Ci risiamo. Appena 8 partite giocate – l’ultima stanotte contro Chicago – e i Sacramento Kings sono già nel mezzo del consueto caso mediatico. Tratto caratteristico dei tanti, troppi anni di risultati negativi, non giocano i playoff addirittura dal 2006, durante i quali notizia l’hanno fatta semmai, appunto, le vicende extra campo. Pessime, di solito.
Chi pensava che con la chiusura della sciagurata era Cousins questa dinamica fosse ormai trapassato remoto si è tristemente ricreduto, a partire dalle accuse di violenza sessuale legalmente rivolte a Coach Luke Walton e poi ritirate dalla giornalista sportiva Kelli Tennant, circa un anno fa. Quindi Boogie, dopo averne combinate di tutti i colori dentro e fuori dal parquet nella capitale californiana dal 2010 al 2017, con un colpo di coda nel giugno scorso aveva fatto licenziare, o se preferite dimettere “spontaneamente” Grant Napear, lo storico telecronista dei Kings, dopo uno scambio di battute su Twitter relativo alle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter.
I due si detestano. E il giornalista era caduto in maniera sorprendente nell’imboscata social del talento maledetto da lui tante volte additato come l’origine dei mali di franchigia. Stavolta il copione è persino più surreale. Entrano in scena, social, i papà di Marvin Bagley e De’Aaron Fox.
Nel nome del padre
Lui, Walton e l’altro. Il triangolo qua non è amoroso, manca una Lei, ma è altrettanto increscioso. Perché entrano in scena i padri, e non se ne sentiva il bisogno. In tutto questo Coach Walton, a sua volta figlio di papà – del mitico Bill, centro fenomenale NBA limitato dagli infortuni e poi istrionico e irriverente telecronista sportivo -, che da oltre due stagioni fa già una fatica dannata per far quadrare schemi e soprattutto record di squadra rispetto al talento a disposizione in organico, si è trovato con una gatta da pelare mica da ridere. E siccome ha un carisma inversamente proporzionato a quello del papà…
Ma procediamo con ordine. Sabato scorso i Kings perdono contro Houston, pur orfana di Harden, per la seconda volta di fila. Dopo la partita Mr Bagley twitta: “Sacramento Kings, per favore scambiate Bagley III prima possibile. Con affetto…“. Apriti cielo. E il giorno dopo, la domenica, il padre di Fox twitta due parole due, ma inequivocabili: “Trade him“. Traduzione facile: “Scambiatelo“. Il figlio non la prende bene perché poco dopo twitta: “Gesù Cristo“. Poco opportuno e ancor meno elegante, ma non c’è dubbio sull’oggetto dell’esclamazione.
Walton è stato costretto a pronunciarsi sul tema. Ha arrancato, come suo costume: “Non ascoltiamo nulla di tutto questo. Non ci dobbiamo far condizionare. Conta quello che succede in spogliatoio, dentro queste mura. Siamo assieme in questo percorso“.
Parole di circostanza. Ovviamente è vero il contrario: tutti a Sacramento hanno tenuto conto di quello che è stato detto dai due genitori invasivi. Perché è difficile immaginare che padre e figlio non si parlino e non siano sulla stessa lunghezza d’onda…E dunque signori e signore, all’angolo blu Marvin Bagley, all’angolo rosso De’Aaron Fox. Il problema è che non si parla di pugilato e soprattutto giocano nella stessa squadra, sarebbero i presunti uomini franchigia…
Se passi Dončić per Bagley…
Marvin Bagley III, come si fa chiamare, è stato scelto con la seconda chiamata assoluta al Draft 2018. Davanti a Luka Dončić. Il peccato originale ha in calce la firma di Vlade Divac, allora primo dirigente dei Kings. Ovvio. Così come non è colpa di Bagley che qualcuno “ci sia cascato” dopo l’ottima stagione offensiva esibita a Duke, e lo abbia scelto così in alto, allora.
É però altrettanto ovvio che i tifosi dei Kings in primis, e in assoluto gli addetti ai lavori NBA, guardino a Bagley con quelle aspettative o quantomeno consci dell’elefante nella stanza. C’è già passato qualcuno. Greg Oden chiamato al suo draft prima di Durant, e Sam Bowie, scelto prima di Jordan…Lo sloveno non è a quei livelli, inevitabilmente, ma certo promette di essere talento epocale con una carriera speciale.
E Bagley ha deluso. C’è poco da girarci intorno. Gioca appena 25 minuti per partita (dati su 7 gare ndr), e segna meno di 11 punti. Walton non si fida di lui, come i suoi compagni di squadra. Il motivo è ovvio: non difende. Mai difeso. Al college Coach K pur di non rinunciarci, lui che è integralista della difesa a uomo, si convertì per l’intera stagione – eresia – alla zona.
Bagley non ha gli istinti difensivi, l’atteggiamento e la comprensione del gioco per essere un difensore quantomeno decente. E in attacco, pur avendo punti nelle mani e un talento atletico speciale, in particolare da secondo salto a rimbalzo, non ha mai sviluppato un gioco perimetrale. Divac lo presentò come capace di giocare da 3, da 4 e da 5. In realtà a oggi, ricordiamo che il ragazzo dell’Arizona ha solo 21 anni, in una NBA che tiene spesso in campo un solo lungo, Bagley è un 4 che dovrebbe giocare 5, da centro, per essere efficace. Ma che in difesa verrebbe spazzato via.
Per cui talvolta gioca Bjelica, al posto suo. Che ha intelligenza cestistica e una completezza ben superiori, anche se un atletismo neppure comparabile. E soprattutto, se c’è da tenere solo un lungo sul parquet, Walton sceglie Richard Holmes, grezzo in attacco, molto grezzo, ma un caricatore d’energia evidentemente nascosto sotto la maglietta. Sempre in movimento, gran motore e attitudine al lavoro sporco. Al contrario di Bagley…
Che per essere arrivato da Duke University, ateneo elitario in cui gli studenti atleti sono storicamente provvisti di mansarda abitata, sembra semmai l’eccezione che conferma la regola. Lo ricordo al Torneo NCAA a Omaha, che seguivo live dal Nebraska, inciampare regolarmente in discorsi che andassero tanto oltre il soggetto, predicato, complemento. Interessato più alle rime rap, e dalla polemica con Dame Lillard, altro musicista a tempo perso, è uscito male – chi ne sa sostiene che tra i due come in campo anche sul palcoscenico non ci sia paragone -, che a migliorare il tiro da fuori o approfondire le rotazioni difensive.
Insomma, Bagley non è Grant Hill, Shane Battier o JJ Redick, per citare alcuni dei tanti talenti da Duke. E se Fox lo scarica, o comunque il papà di Fox lo scarica, e pubblicamente, diventa un problema. Perché Fox ha firmato un’estensione contrattuale da 163 milioni che partirà da fine stagione. É la faccia dei Sacramento Kings. Che dopo averlo difeso d’ufficio per oltre due stagioni, la faccia per Bagley, che al momento non ha neppure un valore di mercato tale da poter essere scambiato facilmente, non sembrano volercela mettere più. Insomma, appunto: Sacramento, ci risiamo…
High Five, Riccardo!