Il 15 giugno 2019 il destino di due franchigie è cambiato radicalmente. Davis sbarca a Los Angeles, il regno di James, rendendo i giallo-viola una seria contender per il titolo. I Lakers per ottenere Davis sono costretti a sbarazzarsi dei giovani – eccetto Kuzma – e di una serie di scelte future.
Da quel momento la storia delle due franchigie ha preso due direzioni diverse: una improntata sulla caccia al titolo, mentre l’altra improntata sul futuro, sulla linea “verde”. Sono passati 19 mesi da quel giorno, dalla trade che ha stravolto gli equilibri della lega. Vediamo cosa è successo, e sta succedendo, nelle due squadre.
The Pelicans have agreed to a deal to trade Anthony Davis to the Lakers for Lonzo Ball, Brandon Ingram, Josh Hart, and three first-round picks – including the No. 4 overall in 2019 Draft, league sources tell ESPN.
— Adrian Wojnarowski (@wojespn) June 15, 2019
L’anno zero dei Lakers
Per i giallo-viola lo scambio sposta la lancetta avanti nel tempo, bruciando le tappe di un “process” che non è mai esistito, incompatibile con la città, con la storia e con il giocatore cardine della franchigia. Allo stesso tempo la trade segna l’inizio di quello che può essere definito come l’anno zero del “regno” di King James, un’era vincente che parte con una rivoluzione completa nel roster e nel futuro della franchigia.
Davis nel nuovo regno di LeBron
L’arrivo di Davis ai Lakers è una boccata d’aria fresca per i Lakers dopo anni passati lontani dalle vette della Western Conference. L’intesa con LeBron è, fin dall’offseason, stellare; i due si scambiano reciproci attestati di stima che vanno oltre le classiche frasi di circostanza, ma dimostrano che il rapporto va oltre il semplice basket. La firma di un contratto a lungo termine – ben 190 milioni di dollari in 5 anni – è la ciliegina sulla torta di un rapporto di amore fraterno non solo con LeBron, ma che si espande anche nei confronti della franchigia californiana, un matrimonio che regalerà per ancora diversi anni spettacolo in quel di LA.
In campo i due sono perfettamente complementari. Anthony Davis è sì un giocatore che richiede il suo numero di possessi palla in mano – come ogni star -, ma è anche uno tra i migliori giocatori di pick and roll dell’intera lega, perfetto per massimizzare le doti da passatore di LeBron. Il Monociglio in questa stagione sta giocando 2.8 possessi a partita come rollante, pochi se paragonati agli oltre 6 a partita di Wood e Aldridge, ma l’efficienza è ai massimi livelli (si trova nell’82esimo percentile).
The Grizzlies have no answer to the LeBron-Davis pick-and-roll ?pic.twitter.com/yB4jZPaJIy
— ClutchPoints (@ClutchPointsApp) January 6, 2021
L’impatto più importante e fondamentale, però, lo ha portato in difesa. Nella sua prima stagione a Los Angeles, Davis è arrivato secondo nelle votazioni per il defensive player of the year, il miglior difensore dell’anno, trasformandosi in un incubo per tutti gli avversari. Davis è un giocatore estremamente mobile per la stazza che si ritrova, i piedi sono più veloci di quelli di un normale centro ed in più le braccia sono infinite.
Tutte queste caratteristiche sono amplificate da un’ottima capacità di lettura della situazione sia quando si trova sulla palla sia quando è lontano:
La trade per Davis e il suo rinnovo sono i traguardi più importanti degli ultimi anni dopo la firma di LeBron; queste due mosse non solo hanno fruttato un titolo nell’immediato, ma hanno anche legato uno dei migliori giocatori della lega alla franchigia californiana per i prossimi anni, assicurando un futuro brillante anche nel caso in cui King James dovesse calare a livello di prestazioni.
Luci ed ombre di Kuzma
Kyle Kuzma è l’unico sopravvissuto tra i giovani del vecchio “young core” alla trade che ha rivoluzionato LA. L’idea era quella di farlo diventare il terzo violino della squadra. Sfortunatamente, non è andata così per il nativo di Flint.
La stagione 2019-20 di Kuzma è stata un susseguirsi di alti e bassi. Kyle alterna prestazioni mostruose dal 70% da 3 ad altre dove non riesce a centrare il bersaglio dalla lunga. Il problema sta nel tiro, una shooting form che a primo impatto può sembrare molto pulita o, comunque, di discreto livello, ma che, se analizzata con accortezza, presenta una serie di problemi.
Anche difensivamente non sembra reggere il passo della squadra. Non sono rare le volte in cui perde l’uomo mentre si trova sul lato debole, si ferma a fare quello che in America definiscono ball watching, ovvero guardare il pallone dimenticandosi di chi si sta difendendo. In questo caso ad approfittarne è proprio Melli che taglia alle spalle di Kuzma per la facile schiacciata.
