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Si può di nuovo sorridere in casa Warriors?

The Italian Bay by The Italian Bay
7 Gennaio, 2021
Reading Time: 7 mins read
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warriors

Copertina a cura di Sebastiano Barban

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WARRIORS, PROLOGO IN SALITA, POI LA RIPRESA

L’inizio di stagione dei Warriors è stato tutt’altro che facile.

Le aspettative su una franchigia che viene da recenti successi storici – come quella californiana – sono sempre altissime ad inizio stagione, specie da parte dei propri tifosi abituati a vincere in lungo e in largo negli anni passati.

Quest’anno però la musica è ben diversa:

  • Klay Thompson fuori tutta la stagione a causa del tendine d’Achille, proprio dopo aver aspettato un anno che rientrasse dal precedente gravissimo infortunio;
  • un roster completamente rivoluzionato in quasi tutti i suoi elementi;
  • dubbi su quanto Stephen Curry possa trascinare la squadra, non avendo un impatto fisico come quello di un Lebron James o un Giannis Antetokounmpo

I risultati non hanno certo aiutato nelle prime partite di RS, tra una cocente sconfitta nella opening night contro i Brooklyn Nets di Durant e Irving, e un’altrettanto dura ripassata contro i Milwaukee Bucks nel giorno di Natale.

Certo, partite non facili senza alcun dubbio, ma a molti è venuto da alzare il sopracciglio e lo scetticismo attorno alla squadra di San Francisco è cresciuto a tal punto da arrivare a descrivere un roster di tutto rispetto come una semplice accozzaglia di giocatori senza troppe pretese.

L’NBA, però, è una lega che lascia spazio a parecchie interpretazioni, e le cose cambiano molto velocemente: i Warriors vincono contro Bulls (buzzer beater di Damion Lee da 3 punti) e Pistons, rimettendosi in carreggiata se non nel gioco, quantomeno nei risultati.

La “svolta”, se così si vuole chiamarla dopo solamente 4 partite di regular season, avviene contro i Portland Trail Blazers, partita in cui è tornato dopo 300 giorni di assenza Draymond Green.

Una squadra rivoluzionata come quella Warriors aveva bisogno di un punto fermo nella sua fase difensiva e, soprattutto, un leader carismatico ed emotivo come era stato Green negli anni scorsi.

Pur perdendo la prima partita contro i Blazers, Golden State inizia ad ingranare le marce un po’ più alte del motore e, grazie a prestazioni monstre di Stephen Curry (bistrattato per l’inizio di stagione), ma non solo, vince in back-to-back contro Portland e Sacramento con punteggi pirotecnici.

Andrew Wiggins e Kelly Oubre, criticati pesantemente per le loro percentuali al tiro, oltre al rookie James Wiseman, mostrano sprazzi di quello che possono veramente dare alla squadra, iniziano a capire movimenti offensivi e difensivi dettati da Steve Kerr e, con l’aiuto di un All-Star in più come Draymond Green, il roster inizia a far vedere il suo vero potenziale.

Non sappiamo se questo sia il giro di boa della stagione Warriors, ma siamo sicuri che il roster a disposizione sia molto valido. In una stagione particolare come questa, dove senza tifo nei palazzetti il concetto di casa e trasferta è molto più labile, dove le grandi squadre non hanno ancora espresso il loro meglio e dove c’è una grande incertezza giorno dopo giorno, i Warriors possono dire la loro.

Se saranno playoffs è ancora prestissimo per dirlo, ma siate certi che in California l’aria sta cambiando: i Warriors ci credono, eccome se ci credono.

 

DRAYMOND GREEN – IL RITORNO E LA SVOLTA

Una delle ragioni – per non dire la principale – della recente ripresa Warriors e, in particolare, dei ritrovati equilibri tecnico/tattici, oltre che di leadership, ha un nome e cognome ben preciso: Draymond Green.

Oltre 300 giorni dopo il suo ultimo incontro ufficiale, l’Orso Ballerino è tornato sul parquet in occasione dei primi tre incontri casalinghi stagionali della franchigia californiana (nelle precedenti 4 uscite out per un problema al piede), portando in dote, nonostante restrizioni in termini di minutaggio, il suo straordinario spirito competitivo e IQ cestistico, esercitando un impatto determinante nelle performance di squadra. E nelle due vittorie che ne sono conseguite.

Da sottolineare, in particolare, quest’ultimo aspetto: “Draymond ha portato vibrazioni totalmente differenti, positive, dal suo rientro” ha affermato coach Kerr. “Controllate gli highlights di Dray questa notte (W contro i Blazers). È stato un clinic sul come risultare efficaci sotto questo aspetto”.

Riscontro che sul campo si è visto in maniera evidente, fisicamente: continuo mulinello di braccia (anche durante il palleggio), richiami vocali, richiesta di movimenti, tagli, aiuti con tempi chirurgici, raddoppi chiamati, consigli per tutti. In particolare con Wiggins e Wiseman, bersagli ideali uno per la natura un po’ indolente che lo ha sempre contraddistinto e l’altro per la giovane età. Le loro migliori prestazioni difensive della stagione (così come quelle di squadra) sono coincise col ritorno di Green. Ed è tutto fuorché un caso.

L’apporto di Green non è però tangibile solo per quanto concerne le sue abilità da coordinatore della difesa e di leadership, ma anche in altri aspetti altrettanto importanti: i Warriors intendono giocare con un ritmo estremamente elevato quest’anno (al momento 1° nella lega), tentando di sopperire in questo modo alle carenze di creazione secondaria che attanagliano questo organico.

