Fra stop forzati per Covid e aumenti di responsabilità, la coppia Tatum-Brown è, in questo periodo ancor più che negli anni scorsi, la protagonista indiscussa della Beantown cestistica. Scelti al draft entrambi alla numero 3 (Brown 2016, Tatum 2017), anche se con hype e dinamiche di mercato abbastanza differenti, sopravvissuti alla dipartita del trio Irving-Horford-Hayward di cui, soprattutto per il primo, si mormora di loro responsabilità di spogliatoio, i “Jays” sono il passato, il presente e il futuro della ricostruzione biancoverde.
Ruoli di rilievo sottolineati dalle estensioni contrattuali di Ainge: un max-contract con player-option fino al 2025-26 per Tatum, un affare per ambo le parti quello di Brown, dai 22.9 milioni attuali fino a salire ai 28.5 del 2023-24.
Al di là delle evidenze contrattuali, la fisionomia della squadra e le mosse di mercato sono indirizzate in questo senso: acclarata l’impossibilità della convivenza con l’ingombrante Irving, la scelta del complementare Kemba Walker è stata benedetta dal duo, e ovviamente da Brad Stevens, mentre i recenti arrivi di Thompson e Teague (più la sorpresa Pritchard) sono stati mirati ad allungare una panchina apparsa o corta e scarsa di esperienza nella bolla di Orlando.
Il ruolo di Jayson Tatum
Oramai definitivamente affibbiatagli l’etichetta superstar, al contrario del compagno, Jayson Tatum si è trovato ad affrontare un avversario peggiore: il Covid-19. Fortunatamente, i sintomi sono stati lievi e non così rilevanti: dopo due settimane di quarantena, l’atleta è tornato a disposizione di Coach Stevens senza eccessivi problemi di forma fisica.
Nelle interviste ha però dichiarato di aver vissuto un bruttissimo momento a livello umano, e di esserne rimasto segnato: la paura, nei primi 5-6 giorni, è stata tanta, e non è passata del tutto neanche nei giorni seguenti soprattutto pensando ai propri cari. “Non so se è panico, ma sei certamente preoccupato da quello che senti e leggi dalla gente che ce l’ha (…) Sto bene? Non sto bene? Posso odorare questo? Mi fa male il petto?” . Brad Stevens ha raccontato l’insoddisfazione di Tatum nella prima gara di rientro, quando lo ha tirato fuori prima del solito visto il vantaggio di 14 punti e 2 minuti e mezzo sul cronometro: prestazione più che soddisfacente (24pt, 10/21 al tiro, 3/6 da tre) e tanta voglia di giocare per Jay. Una più che probabile valvola di sfogo per l’uomo, preoccupato per se e per i suoi cari, a partire dallo splendido figlioletto Deuce.
L’ascesa di Jaylen Brown
Secondo la mistica Celtics, i momenti di difficoltà devono essere visti come un’opportunità per crescere e migliorare: Jaylen Brown ha sposato in pieno questa filosofia durante la breve assenza di Tatum, assumendosi senza remore il temporaneo ruolo di primo violino dell’attacco biancoverde, dimostrando ancora una volta alla NBA di che pasta è fatto.
Già poco prima dell’assenza forzata di Tatum, Brown aveva raggiunto il suo career-high (42pt) nella contestata sconfitta contro i 76ers, ma nella scampagnata con i Cavs ha raggiunto addirittura un record NBA, evidente sintomo di maturità offensiva: 33 punti in soli 19 minuti di gioco. Record fortemente simbolico perché ottenuto da un giocatore di cui, sin dagli inizi, si sono sempre temuti i limiti offensivi. Difensore intelligente, perfetto nel sistema di Stevens, in grado di coprire su più ruoli grazie a un fisico e un atletismo oltre la media, ha ampliato non di poco il bagaglio tecnico: i 33pt in 19min sono la perfetta immagine del suo miglioramento nelle scelte di tiro.
Non che ci sia da stupirsi: Brown è migliorato in ogni sua singola stagione NBA, e non di rado è risultato il migliore per rendimento nelle serie di playoff disputate, sia vinte che perse. Per mentalità e abnegazione, dentro e fuori dal campo, l’atleta che ogni allenatore vorrebbe e la spalla ideale vicino Jayson Tatum: le sorti di Boston passano da loro.
Angelo Mozzetta per We Are Celtics