This is just bad defense from Kuzma, he has no idea where Melli actually is and is in no mans' land. Also I just love Lonzo's reaction after throwing the pass. pic.twitter.com/unjx5KFa2t
— Mo Dakhil (@MoDakhil_NBA) February 26, 2020
Durante i playoffs la situazione è migliorata. Kuzma, infatti, ha fatto vedere cose interessanti, sia nella difesa senza palla che sull’uno contro uno. Il miglioramento principale lo si trova nella voglia che il 25enne ha cercato di mettere in tutti le gare di postseason, evidenziando un netto cambio di atteggiamento rispetto al pre-bolla.
#LakeShow
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) August 30, 2020
Kuzma’s defense
1a: kuzma passa il blocco e rimane con Trent. Piedi sempre in movimento, mani attive, cerca il contatto solo alla fine. Ottima difesa.
2a: CJ vuole il mismatch, kuzma accetta il cambio -> ISO. Kuzma tiene egregiamente il #3 e lo stoppa. pic.twitter.com/iaeYd9F77S
Il ruolo offensivo di Kuzma è cambiato nel corso del tempo, è passato da essere considerato un terzo violino ad un comprimario senza troppi compiti. Un dato importante da menzionare è il numero di tiri assistiti; durante la stagione 2019-20 il numero di tiri non provenienti da assist rasentava il 30%, sei punti in meno rispetto al dato di Anthony Davis. Quest’anno il valore è calato al 15.9%, un balzo significativo che lo piazza tra gli ultimi della squadra.
Sto guardando alcuni dati su Kuzma, la % di tiri non assistiti è calata parecchio rispetto alla scorsa stagione. Una cosa che mi aspettavo e che son lieto di vedere, certo non credevo di ben 14 punti percentuale totali. pic.twitter.com/auk6cWa59a
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) January 21, 2021
La nuova versione di Kuzma è un toccasana, sia per il giocatore stesso, che per l’economia di squadra. Ora la maggior parte delle decisioni palla in mano vengono prese da giocatori come Schröder e Gasol – oltre al solito LeBron -, lasciando a Kyle la possibilità di agire in situazioni di taglio o di catch&shot. Proprio in quest’ultimo tipo di situazione il giovane Laker sta dando il meglio di sé.
La qualità dei tiri è migliore e si sono alzate drasticamente le percentuali in situazione di prendi e tira: dal 36% da 3 su 3.3 tentativi del 2019-20 al 43.1% su 4.1 triple a gara. Probabilmente il dato calerà con il proseguo della stagione, ma è una bella luce in tutte le ombre avute da Kuzma in carriera.
Difensivamente quest’anno Kuzma sembra andare meglio: l’impegno è aumentato e commette meno errori rispetto al passato. Nonostante ciò, la difesa è ancora lontana da essere buona e spesso si trova a dover essere coperto dai compagni. In questa azione il compito di “ultimo baluardo della difesa” spetta ad Harrell e il risultato è facile da immaginare.
Nel momento in cui Pat decide di cambiare direzione, Kuz è un passo indietro, gambe ancora distese, non pronto per lo sprint; il blocco di Portis aiuta a mantenere il vantaggio. Harrell non è pronto per ricevere il tagliante, anche Trezz gambe poco flesse, baricentro alto.
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) January 22, 2021
2/2
New Orleans, diciannove mesi dopo
L’altra faccia della medaglia viene occupata dalla franchigia della Louisiana. É chiara l’idea di voler ripartire da zero, lasciando indietro il passato con Davis e mettendo tutto il carico sulle spalle di Ingram e di Zion.
I due modi di agire delle due franchigie rispecchiano molto bene i rispettivi mercati di riferimento: da una parte il big market che vuole vincere subito senza aspettare i giovani, dall’altra lo small market che, non essendo in grado di attirare free agent di livello, è costretto a puntare su prospetti e scelte. La scelta di New Orleans di puntare sul futuro avrà pagato?
Ingram, la pietra angolare
La trade è una manna dal cielo per Ingram. Un ambiente nuovo e molte meno pressioni rispetto a Los Angeles. La star dei Pelicans ha parlato molte volte della trade con i giornalisti, definendola sempre come una nuova opportunità, senza mai nascondere, però, il fatto che ne avesse bisogno.
Recentemente ha anche parlato ai microfoni di “The Old Man and The Three”, il podcast di JJ Redick, e durante l’intervista ha dichiarato come i rumors abbiano distrutto lo spogliatoio andando ad intaccare proprio la voglia di giocare dei vari giovani presenti in squadra. Probabilmente l’inesperienza e la mal gestione di tutte le voci di mercato hanno influenzato negativamente quello che è all’ordine del giorno in una lega come la NBA.
