Sembra passata un’era da quando, carichi di aspettative, abbiamo iniziato la stagione con due batoste, contro Hawks e Pacers. E invece, da allora si sono giocate solamente altre 10 partite. Poche per esprimere un giudizio esaustivo sulla questa versione dei Bulls (e lasciarsi andare a facili entusiasmi), ma abbastanza da farci affermare che il processo iniziato la scorsa estate dal duo Karnisovas-Eversley sta muovendo i primi passi nella direzione giusta.
E poco importa se il record, al momento, recita 4 vittorie e 8 sconfitte: la cosa più importante è che stiamo diventando squadra. Non più un insieme di 5 giocatori, ma una vera squadra di basket che gioca e lotta per un obiettivo comune e che (rarità assoluta in epoca recente) si fida del proprio allenatore. Immaginando questo avvio di stagione come un bicchiere d’acqua infatti, nella parte piena collocheremmo senza alcun dubbio Billy Donovan.
L’ex coach di OKC è riuscito da subito a dare un’impronta alla squadra ma, cosa ben più importante, ha saputo farsi accettare, rispettare e addirittura benvolere da tutti, come traspare dalle recenti interviste di Wendell Carter Jr. e Zach LaVine. Un risultato ragguardevole, visto il poco tempo e soprattutto il numero ristretto di giocatori avuti a disposizione nelle ultime settimane, da quando cioè Tomáš Satoranský e Chandler Hutchison sono risultati positivi al COVID, costringendo alla quarantena obbligatoria anche Lauri Markkanen e Ryan Arcidiacono.
Diversamente dagli ultimi anni, i nuovi Bulls amano correre (terzi nella lega per pace), segnano tanto (quarti per punti segnati) e tirano di più e con percentuali migliori da tre punti. Insomma, assomigliano ad una squadra moderna, come richiesto dal front office. Che Donovan stia facendo un buon lavoro lo si vede anche nei singoli. Lauri Markkanen ad esempio, prima dello stop forzato, sembrava tornato quello delle prime due stagioni e, seppur con qualche difficoltà, anche Coby White e Wendell Carter Jr. stanno mostrando la volontà di migliorare.
Ma chi sembra aver beneficiato maggiormente della “cura Donovan” è Zach LaVine. Il prodotto da UCLA infatti sta trasformandosi nel leader che cercavamo e di cui avevamo disperato bisogno. Un cambiamento clamoroso e per certi versi, almeno dal sottoscritto, insperato. Eppure il LaVine di questo inizio stagione è profondamente diverso da quello che eravamo abituati a vedere. Nonostante i 34.4 punti di media nelle ultime 5 partite, il nuovo LaVine non è più (solamente) un realizzatore eccezionale. È il vero e proprio facilitatore dell’attacco di Donovan e, in assenza di Satoranský, anche la vera point guard della squadra.
Ma se la trasformazione/maturazione nella metà campo offensiva non fosse sufficiente a spiegare il processo di crescita di LaVine, quello che sta facendo nella metà campo difensiva rappresenta la più efficace tra le prove del nove. Ebbene sì, in questo inizio stagione lo abbiamo visto difendere. Ora non immaginatevi Scottie Pippen, ma neanche il telepass che eravamo abituati ad “ammirare”. Ma le note liete non finiscono qui. O meglio, la parte piena del bicchiere non è stata riempita del tutto. Manca Patrick Williams.
Il prodotto di Florida State ci ha messo poco per conquistare tutti i tifosi Bulls, anche i più scettici (come chi sta scrivendo). Lo ha fatto a suo modo, senza squilli di tromba e giocate da copertina di SportsCenter, ma con prestazioni solide e concrete. Guardandolo giocare sembra tutto tranne che un rookie. Che fosse in grado di partire in quintetto da subito è stata una piacevole scoperta, che si rivelasse addirittura fondamentale probabilmente lo avrebbero immaginato in pochi. Eppure la realtà è questa.
Patrick Williams è già fondamentale per questi Bulls. Non tanto in attacco, dove comunque sta dando il suo più che onesto apporto (10.2 punti a partita con il 45.8% da 3), quanto in difesa. La strada per diventare un Giocatore (con la G maiuscola) è ancora lunga, ma intanto i primi esami, anche i più duri come LeBron James e Kawhi Leonard, sono stati superati a pieni voti con tanto di bacio accademico da parte dei professori sopracitati. Avanti così, ragazzo!
Però un bicchiere mezzo pieno chiama sempre una metà vuota, che nel nostro caso è rappresentata dalla scarsa efficienza nella metà campo difensiva e dal numero clamorosamente alto di palle perse. Ad oggi infatti siamo 29esimi per Defensive Rating e 30esimi per punti subiti da palla persa.
Se il secondo dato può essere correlato all’elevato numero di possessi e alla mancanza di una vera point guard che sappia trattare il pallone meglio di Coby White, quello relativo all’efficienza difensiva è più complesso e decisamente più grave. Al momento infatti la nostra difesa fa acqua da tutte le parti, sia sul perimetro sia nel pitturato. Le partenze di Kris Dunn e Shaquille Harrison (migliori difensori perimetrali a roster lo scorso anno) si stanno facendo sentire, così come il mancato salto di qualità (per adesso) di Wendell Carter Jr., entrato nella lega come centro difensivo.
È su questi punti che Donovan e il suo staff dovranno insistere nei prossimi mesi; per adesso va bene così. La fiducia e la rinnovata serenità che si percepiva in sede di presentazione della stagione si sta traducendo sul campo. Donovan sta facendo il suo lavoro alla grande e i nostri giovani (chi più, chi meno) stanno crescendo. Abbiamo ancora diversi difetti e possiamo migliorare ancora molto ma non esageriamo con le pretese: veniamo da stagioni deprimenti, ed essere perfetti da subito sembrava brutto.
Gherardo Dardanelli per Bulls Nation Italia