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Chi sono quei 76ers contro Jokić?
Show must go on fino a quando?

Davide Torelli by Davide Torelli
10 Gennaio, 2021
Reading Time: 5 mins read
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Tyrese Maxey

Copertina a cura di Alessandro Cardona / Photo Credits: Jesse D. Garrabrant Via Getty Images

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La partita tra Philadelphia 76ers e Denver Nuggets sarebbe stato preferibile non si fosse giocata così, diciamolo subito. La situazione creatasi a seguito della positività al Covid-19 di Seth Curry, ha costretto i ragazzi di Doc Rivers a scendere in campo con solo sette giocatori effettivi, facendo figurare disponibile anche Mike Scott (impossibilitato a giocare per infortunio) per raggiungere la quota minima di atleti a disposizione, di otto.

Una situazione surreale testimoniata anche dalle dichiarazioni di Rivers, che nelle interviste precedenti alla palla a due aveva sottolineato quanto il contesto non apparisse idoneo per una sfida vera di pallacanestro, concludendo amaramente con un “non sono io a decidere”.

Di fatto, se togliamo quei motivi di interesse che possono colpire solo i feticisti del gioco (o dell’assurdo, considerando i nomi in quintetto), apparentemente c’era ben poco da vedere e molto da opinare, guardando alle circostanze ed al modo in cui il tutto si è sviluppato.

In ogni caso, contrariamente ad ogni previsione, per i primi due quarti il punteggio è rimasto piuttosto in equilibrio, principalmente per colpa dei Nuggets, consapevoli di poter impegnarsi al minimo delle loro possibilità per ottenere comunque la prima vittoria esterna, con tre sfide in trasferta previste a calendario. Le prossime nella Grande Mela, contro Knicks e Nets.

 

La partita

Rispetto alle principali rotazioni abituali, nel quintetto dei Sixers si possono riconoscere solo Danny Green e Dwight Howard, due ex Lakers che non disputeranno neanche una gara adeguata (il centro ex Superman, gioca appena 24 minuti anche per problemi di falli, dando la sensazione di preferir incitare i compagni dalla panchina piuttosto che aiutarli in campo).

Insieme a loro, Isaiah Joe (guardia da Arkansas, quarantanovesima scelta dell’ultimo Draft), Tyrese Maxey (proveniente da Kentucky e scelto come ventunesimo in lista) e Dakota Mathias (un undrafted titolare di regolare two-way contract e con ampia esperienza in G League). Vedranno il campo anche l’ex comprimario dei Jazz Tony Bradley e Paul Reed, cinquantottesima scelta al draft, sostanzialmente uno sconosciuto.

Dall’altra parte, Mike Malone non può disporre di Michael Porter Jr sempre per problemi legati al virus, ma schiera il miglior quintetto a disposizione, con tanto di Jokić e Murray, giustamente onorando la sfida. Nonostante il tenore della gara, Bol Bol apparirà in campo appena per un cammeo.

Nella prima metà però, Philadelphia riesce a tener testa agli svogliati avversari, riuscendo a recuperare un avvio disastroso da 10 a 2, e provando addirittura a tenere fino alla pausa lunga. Nel secondo tempo bastano un paio di fiammate dei Nuggets per chiudere i giochi, grazie ai 21 punti totali di Gary Harris ed una quasi tripla doppia di Jokić da 15 punti, 12 assist e 9 rimbalzi con il minimo dispendio energetico.

Ci sarebbe poco altro da dire, se non soffermarsi sulla prestazione di tutto rispetto del sopracitato rookie da Kentucky, che a differenza dei restanti colleghi di serata, il campo in questa stagione lo aveva già intravisto regalando sprazzi più che dignitosi.

Come previsto in una stagione che – volenti o nolenti – sarà segnata dalla pandemia, le occasioni di restar in campo per giocatori altrimenti destinati a farsi vedere poco, sono più del previsto. E Maxey dimostra di saper sfruttare da subito una condizione che potrebbe non terminare con questo episodio, facendo registrare a referto 39 punti, 7 rimbalzi e 6 assist in 44 minuti di impiego.

