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Trasloco Toronto, poi espansione?
Seattle prima scelta, Tampa-buchi

Jacopo Bianchi by Jacopo Bianchi
6 Gennaio, 2021
Reading Time: 10 mins read
0
possibile espansione Silver

Copertina a cura di Sebastiano Luca Martini

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A Tampa non succede mai niente. Nulla da quando il senatore Estes Kefauver alla fine degli anni ’50 ha sgretolato l’impero della famiglia mafiosa di origine siciliana Santo Trafficante (quando si dice che il destino è nel nome). La città principale della contea di Hillsborough è la più classica delle tranquille località marittime della Florida. Affacciata sullo splendido Golfo del Messico, mare cristallino, spiagge dorate, sole praticamente tutto l’anno, abbondanza di sigari cubani e cocktail con l’ombrellino. Neanche il periodo delle piogge, da giugno a novembre – e quindi conseguentemente delle tempeste tropicali – riesce a spaventare i pensionati che scelgono di svernare sotto il sole di Tampa.

Addirittura l’ultimo uragano ad aver colpito la città è quello del 1921, e la particolare posizione geografica le ha permesso di passare illesa attraverso alcuni dei più grandi disastri climatici della storia della Florida (Donna 1960, Charley 2004 e Irma 2017). Anche l’intrattenimento non manca, il principale evento dell’anno è la parata in onore del più o meno immaginario pirata Josè Gaspar che si tiene l’ultimo sabato del mese di gennaio, fin dal 1904 (Gasparilla Pirate Festival).

Questi sono in ordine sparso i punti cardine di ogni sito che prepara, consiglia e prova ad attirare in Florida i sognanti pensionati delle metropoli della east coast. Ogni anno vengono stilate e aggiornate diverse graduatorie dei Retirement Gold Spots: i migliori luoghi dove ritirarsi a godere della meritata pensione. Nelle 20-25 destinazioni che finiscono costantemente in cima alla classifica, metà sono città della Florida. Luoghi come Sarasota, Fort Mayers e Port St. Lucie sono esattamente come quei posti paradisiaci che ci vengono mostrati nelle serie TV americane.

Ma c’è un’altra città in grande ascesa nelle classifiche degli ultimi anni, ed è proprio Tampa. Certo, a livello di intrattenimento – soprattutto sportivo – c’è ancora un po’ di strada da fare rispetto alla zona di Miami o a quella di Orlando. L’America però è la terra delle occasioni, anzi è la terra che sa cogliere le occasioni, dove è peccato capitale non farlo se quest’ultime ti bussano alla porta. Con le classifiche sotto braccio e un obiettivo ben preciso in testa, Tampa si è aggiudicata una franchigia NFL nel 1976 (i Buccaneers), una NHL nel 1992 (i Lightning) e una MLB nel 1998 (i Rays).

L’anno della svolta decisiva potrebbe essere proprio il 2020, che si è appena concluso con i Lightning che hanno vinto a sorpresa la seconda Stanley Cup della propria storia (battuti i Dallas Stars 4-2), mentre la leggenda vivente Tom Brady ha scelto di abbandonare dopo 19 anni i Patriots per riportare i Buccaneers ai playoff. A tutto questo si aggiunge anche la NBA, sempre molto attenta ai mercati sportivi in crescita, che ha riposizionato temporaneamente i Toronto Raptors a Tampa.

I campioni NBA 2019, impossibilitati dai protocolli nazionali per il COVID-19 a restare in Canada, per partecipare alla stagione 2020/2021 hanno accettato di trasferirsi sul suolo americano. Sono state vagliate diverse soluzioni dai Raptors, ma alla fine, con il benestare di Adam Silver, a spuntarla è stata proprio Tampa. Una chance più unica che rara per fare assaporare a tutta la zona il profumo della NBA e provare a gettare le basi per una franchigia di pallacanestro che andrebbe a completare il quadro.

 

Espansione all’orizzonte

L’area di Tampa Bay, e la città di Tampa in particolare, è riuscita a sfruttare al meglio questa singolare situazione creatasi per colpa della pandemia in corso. Non è stata da meno anche la NBA che, dovendo partecipare in qualità di supervisore al processo di selezione, è riuscita a raccogliere un gran numero di dati e indicazioni utili per un’eventuale espansione. La lega di pallacanestro più famosa del mondo è in continua evoluzione fin dalla sua prima notte nel 1946, ed è passata infatti in meno di 74 anni dalle 11 franchigie originali alle 30 attuali.