Nelle partite contro Nets e Bucks, ma anche nelle vittorie su Bulls e Pistons, si è manifestata questa tendenza, spesso in modo disorganizzato e confusionario, senza riuscire a creare concretamente vantaggi di sorta; le abilità di playmaking del 23 Warriors, in tal senso (e grazie anche ad una qualità difensiva diversa), consentono una maggiore fluidità di manovra, nonché possibilità di trovare tiratori aperti.
Anche qui, le migliori due performance al tiro e per assistenze di squadra (41 contro i Kings, mentre nelle precedenti 6 GSW era ultima nella Lega) sono coincise con la sua presenza in campo.

Un altro aspetto importante che GSW cavalcherà – soprattutto nei momenti caldi – nelle situazioni di attacco a metà campo, è il pick&roll con Curry e il conseguente short roll che ne deriva per impedire, come quasi sempre accade per scelte difensive, il tiro o un cambio favorevole al 30: da questo punto di vista il suo decision making è sempre stato invidiabile per un lungo, e la presenza nel dunker spot di un atleta come Wiseman certamente apporterà dei vantaggi ulteriori al ventaglio di scelte di Green.

Vero, Draymond non è probabilmente più in grado anche di produrre in termini di realizzazione pura, almeno per il momento, come accadde nella magica e forse irripetibile stagione 2015/16, quando mantenne di media 14 punti a partita col 38.8% da tre su 3.2 tentativi. Ma non è ciò che Kerr e soci chiedono al suo ritorno: la richiesta è che torni ad essere il più grande spauracchio difensivo della passata decade dell’intera NBA, trascinando squadra e compagni emotivamente e in una crescita collettiva.

Le ambizioni Warriors, più che mai dopo l’infortunio che ha posto fine alla stagione di Klay Thompson, passano in gran parte dalla continuità che riuscirà a portare Green alle sue performance: qualora si attestassero su un livello medio come quelle delle ultime due, attenzione alla franchigia con sede a San Francisco.

 

WISEMAN, INIZIO MOLTO INCORAGGIANTE

Una delle note più liete, soprattutto nell’inizio negativo di stagione, è stata senza dubbio James Wiseman. La seconda scelta assoluta è arrivata con tanti dubbi dovuti alle pochissime partite giocate al college (soltanto 3) e anche a presunti atteggiamenti poco edificanti, in ottica professionismo.

In realtà è stata una grande sorpresa: più dell’aspetto tecnico, di cui scriveremo, ha colpito l’attitudine del diciannovenne di Nashville, la voglia di imparare, la concentrazione, il saper ascoltare i consigli dei compagni (Green gli sta facendo da mentore, catechizzandolo in ogni momento buono) e dello staff tecnico.

È apparso fin dall’esordio davvero concentrato, freddo, senza paura nel prendersi tiri anche dalla lunga distanza (18.5 punti di media e 4/5 da tre nelle prime due sconfitte di inizio stagione) e nelle ultime gare ha aggiunto una grande presenza a rimbalzo offensivo e la sua capacità di sfruttare le situazioni di p&r andando sia al ferro che aprendosi per il tiro.

Offensivamente un’arma completa, veloce nel coprire il campo in transizione, mano delicata e buona tecnica e range di tiro per un 216 cm, agilità e rapidità nei piedi, buoni movimenti in post, grande capacità di giocare sopra il ferro. Insomma, un pacchetto completo di skill offensive, ovviamente tutte migliorabili e da migliorare; ha poi fatto vedere lampi di talento che fanno davvero saltare sulla sedia, in particolare un paio di coast-to-coast che hanno ricordato azioni degne di Giannis, incredibili per un giocatore delle sue dimensioni.

Anche difensivamente, aspetto del gioco su cui c’erano i dubbi maggiori su di lui, il prodotto di Memphis sta reagendo molto bene. A parte alcuni errori di gioventù e di esperienza nel posizionamento e nelle scelte e in alcune occasioni problemi di falli, dovuti in larga parte alla “tassa” che pagano un po’ tutti i rookie con gli arbitri, ha fatto vedere buone cose e soprattutto miglioramenti di partita in partita. La sua sola presenza in campo funge da deterrente per gli avversari, dato che la sua lunghezza è un problema per gli attaccanti che vogliono andare al ferro. Sta migliorando di gara in gara scelte e posizionamenti soprattutto contro gli esterni avversari, non venendo più sorpreso e infilato dal primo passo o dalle loro finte, lasciandosi lo spazio per scivolare e accompagnare la penetrazione o per chiudere e contestare il tiro sfruttando le sue braccia infinite.

Le sue dimensioni lo portano ad essere uno stoppatore efficace (esclusa la prima contro i Nets viaggia esattamente a 2 stoppate di media) e anche un rimbalzista temibile sui due lati del campo (e i Warriors hanno storicamente bisogno di un rimbalzista).

Steve Kerr lo sta gestendo nel migliore dei modi, dandogli spazio e fiducia, ma non troppi minuti (21.7 di media), per permettergli di entrare gradualmente nel vivo della squadra. In questo modo Wiseman ha il tempo di metabolizzare le istruzioni e correzioni fatte anche durante le gare dal coach e dai compagni, alle quali James dà molto ascolto, non esponendolo così eccessivamente agli errori che un minutaggio più alto potrebbe portare per un ragazzo che, alla fine, ha giocato soltanto una decina di partite ufficiali in totale tra Memphis e NBA.


Michele Gasperini per The Italian Bay

Tags: Draymond Greengolden state warriorsJames WisemanKlay ThompsonSteph CurrySteve Kerr
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