Fine della bolla, fine della festa? Eravamo ben consapevoli che sarebbe stato impossibile ripetere quello fatto durante gli ultimi playoff, sia a livello di risultati sia soprattutto di gioco, ma arrivare a questo punto della stagione in queste condizioni, quando cui il ghiaccio dovrebbe essere ormai rotto, non lo avremmo mai pensato. Il problema, più che di risultati – che comunque rimane presente per una squadra reduce dalle Conference Finals – è di gioco: i Nuggets sembrano aver perso la propria identità.
“Mancano pedine importanti”, si potrebbe dire. Vero, ma in quella che a tutti gli effetti è la stagione più pazza della storia NBA, con partite posticipate, squadre che non arrivano a 8 giocatori e coach che si arrabattano per mettere in campo quintetti improbabili con nomi che sfuggono anche agli appassionati di Summer League, in qualche modo dobbiamo arrangiarci. Grant ha trovato la sua dimensione a Detroit: 25 punti a partita e tante sconfitte (contento lui). Si pensava che la sua assenza avrebbe pesato molto, ma paradossalmente il problema non si è ancora presentato in quanto sorpassato nella gerarchia da questioni di gioco ben più gravi.
Gary Harris e Paul Millsap sono due nomi che fanno impazzire la fanbase dei Nuggets, e non in modo positivo. In questo inizio di stagione sembrano veramente irriconoscibili e le cifre impietose lo testimoniano. Un’altra questione è legata a Jamal Murray: uscito dalla bolla come vero All-Star, il canadese non sta per ora confermando quanto fatto vedere ai playoff.
Ripeto, nessuno si aspettava partite da 50 punti come ad agosto, quando era entrato senza mezzi termini in trance agonistica overperformando partita dopo partita, ma ad oggi Murray non sembra neanche l’ombra di quel giocatore, non tanto in termini di cifre o percentuali ma più di atteggiamento: non esprime le qualità da leader mostrate negli ultimi anni, anche al di fuori della bolla.
L’ho sempre detto e continuerò a ripeterlo: il più grande vantaggio avuto dai Nuggets durante gli scorsi playoff è stato l’infortunio di Barton. Che ora è tornato, e si vede. Giocatore totalmente fuori sistema (da sempre), tirante (non tiratore), ball-hog e chi più ne ha più ne metta, è l’emblema dei peggiori momenti delle partite delle pepite: quando guardi l’orologio e sono le 3, pensi che domattina vai a lavoro e hai appena visto la terza scortecciata di ferro da 3 in transizione di Barton, è il segnale che forse è meglio guadagnare qualche ora di sonno.
Nonostante tutto, i Nuggets sono vivi, letteralmente trascinati da un solo giocatore: Nikola Jokić. Deciso, concentrato, spettacolare: quello 2021 è il miglior Joker mai visto. Il serbo ad oggi è uno dei candidati all’MVP: non solo viaggia a cifre stratosferiche (tripla doppia di media), ma è anche più sul pezzo e attivo che mai. I chili persi in estate si fanno sentire; mai avevamo visto uno Jokić così attivo, scattante, energico, capace ormai di andare regolarmente sopra il ferro (che per un centro dovrebbe essere la normalità, ma per lui è sempre stato un problema). Quest’anno Joker fa veramente paura, e se solo i compagni iniziassero ad aiutarlo invece di remare contro a quest’ora saremmo nettamente in vetta alla Western Conference.
Invece siamo ancora nel gruppone, a lottare partita dopo partita, possesso dopo possesso, in attesa del ritorno di Michael Porter Jr., per ora l’unico fermato dal COVID, pezzo fondamentale nella scacchiera di coach Malone la cui assenza si sta facendo sentire. Del resto, lo abbiamo dimostrato nella bolla, siamo un po’ masochisti da questo punto di vista: ci piace metterci in difficoltà, la partenza ad handicap, il ritrovarsi spalle al muro. Ha funzionato in due serie di playoff su tre, ma funzionerà anche su una stagione intera?
Andrea Radi per Nuggets Europe Italia