La volontà di fare di Ingram il “centro del mondo” la si è vista fin dal primo anno a NOLA. Le cifre di Ingram salgono vertiginosamente, da 18 punti di media arriva a sfiorare i 24 a notte e, inizialmente, si pensa possa essere frutto solo di un maggior numero di possessi, ma non è così.
Grazie allo shooting staff di NOLA riesce ad incrementare le sue percentuali da 3 e ai liberi – rispettivamente del 6 e 18 percento – aumentando in maniera drastica i tentativi da oltre l’arco che passano da 1.8 a 6.2, un balzo incredibile che si riscontra anche nella percentuale di tentativi dalla lunga distanza che passa dal 13% al 35%. I continui miglioramenti gli valgono la chiamata all’all-star game ed il premio come most improved player (giocatore più migliorato).
Come precedentemente accennato, Gentry ha deciso di dare fiducia e palla in mano ad Ingram; un anno dopo, con Stan Van Gundy in panchina, la situazione non è cambiata e, anzi, è migliorata. Brandon Ingram non è solamente il “centro del mondo”, ma è diventato proprio il sole su cui far ruotare tutto l’attacco.
I Pelicans, dopo tutte le mosse avvenute in offseason, si sono ritrovati senza un vero e proprio giocatore in grado di creare dal palleggio a giochi rotti. Il nuovo coach ha deciso così di rendere Ingram il creatore di gioco principale e, oserei dire, unico della squadra. Aumentano i pick and roll giocati da portatore di palla, da 4.8 possessi a partita del 2018-19 passano ai 5.4 del seguente anno, fino ad arrivare agli 8.2 di questa stagione, un salto di 3.4 possessi a partita, non proprio pochi.
Ingram si rivela letale anche in penetrazione. Qui vediamo un primo passo fulmineo seguito da una conclusione al ferro non proprio facile. In stagione sta penetrando 11.4 volte a partita, meno dell’anno scorso, ma la percentuale dal campo è aumentata al 52.9% facendo rimanere pressoché invariato il numero di punti segnati, 7.4 a partita.
Impressive first step @AndreaPoggi14 pic.twitter.com/SF4yUrGsqL
— Matteo Berta (@matteo_berta99) January 14, 2021
Brandon è ora alla sua seconda stagione in Louisiana, è il volto della franchigia insieme a Zion Williamson ed ha firmato un contratto da superstar di ben 158 milioni di dollari in 5 anni. Un cambiamento radicale rispetto alle stagioni in giallo-viola. Manca una cosa sola ora, raggiungere i playoffs con New Orleans da assoluto protagonista.
Ball e Hart, a che punto sono?
Il maggiore dei Ball entra in NBA con tantissime aspettative e pressioni, spesso odiato più per le dichiarazioni del padre che per quello che fa sul campo. Dopo due stagioni ai Lakers dove non convince e dimostra di essere stato scelto troppo in alto al draft, viene scambiato a New Orleans nella trade per Davis.
Nella nuova squadra si ambienta immediatamente. Il gioco veloce di Gentry improntato sul contropiede sembra cucito a pennello per il playmaker ex UCLA. La squadra della Louisiana finisce spesso negli highlights grazie ad alley-oop da dietro la metà campo di Zo chiusi molte volte da schiacciate di Zion o comunque da comodi appoggi uno contro zero. Anche il tiro sembra aver trovato la quadra, proprio come il compagno Ingram, 37% dalla lunga distanza su 6.3 tentativi.
Lonzo Ball is the king of the hit-ahead pass. Since Jan. 22, when Zion returned, he has 24 assists from behind half court. Gotten nearly 15% of his assists during that stretch that way. pic.twitter.com/X6iAsFJW3z
— Christian Clark (@cclark3000) March 9, 2020
Dopo un anno di ripresa, passato in un sistema che fa della velocità il suo punto forte, Lonzo è tornato a deludere. Stan Van Gundy sposa una filosofia diversa del gioco, imponendo ritmi più bassi, poco contropiede e tanti giochi a due. Una idea di gioco fatale per il ragazzo di Chino Hills che è abituato a correre e giocare in transizione.
Nonostante alcuni miglioramenti sul pick and roll – quest’anno in questo genere di situazioni segna 0.87 punti per possesso, 0,29 in più rispetto al 2019-20 -, le difficoltà nel creare per se ed i compagni sono ancora evidenti e si riflettono sulla qualità delle scelte e sul tiro. Qui cerca di creare qualcosa prima con Zion poi con Adams, ma i risultati sono pessimi.
Lonzo reject to use screen twice against opponent Under.
