Quando si scorrono i roster delle squadre NBA, capita a volte di trovarsi davanti nomi che, confrontati col resto dell’organico, non c’entrano niente. Vi sarà capitato di chiedervi che cosa ci faccia il giocatore X nella squadra Y. Gli intrusi. La nostra è una caccia simile a quella della Settimana Enigmistica, andremo a cercare quei giocatori che per limiti di età, contratto o fit azzeccano poco con le pianificazione e gli obiettivi delle squadre di cui fanno parte, non potendo dare ciò per cui sono pagati, ma anzi andando a volte a ostacolare giocatori giovani che avrebbero bisogno di spazio per crescere.
Un’avvertenza: nonostante questi giocatori siano intrusi a tutti gli effetti, non è detto che non possano tornare utili, in modi diversi da quelli tradizionali, a chi li ha sotto contratto.
Intruso numero 1: Julius Randle
Se leggendo le prime righe non vi è venuta in mente l’ala dei New York Knicks, probabilmente non siete stati molto bravi nel cogliere l’indizio principale che vi ho lasciato in questo gioco. Sotto contratto per questa stagione e anche per la prossima per circa 40 milioni totali, Randle è un’ala moderna, capace di mettere palla a terra, di attaccare il ferro e anche di tirare da tre. I suoi difetti principali? Non è un realizzatore efficiente, né può essere la prima opzione offensiva di una squadra con ambizioni. Non è un buon creatore per i compagni, forza spesso e volentieri i tiri e soprattutto ruba minuti preziosi a Obi Toppin.
La scelta di puntare l’ex Pelicans nella free agency del 2019 è stata un ripiego della franchigia della Grande Mela dopo le firme di Durant e Irving per i Nets. Il fatto che oltre a Randle in quel ruolo i Knicks avessero firmato anche Morris, Gibson e Portis non ha aiutato le spaziature sospette della squadra. L’utilizzo di Julius da point forward da parte di Coach Fizdale è stato abbastanza tragico, con Randle a 3 assist a fronte di 3 palle perse, un dato decisamente non da playmaker. L’efficienza offensiva della prima opzione offensiva dei Knicks è stata ancora peggiore.
La scelta di puntare su Obi Toppin rende di fatto Randle un intruso nell’organico di New York, a meno che non lo si voglia usare come 5, cosa che è avvenuta solamente nel 9% dei minuti di questo avvio di stagione, e che ha una ragione ben precisa. Randle non è un buon protettore del canestro e in generale non è storicamente un buon difensore.
Va dato però atto all’ex Wildcat di avere iniziato la stagione in modo positivo. I numeri fin qui parlano di 23 punti, 10 rimbalzi e 7 assist col 53% dal campo e il 53% dall’arco. Tutto ciò non durerà in eterno, ma i segnali sono buoni. Ha eliminato le sue spin move e cerca di più i compagni, inoltre è maggiormente concentrato in difesa, benché necessiti di avere accanto sempre Noel o Robinson per coprire le sue lacune. E questo è il problema principale che fa di Randle l’intruso dei New York Knicks: non potendo giocare molti minuti con Toppin gli ruba il minutaggio.
Il rookie ex Dayton, che ha giocato una sola gara ed è infortunato, probabilmente prenderà una parte dei 38 minuti che ora gioca Randle, ma non è certo che diventerà un titolare, e la sua crescita potrebbe subire un rallentamento dovuto al fatto di giocare meno e di essere la riserva di un giocatore attualmente più forte di lui.
Dal momento che avere un giocatore di questo tipo sotto contratto non ti garantisce i playoffs, Randle non sembra essere l’elemento ideale dei Knicks, e sta incassando un buon contratto senza prospettive di playoffs e premi. Il suo ruolo ideale potrebbe essere quello di sesto uomo alla Montrezl Harrell, ma a New York ciò non è possibile, e non sembra che nessuna contender abbia intenzione di puntare su di lui, anche perché il contratto è oneroso.