É lui la principale motivazione per cui seguire fino in fondo la partita, a parte la curiosità dell’inizio generata da una situazione inedita prima di stasera.

Perché non si è rimandato?

Partendo dal presupposto che i Sixers erano dapprima decimati dagli infortuni, e poi dalla quarantena imposta dal protocollo, la domanda sorgeva spontanea fin dall’ufficializzazione della sfida. Ampiamente data per “improbabile” a partire dalla notizia della positività di Curry.

Proprio il figlio di Dell – dopo aver messo a segno 28 punti nella vittoria contro i Wizards – aveva osservato l’incontro con Nets dell’8 gennaio in borghese per infortunio, seduto però in panchina vicino ai compagni. Solo durante la partita gli era stata comunicato il riscontro del tampone, costringendolo ad una rapida fuga che non ha impedito a quattro compagni di esser precauzionalmente isolati. Si tratta di Harris, Thybulle, Poirier e Milton.

Aggiungendo a questi gli infortunati – e la coppia formata da Simmons e Embiid tenuta fuori più per precauzione che per altro, ma comunque acciaccata – trovare il numero consentito per salvare la diretta televisiva è risultato un’autentica impresa, come introdotto precedentemente. Eppure esisteva già un precedente, e neanche troppo distante nel tempo.

Per trovarlo è necessario tornare all’opening night stagionale, con James Harden sospeso per aver fatto baldoria in uno Strip Club, ed i Rockets falcidiati dalle assenze ed incapaci di scendere in campo contro Oklahoma City. Tra positivi e contatti in isolamento preventivo, Houston non era riuscita a trovare gli otto atleti necessari per disputare l’incontro, ed il tutto è stato rimandato a data da destinarsi.

Per loro, ricorderete, l’esordio ufficiale è avvenuto qualche sera dopo a Portland, con la versione appesantita di Harden che ne mette 44 a referto.

Considerando che Mike Scott era dichiaratamente infortunato per Phila, per quale motivo la NBA ha deciso di far finta di “credere alla menzogna” che lo definiva ottavo arruolabile (e decisivo) per disputare la sfida?

Probabilmente la questione è circoscritta sia ai diritti televisivi (la gara era prevista in prime time europeo, a programma dei consueti “Nba Saturdays”) che al disagio di dover posporre una gara, cercando spazio in un calendario già compresso e difficile da sostenere nei mesi a venire. Del resto in una situazione in cui si è ardentemente voluti ripartire entro il 2020, mettendo a calendario 72 partite e forzando i ritmi in un autentico tour de force stagionale, situazioni analoghe erano ampiamente prevedibili, quanto preferibilmente evitabili.

Il problema resta il pericolo di altre gare simili (o stop forzati) nell’attuazione del protocollo anti contagio vigente, laddove le nuove positività al Covid-19 spuntano come funghi di giorno in giorno (ultima in ordine di tempo, quella di Jayson Tatum di Boston, che dovrà restar fuori almeno 12 giorni).

Che lo spettacolo debba andare avanti – perché il business non può fermarsi, è chiaro – è storia nota. La domanda da porsi, però, riguarda le fattezze dello show stesso, costretti a vedere partite già concluse in partenza, con i giocatori più attesi a rischio stop, per non parlare dell’atteggiamento visto in tante squadre in questo avvio di stagione.

Principalmente quelle che avevano concluso più tardi il percorso nella bolla di Orlando, ancora con il pilota automatico seguendo la filosofia del minimo sforzo, in conseguenza anche degli stringati training camp vissuti (vedi i campioni dei Lakers, capaci comunque di rendere al massimo senza performare sopra il 50% delle possibilità.

Tags: Nikola JokicPhilaldelphia 76ersTyrese Maxey
Davide Torelli

Davide Torelli

Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.

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28 Gennaio, 2021 3:17 pm

[…] Chi sono quei 76ers contro Jokic? Show must go on fino a quando? 10 Gennaio 2021 […]

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