Un’espansione non indifferente, che però si è svolta quasi completamente prima del 1990: negli ultimi vent’anni infatti le squadre aggiunte sono state soltanto 3, di cui l’ultima nel 2004 (i Charlotte Bobcats, poi tornati ad essere gli originali Hornets). Eppure Silver, dopo aver sviato per anni le domande a riguardo, è stato costretto dal riposizionamento temporaneo dei Raptors a tornare sull’argomento. Queste le parole esatte pronunciate del Commissioner alla vigilia della nuova stagione:

«Per la lega, espandersi è una sorta di destino manifesto. Direi che ci ha costretto a rispolverare alcune delle analisi sull’impatto economico e competitivo dell’espansione. Ci abbiamo pensato un po’ di più rispetto al periodo pre-pandemia. Ma certamente non tanto da dire che l’espansione è in cima ai nostri pensieri».

Come sempre, Silver è riuscito a dire tutto e niente nella stessa conferenza stampa. Parafrasando però si può cogliere come non sia un’espansione imminente, ma anche come questa pandemia abbia sicuramente accelerato il processo di analisi e valutazione. Dalle indiscrezioni trapelate in seguito, l’opzione più probabile potrebbe essere quella dell’aggiunta di due squadre, una ad est e una ad ovest, che permetterebbe così di mantenere una situazione ottimale per la composizione di conference e calendari. Non bisogna dimenticare che un’espansione ha tanti lati positivi, soprattutto economici e di marketing, ma ne ha anche alcuni negativi.

Infatti è nell’interesse della Lega esplorare mercati nuovi, dimenticati o che hanno espresso pubblicamente l’interesse ad accaparrarsi una franchigia NBA, ma – ai fini di rimanere il campionato più importante del mondo – resta fondamentale mantenere un livello massimo di competitività. Non è un segreto che non ci possano essere 30 squadre in grado di competere contemporaneamente per il titolo, ma grazie ai vari sistemi di Draft, salary cap, luxury tax, ecc. dovrebbe essere un processo ciclico.

La realtà, soprattutto negli ultimi 40 anni, non è stata proprio così fedele alla teoria, ci sono infatti ancora 12 franchigie a non avere nemmeno un singolo titolo in bacheca e sei di queste non hanno mai neanche raggiunto le Finals. La situazione negli ultimi anni sembra migliorata, almeno dal punto di vista dell’equilibrio nella corsa al Larry O’Brien Trophy e dello sviluppo di un’identità precisa per ognuna delle 30 partecipanti. Resta però di grande attualità il rischio di diluire ulteriormente il talento nella Lega, è una questione meramente aritmetica.

Presupponendo che nei prossimi 10 anni possa arrivare questa nuova espansione, quali potrebbero essere le candidate ad entrare a far parte del circolo cestistico più esclusivo del mondo? Quali sono i criteri con cui il Commissioner ha accelerato le valutazioni in questi ultimi 12 mesi? I punti principali di queste analisi si possono riconoscere facilmente: posizione geografica, potenzialità economiche e cultura/tradizione cestistica.

 

Città del Messico

Partiamo proprio dal posizionamento per analizzare tutte le principali candidate. Nonostante il compianto David Stern avesse già provato a vagliare una possibile espansione fuori dai confini USA per rendere la NBA ancora più globale e lo stesso Silver abbia provato a percorrere la stessa strada, al momento resta l’opzione meno probabile. Sicuramente accantonata, almeno temporaneamente, la suggestione di aggiungere un club di Eurolega (Real Madrid in particolare), esattamente come quella di fondare una franchigia a Londra.

