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Crisi Pelicans, che succede?
Van Gundy kriptonite di Redick

Davide Torelli by Davide Torelli
24 Gennaio, 2021
Reading Time: 5 mins read
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van gundy

Copertina a cura di Alessandro Cardona

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Stavolta l’hanno combinata grossa. Hanno perso contro Minnesota, cinque sconfitte consecutive prima di stanotte, con appena una vittoria nelle ultime 12 gare disputate. I New Orleans Pelicans di Stan Van Gundy sono ufficialmente in crisi, col penultimo record a Ovest. Un 120 a 110, quello del Target Center, che non ammette repliche, e che rappresenta la terza sconfitta consecutiva per Ingram e compagni, ora con 5 vittorie e 10 sconfitte.

Il problema ulteriore è che arriva contro avversari privati di Karl Anthony Towns causa Covid-19 e con D’Angelo Russell tenuto a riposo, per un quintetto con poco appeal, in cui spiccano le prestazioni di un Malik Beasley da 16 punti, un Jarred Vanderbilt in doppia doppia (da 11 rimbalzi e 16 punti), oltre a 20 punti di Naz Reid.

Anthony Edwards, prima scelta assoluta nell’ultimo draft, è poi protagonista nel terzo quarto che decide la partita, con i Pelicans in blackout, che realizzano appena 14 punti. È la frazione decisiva, che a prescindere dagli highlights confezionati da Zion Williamson e dall’ennesima prova ineccepibile di Brandon Ingram, denota tutte le difficoltà mostrate dai Pelicans in questo inizio stagionale.

Disattendendo in modo chiaro, per il momento, le aspettative per un salto di livello che tarda a vedersi all’orizzonte. Che poi, si sa, quando le cose vanno male in campo e le sconfitte fioccano, i malumori emergono in spogliatoio e la gestione anche emotiva di un roster diviene decisiva, per chi dovrebbe tenerne le redini.

 

Lo strano rapporto tra Stan e JJ

Per Stan Van Gundy il progetto di rinascita dei suoi (fa specie doverne già parlare) deve decisamente ripartire dalla difesa, laddove le soluzioni offensive non mancano per quanto difficili da equilibrare. L’allenatore non appare certo entusiasta a fine partita, sottolineando quanto anche i suoi uomini debbano prendersi responsabilità per una sconfitta simile, le stesse che lui non rifugge. Il fatto che gli avversari giochino in modo più duro dei suoi rappresenta il riassunto del momento che la squadra sta attraversando, sovrastata spesso a rimbalzo e vittima di parziali importanti.

L’apporto sostanzialmente nullo di un veterano come JJ Redick, rappresenta un campanello d’allarme più che metaforico, rispecchiando la disarmonia che regola il gruppo. Il veterano ex Duke sta tirando con le peggiori medie in carriera (35% dal campo e 32% da dietro l’arco), giocando poco più di 20 minuti per partita ed è palesemente ai margini del progetto.

Nella notte ha chiuso con un pessimo zero su sei a tabellino, giocando ancora meno del consueto (11 minuti): un film già visto, per lui, in principio di carriera.
Quando da undicesima scelta assoluta dopo un primo anno deludente, con l’arrivo in panchina proprio di Stan Van Gundy in quel di Orlando, la sua carriera sembrava destinata a non decollare. Specialista si, ma da comprimario neanche troppo di lusso, seppur all’interno di un cavalcata playoff come quella del 2009, con i Magic sconfitti solo alle Finals dai Lakers di Kobe.

In realtà, il fratello di Jeff riuscì poi ad inserirlo lentamente nella rotazione, regalandogli a fine esperienza anche qualche partenza in quintetto, senza mai scommettere veramente sul suo talento, destinato ad esplodere nella Los Angeles sponda Clippers. Dopo un breve passaggio a Milwaukee, ceduto principalmente in cambio di Tobias Harris.

Che Van Gundy possa rappresentare la kryptonite per Redick, anche alla luce dell’involuzione rispetto allo scorso anno in materia di prestazioni, è storia curiosa, ma abbastanza palese ad oggi. E la faccenda è incomprensibile, anche perché l’esperienza del tiratore potrebbe aiutare tanto nella ricerca degli equilibri in campo, con i nuovi arrivi stagionali che non stanno brillando e rappresentano più limiti che vantaggi nella manovra offensiva, sinora.

 

Non benissimo Adams e Bledsoe

Tornando più generalmente alle falle dei Pelicans, gli ovvi problemi difensivi non devono nascondere l’inefficienza offensiva emersa di gara in gara, per quanto eufemistico appaia per una squadra che esibisce attaccanti come Ingram e Zion. Il problema risiede nell’amalgama con i nuovi arrivi Steven Adams ed Eric Bledsoe, non esattamente funzionali per migliorare il funzionamento della macchina.

Soprattutto stupisce in negativo la tendenza a sfruttare poco le transizioni rispetto a quello che suggerirebbero le caratteristiche di Ball e Williamson, impostando invece la manovra a metà campo, e abusando dei pick and roll. Una fase in cui Adams funziona bene da bloccante, ma appare inefficace in caso di ricezione lontano dall’area, permettendo al suo difensore di aiutare sulla strabordante fisicità di Zion, nei tentativi di lavorare in post. Insomma, la sua convivenza con la prima scelta assoluta del 2019, ne limita decisamente le possibilità in attacco al ferro.

Discorso analogo se osserviamo il dualismo tra Lonzo Ball ed Eric Bledsoe, poco adatti ad affiancarsi per peculiarità riconosciute. La discontinuità dell’ex Bucks – unita ad una selezione di scelte storicamente rivedibile – lo rende spesso deleterio, per quanto nella gara di Minny abbia chiuso con 28 punti con 3 su 6 da dietro l’arco ed appena una palla persa. Si tratta di un giocatore che vive di fiammate, alle quali spesso seguono letture discutibili che rendono prevedibile l’opzione Ingram come creatore contro la difesa schierata. Chiaramente ottimo per giocare di isolamenti, ma non adatto per la fluidità di manovra.

Una condizione decisamente non ideale laddove si attendeva il salto di qualità definitivo per Lonzo Ball, prossimo free agent e possibile partente, considerando quanto poco riesca a far splendere le proprie caratteristiche all’interno di un organico dove anche Nik Melli trova spazio a fatica. Stanotte l’azzurro non ha giocato neppure un minuto. Un altro mistero (per superbo fit potenziale con il core giovane della squadra) che solo Van Gundy potrebbe spiegarci, svelando i motivi per cui l’italiano non riesce a trovare spazio pur in un contesto al quale qualche modifica dovrà essere apportata, se l’idea è quella di cambiar rotta. Alla svelta, perché ormai non c’è più tempo da perdere.

Tags: Brandon IngramEric BledsoeJJ RedickLonzo BallNicolò MelliStan Van GundySteven AdamsZion Williamson
Davide Torelli

Davide Torelli

Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.

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