— Skyfall (@polarfall) January 20, 2021
Lacking of handler's getting into middle/paint provides team offense flow stagnantly. pic.twitter.com/i0H5daQivL
Ball è un giocatore intelligente, capace di fare il passaggio giusto al momento giusto, che sia un passaggio a tutto campo o un hockey pass – quei passaggi che poi portano ad un assist -, ma per farlo deve ambientarsi in questo suo nuovo ruolo ritrovando la fiducia persa soprattutto nel tiro. Per ora, però, Lonzo si è dimostrato più deludente che altro.
Hart, al contrario del compagno con il numero due, è entrato nella lega in punta di piedi. Scelto con la 30esima scelta dai Jazz e scambiato subito ai Lakers si è dimostrato fin da subito un giocatore solido in grado di essere un buon comprimario nella NBA odierna. Le aspettative su di lui non sono mai state altissime, ma non le sta minimamente deludendo.
Josh ha un ruolo ben definito nella NBA moderna e nell’ecosistema dei Pelicans: è un 3&D fatto e finito, ovvero è un giocatore capace di tirare triple e di difendere bene. La difesa è forse il fondamentale dove può saltare meno all’occhio, poche giocate spettacolari come stoppate in aiuto o in chase down, ma tanta voglia di competere. L’ex Villanova è una guardia capace di difendere bene almeno su due ruoli (guardie e ali piccole) e, all’occorrenza, anche sui 4 sottodimensionati grazie ai suoi quasi 100kg di peso.
Non è malvagio neanche lontano dalla palla. Qui una bella sequenza di palla rubata + schiacciata. pic.twitter.com/uaAG16YTYo
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) January 23, 2021
Offensivamente i compiti di Hart sono limitati. Raramente deve creare qualcosa per i compagni dal palleggio e molto più spesso si trova ad aspettare di ricevere la palla sulla linea da 3 punti per il facile catch&shoot o per attaccare il closeout. In stagione sta viaggiando a 3.7 triple di media a partita e le converte con il 35%, in linea con quella che è la sua percentuale in carriera. Un tiratore su cui si può fare affidamento, anche se non è certo un cecchino come il compagno di squadra JJ Redick.
Offensivamente Hart è un tiratore nella media, 35% da 3 su 3.7 tentativi, più che sufficienti per renderlo non battezzabile dall'arco. pic.twitter.com/LyqIbUcuBS
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) January 23, 2021
Oltre alla difesa e al tiro, Josh aggiunge anche un’altra piccola specialità che lo rende unico: i rimbalzi. Il numero tre in forza ai Pelicans raccoglie 7.6 rimbalzi a partita nei soli 28 minuti di gioco, dato che lo posiziona quarto tra le guardie dietro a freak atletici come Simmons e Westbrook o esterni sovradimensionati come Luka Dončić. Non è un dato importantissimo, ma testimonia la voglia di buttarsi su ogni pallone del giocatore.
Uno degli aspetti più "curiosi" di Hart è la capacità di andare a rimbalzo. In questo momento sta viaggiando a 7.6 rimbalzi a gara, quarto tra le guardie. pic.twitter.com/rJeuzVOlKc
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) January 23, 2021
Hart, dal canto suo, ha poche pressioni -è chiamato a fare quelle due o tre cose senza strafare- ma per ora si sta dimostrando un buon collante (glue guy).
Vincitori e vinti della trade
Dopo diciannove mesi possiamo effettivamente dire chi ha vinto lo scambio. Per quanto riguarda le due franchigie la situazione è una win-win. I Lakers hanno portato a casa il Larry O’Brien trophy (il titolo) alla prima stagione e, non meno importante, sono riusciti ad assicurarsi Davis e James per altri anni ancora.
Lato Pelicans possiamo dire che l’obiettivo di portare avanti una strategia di crescita puntando su Zion e Ingram, evitando il tanking sfrenato, sta funzionando. Ora è obbligatorio fare lo step successivo, ovvero competere seriamente. Nonostante l’attuale record negativo (5-10 in questo momento), i presupposti per puntare ai playoffs o, almeno, ai play-in ci sono già da quest’anno: vedremo se Van Gundy riuscirà a imbrigliare questi Pelicans e a riportarli sulla retta via.
Il grande sconfitto, probabilmente, è solo uno: Lonzo Ball. Il figlio di LaVar, nato e cresciuto a Los Angeles, che ha giocato per UCLA e promesso fin da prima del draft ai Los Angeles Lakers viene scambiato proprio da quest’ultimi. Non fraintendetemi, probabilmente lo scambio è la miglior cosa successa Lonzo in carriera, un ambiente più tranquillo e con meno pressioni, ma i risultati faticano ad arrivare ed il rischio di finire a girovagare per la NBA si alza sempre di più, non una bella fine viste le premesse iniziali.