Anche grazie alle gare di preseason e di regular season ospitate, resta in corsa invece Città del Messico, che sicuramente riduce il problema della distanza. Sarebbe la seconda franchigia fuori dai confini USA, ma si tratta di uno stato adiacente esattamente come il Canada, e soprattutto di un mercato enorme visto che stiamo parlando della città più popolosa del Nord America. Scelta che però potrebbe dividere l’opinione pubblica dal punto di vista politico e potrebbe complicare ulteriormente i rapporti della NBA con i tifosi americani, già piuttosto precari dopo le proteste legate al movimento Black Lives Matter. A questo si aggiungerebbe anche la scarsa tradizione cestistica di uno stato come il Messico, dominato da calcio, pugilato e lucha libre (il celebre wrestling latinoamericano).

 

Kansas City e Louisville

Tornando quindi all’interno dei confini americani, basta osservare il posizionamento delle 30 franchigie NBA per riconoscere le area rimaste maggiormente ‘scoperte’. L’ovvio concentramento sulle due coste lascia un enorme spazio inesplorato nel nord-ovest, proprio a cavallo tra gli ultimi stati del midwest e i primi del west. Luoghi come Montana, Dakota (nord e sud), Nebraska, Wyoming, Idaho, New Mexico, Kansas, Missouri e anche Nevada. Difficile accontentare tutti, soprattutto perché si tratta di alcuni degli stati meno popolati del Nord America, ma non così complesso trovare delle location strategiche tenendo conto degli altri principali criteri di valutazione.

Proprio in quest’ottica sono state individuate dagli addetti ai lavori NBA due destinazioni ideali: Kansas City e Louisville. La città divisa a metà tra Missouri e Kansas – oltre all’ovvia posizione strategica – ha già una storia con il basket professionistico, visto che ha ospitato i Kings fino al 1985.  Dispone di un’arena adatta agli standard NBA (T-Mobile/Sprint Center da 19.252 posti a sedere) e di una tradizione cestistica NCAA importante. Ci sono infatti 3 college di Division I da una parte (Kansas, Kansas State e Witchita State) e 5 dall’altra (Missouri, Missouri State, Southeast Missouri, UMKC e St. Louis). I due lati della città sommati arrivano a sfiorare i 700mila abitanti (dato da top 20 di popolosità negli States), senza dimenticare che entrambi i mercati sono già stati testati dalla ABA tra il 1967 e il 1976.

Si può fare un discorso molto simile anche per Louisville. La città principe del Kentucky è la 27esima per popolazione degli interi Stati Uniti con oltre 600mila abitanti. L’area di Louisville dispone addirittura di due palazzetti di livello NBA: il KFC Yum! Center da 22.090 spettatori in città e la Rupp Arena da 20.545 spettatori nella vicina Lexington. La tradizione NCAA è addirittura superiore rispetto a quella di Kansas City grazie alla presenza di Cardinals e Wildcats, che possono vantare complessivamente 11 titoli nazionali e innumerevoli partecipazioni alle Final Four. Senza tralasciare gli altri 6 programmi di Division I tra cui spiccano i nomi di Western Kentucky e Murray State. Anche in questo caso il mercato è già stato testato dalla ABA con buoni risultati grazie ai Kentucky Colonels, una delle squadre iconiche della Lega inglobata dalla NBA nel 1976.

 

Las Vegas e Hampton Roads

Esaurite le prime della classe, principalmente da un punto di vista geografico, si passa a soluzioni legate maggiormente agli interessi economici. Se il sempre suggestivo nome di Las Vegas circola fin dagli anni ’70, quello di Hampton Roads è apparso soltanto recentemente. I dati e le ricerche di mercato sempre più dettagliate riguardo agli ascolti televisivi, in streaming e tramite l’app ufficiale della NBA hanno evidenziato una singolare anomalia: Hampton Roads nella scorsa stagione è stata l’area numero 1 d’America per percentuale di visualizzazione del prodotto NBA.

Semplificando, è una zona che ha espresso un grandissimo interesse per la pallacanestro, che non ha alcuna franchigia sportiva professionistica e che racchiude una popolazione di quasi 1,7 milioni di abitanti, tre fattori che rendono molto allettante la prospettiva di un’espansione.

Purtroppo però The Hampton Coliseum, inaugurato nel lontano 1968, può ospitare soltanto 9.777 spettatori e resta ben lontano dagli standard NBA. Anche qui mercato già esplorato dalla ABA tra il 1970 e il 1976 con i Virginia Squires, che hanno fatto assaporare ai tifosi della zona due giocatori del calibro di Doctor J e George Gervin. Ci sono ben 14 squadre NCAA in Virginia, tra cui VCU, Cavaliers e Richmond Spiders, ma la tradizione sportiva principale resta quella legata al football.

