltano più indietro. Al secondo turno tocca agli Utah Jazz subire lo stesso trattamento, il Barba inaugura ancora la serie con una prestazione oltre i 40 e Houston si impone 4-1.

Arriva così il momento della verità: la finale di conference contro gli eterni rivali dei Golden State Warriors. Stavolta però Houston ci arriva con il vantaggio del fattore campo, con uno stato di forma fisica e mentale praticamente perfetto, ma soprattutto con la profonda consapevolezza di poter considerare Durant e compagni solo un ostacolo sulla strada del tanto agognato Anello. Ed effettivamente, nonostante i Rockets perdano 2 dei primi 3 atti della serie, la squadra resta compatta riuscendo a portarsi in vantaggio 3-2 grazie ad un fondamentale successo in gara 5. Purtroppo però il destino ogni tanto è davvero beffardo, in particolare quando sono coinvolti gli dei del basket.

Houston riesce a garantirsi due match point per raggiungere finalmente le Finals, ma perde Chris Paul per un infortunio nei secondi finali della partita. Harden si ritrova così per le mani due chance per entrare definitivamente nella storia, ma per farlo dovrà contare solamente su se stesso. Purtroppo per il Barba i Warriors sono una squadra troppo completa e troppo solida per concedere il passaggio del turno ad una versione rimaneggiata dei Rockets.

L’assenza di CP3 pesa come un macigno sulle spalle di Houston, ma soprattutto su quelle di Harden che nonostante giochi due gare da 32 punti (tirando complessivamente 6-25 dall’arco) da la netta impressione di non poterci neanche andare vicino.  

 

La crisi

La delusione stavolta è incolmabile, il momento sembrava proprio essere quello perfetto e invece Houston si è dovuta fermare ancora una volta ad un gradino dalla vetta. Cominciano a piovere le critiche verso l’operato di Morey, verso la gestione di D’Antoni e soprattutto verso Harden ritenuto un grande giocatore, ma non un vincente.

L’eterno dilemma che ogni singola superstar NBA ha dovuto affrontare ad un certo punto della carriera, nessuno escluso. Morey prova incessantemente ad aggiustare la situazione, ma oramai qualcosa di più profondo si è rotto. L’amore incondizionato tra i Rockets e Harden comincia a venire meno per fare spazio alla profonda delusione generata dalla consapevolezza di aver sprecato non uno, ma ben due cicli che avrebbero potuto portare al successo.

Non bastano neanche i tentativi di tamponare l’infortunio di Paul, le comparsate di Carmelo Anthony e Austin Rivers, neppure il ricongiungimento con Russell Westbrook. I successi in regular season scendono a quota 53 per poi calare a 44 nell’ultima stagione, le due post season sono praticamente identiche con il superamento del primo turno e l’eliminazione a quello successivo senza dare particolare battaglia.

Nella bolla di Orlando sfiorando addirittura la figuraccia contro il fresco ex Chris Paul a condurre la sorpresa OKC fino ai secondi finali di gara 7. Degli ultimi playoff di Harden infatti resta impressa più di ogni altra cosa la pessima prestazione offerta nell’atto decisivo del primo turno (17 punti e 4 perse tirando 4 su 15 dal campo, compreso un 1-9 dall’arco). 

 

L’amore conta

Al termine della stagione la franchigia texana solleva dall’incarico D’Antoni che finisce a fare l’assistente di Nash ai Nets, anche Morey abbandona rapidamente la sua creatura e decide di spostarsi ai Sixers, mentre Harden resta da solo, deluso e scontento sulla una volta isola felice di Houston. Sappiamo tutti poi come è andata a finire visto che ora il Barba veste la maglia dei Nets, assieme a Irving e Durant proverà a dare l’assalto ad un titolo che manca soltanto nella sua bacheca.

Harden resterà per sempre nella storia dei Rockets e in tutti i libri dei record della franchigia texana, ma con il passare degli anni il ricordo di questo amore diventerà sempre più sbiadito. Finirà a fare compagnia ai vari Calvin Murphy, Ralph Sampson, Steve Francis, Tracy McGrady e Yao Ming che hanno tutti raggiunto piccoli o grandi obiettivi individuali con la maglia di Houston, ma non hanno mai aggiunto un banner al soffitto. E quella è l’unica cosa in NBA che riecheggia per l’eternità.

Tags: Houston RocketsJames Harden
Jacopo Bianchi

Jacopo Bianchi

Professional Journalist - Columnist @TheShotIT - Host of "Basket Time" @ https://teletutto.it

Letture consigliate:

fischi folli e polemiche
NBA

Arbitraggi Playoff indecenti
Perché e come se ne esce

9 Maggio, 2022
Los Angeles Lakers

Il GM LeBron l’ha fatta grossa
Il campione non può salvarlo

4 Marzo, 2022
Brooklyn Nets

Viaggio nei ritrovi Nets a Brooklyn
Perché la città stenta a crederci

9 Febbraio, 2022
Denver Nuggets

Quanto valgono Embiid e Jokic?
Sono eredi dei grandi lunghi NBA?

21 Gennaio, 2022
Atlanta Hawks

Walker si prende la sua New York
Natale magico tra sogno e rivincite

26 Dicembre, 2021
Golden State Warriors

NBA, casa delle seconde chance
Wiggins l’ha colta, ora Simmons?

23 Dicembre, 2021
Load More
Invia
Notificami
guest

guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
The Shot

© 2020 The Shot
LP Edizioni SRLS

Pagine utili:

  • Chi siamo
  • La Mission
  • Contattaci
  • Policy

Seguici anche qui:

No Result
View All Result
  • NBA
    • Atlanta Hawks
    • Boston Celtics
    • Brooklyn Nets
    • Charlotte Hornets
    • Chicago Bulls
    • Cleveland Cavaliers
    • Dallas Mavericks
    • Denver Nuggets
    • Detroit Pistons
    • Golden State Warriors
    • Houston Rockets
    • Indiana Pacers
    • LA Clippers
    • Los Angeles Lakers
    • Memphis Grizzlies
    • Miami Heat
    • Milwaukee Bucks
    • Minnesota Timberwolves
    • New Orleans Pelicans
    • New York Knicks
    • Oklahoma City Thunder
    • Orlando Magic
    • Philadelphia 76ers
    • Phoenix Suns
    • Portland Trail Blazers
    • Sacramento Kings
    • San Antonio Spurs
    • Toronto Raptors
    • Utah Jazz
    • Washington Wizards
  • Rubriche
    • 7 e mezzo
    • I consigli sul fantabasket
    • Focus
    • Draft 2020
    • Interviste
    • Preview
    • The Answer
  • Podcast
    • NBA Milkshake
  • Dagli USA
  • Altro
    • FIBA
    • NCAA
    • WNBA
  • Community

© 2020 The Shot
LP Edizioni SRLS

wpDiscuz
Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso.
Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito. Puoi leggere qui la nostra Privacy Policy.