Discorso completamente diverso invece per Las Vegas, la città del peccato, esclusa già numerose volte dalle espansioni NBA per non minare la reputazione di “Lega per famiglie”. Nel 2017 ci ha pensato la NHL a spezzare il tabù posizionando la prima franchigia professionistica nel deserto del Navada (i Golden Knights), seguita a breve distanza dalla NFL che ha trasferito i Raiders nel 2020. Queste mosse effettuate da due delle quattro major leagues probabilmente permettono ad Adam Silver di rimettere il nome di Las Vegas sul tavolo. La capitale del gioco d’azzardo è anche il centro operativo dei maggiori siti americani di scommesse sportive e delle principali case d’asta specializzate in memorabilia sportive.

Tralasciando l’ovvio fascino legato ad una delle città USA più note al mondo, resta difficile minimizzare l’enorme potenziale commerciale e gli oltre 650mila abitanti in costante crescita (+11,57% nel 2019). La tradizione cestistica in Nevada è sostanzialmente legata al nome di UNLV che però ha avuto un peso specifico non indifferente nella storia recente della NCAA, soprattutto considerando che ha raggiunto la Division I soltanto dal 1970.

Stranamente per come era strutturata e concepita la lega, la ABA non è mai riuscita a transitare da questi parti, ma ci ha pensato la NBA a sondare astutamente la situazione. Sicuramente con l’All-Star Weekend del 2007, ma soprattutto grazie alla Summer League giocata a Las Vegas dal 2004 e cresciuta a dismisura negli anni, tanto da oscurare tutte le altre location. A differenza di Hampton Roads, un palazzetto adatto agli standard NBA è già presente e si tratta proprio della sede della Summer League e delle gare casalinghe di UNLV: il Thomas & Mack Center da 17.923 spettatori. 

 

Seattle SuperSonics

Dulcis in fundo, la candidata numero uno assoluta in caso di una nuova espansione NBA. La città di Seattle si è vista strappare i propri amatissimi SuperSonics nel 2008 per riposizionare la franchigia a Oklahoma City. Una controversa mossa che sicuramente ha pagato i dividendi sperati da proprietà e NBA in termini di engagement col pubblico e di costruzione di un’identità, ma ha lasciato un grosso debito nei confronti di Emerald City. Come già successo a New Orleans, che ha ritrovato la sua squadra anche se ha dovuto sacrificare il nome, e a Charlotte, che ha ritrovato sia la franchigia che l’appellativo originale, anche Seattle sembra destinata alla stessa sorte.

Non manca sicuramente la struttura, visto che è ancora in piedi e perfettamente funzionante la storica Climate Pledge Arena dove al momento giocano le Storm della WNBA. Per quanto riguarda la tradizione cestistica, è difficile non considerare il peso specifico dei Sonics nella storia NBA (campioni nel 1979, Finals nel 1978 e 1996), senza tralasciare ovviamente l’imponente impatto culturale, soprattutto negli anni ’90. Tradizione conservata negli anni da giocatori e allenatori che hanno vestito i colori dei Sonics (Kemp e Payton in primis), ma anche da tutti quelli che hanno raggiunto la NBA partendo proprio da Seattle, in particolare Jamal Crawford e Jason Terry.

Dal punto di vista demografico non ha nulla da invidiare alle attuali città NBA, anzi la culla del grunge può vantare una popolazione di oltre 750mila abitanti e una posizione geografica che andrebbe a colmare nuovamente il vuoto creatosi nel nord ovest. Se ci sarà una nuova espansione, indipendentemente dal numero di franchigie che verranno aggiunte, Adam Silver dovrà necessariamente fare i conti prima con Seattle e poi eventualmente con tutte le altre possibili destinazioni.

Tags: adam silverCittà del MessicoespansioneLas VegasSeattleSeattle SupersonicsTampa
Jacopo Bianchi

Jacopo Bianchi

Professional Journalist - Columnist @TheShotIT - Host of "Basket Time" @ https://teletutto.it

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