L’ex Lakers probabilmente peggiorerà la sua fin qui straordinaria efficienza, e starà a Thibodeau evitare che prenda troppi minuti a Toppin. New York è in una perenne ricostruzione e non rifirma una matricola dopo i suoi primi 4 anni da tanti anni. Se si continua a impedire lo sviluppo dei giovani per prendere giocatori buoni, ma che non sono stelle, allora il processo di risalita dai bassifondi NBA rischia d’avere tempi lunghi…
Intruso numero 2: Eric Bledsoe
Bledsoe ha la caratteristica singolare di risultare un intruso ormai dai tempi dell’ultimo anno a Phoenix. Il suo famosissimo tweet in cui diceva di non voler stare più in Arizona lo portò in una trade ai Bucks, dove per problemi di spaziature non era la point guard migliore da affiancare a Giannis Antetokounmpo.
Durante lo scorso mercato Bledsoe è finito a New Orleans nell’ambito dello scambio che ha portato Holiday ai Bucks e molte scelte nella Louisiana. Bledsoe non è un buon tiratore dall’arco, non è il giocatore migliore del mondo in quanto a decisioni palla in mano, e lontano dalla palla la sua difesa non brilla. In compenso è un ottimo giocatore in difesa sulla palla ed è ottimo penetratore al ferro. Il problema di Bledsoe è che i suoi limiti ai playoffs emergono in un modo troppo evidente perché siano ignorati.
In stagione regolare è un giocatore affidabile, ma in postseason la musica cambia, ed è anche per la scelta di puntare su di lui anziché su Brogdon che i Bucks non hanno ancora vinto l’agognato anello. Comunque Bledsoe è a New Orleans, come è possibile che sia un intruso anche lì? La squadra allenata da Stan Van Gundy ha come perno su cui costruire il futuro Zion Williamson, che some sapete bene dà il meglio nei pressi del ferro. Oltre a Zion, tra i nuovi giocatori titolari è arrivato Steven Adams, centro ex Thunder che ha la produzione in attacco limitata al pitturato. Siccome anche Bledsoe predilige attaccare il ferro, ti ritrovi nel 2021 con due non tiratori e con un tiratore pessimo in quintetto.
Le spaziature sono tutt’altro che ottimali, e Brandon Ingram, miglior realizzatore della squadra, è costretto a forzare tiri difficili che con il suo talento possono anche entrare, ma che a lungo termine non sono sostenibili. L’obiettivo dei Pelicans era migliorare una difesa che a fatica rientrava tra le prime 20 della lega, e prendendo Adams a coprire le lacune di Williamson e Bledsoe a sostituire il pur ottimo Holiday sembra che la difesa di squadra, almeno in stagione regolare, possa reggere. Nelle prime 5 gare le indicazioni statistiche, parziali e non affidabili con un campione così piccolo, parlano di NOLA come difesa top 5 della lega.
Offensivamente però i Pelicans hanno dopo 5 gare il 24esimo attacco della lega, un indicatore preoccupante e che fa capire come le spaziature siano tutt’altro che ottimali. Nella miglior partita stagionale contro dei Thunder in modalità tanking i Pels hanno dominato a rimbalzo offensivo e in area, ma OKC ha giocato solamente due quarti e mezzo con i titolari, e non è squadra con buoni rimbalzisti. A lungo termine non è sostenibile vincere tutte le partite a rimbalzo offensivo, nemmeno con interpreti eccellenti nel fondamentale come Adams e Williamson.
New Orleans lotterà per i playoffs in quella giungla che è la Western Conference, ma la scelta di puntare su Bledsoe non è ottimale, anche perché a in organico ci sono moltissime guardie. Oltre al compagno di reparto Ball, riveste fondamentale importanza Redick, e ci sono anche Hart e i giovani Alexander-Walker e Kira Lewis jr., che non trovano lo spazio per sviluppare il proprio talento.
Il GM David Griffin ha deciso che è il momento di competere per i playoffs, e potrebbe riuscire a raggiungerli grazie al talento di Williamson e Ingram. Da lì a fare strada c’è una montagna altissima da scalare, e quando arriverà quel momento Bledsoe sarà una zavorra, e avrà impedito uno sviluppo più rapido di Alexander-Walker e Lewis. Lo storico intruso si conferma tale, e il suo contratto oneroso non fa pensare a uno scambio in tempi brevi.
Intruso numero 3: Blake Griffin
Lo so, il nome Griffin potrebbe farvi storcere il naso. A pensarci bene però, Blake e il suo contratto da oltre 36 milioni con player option per il prossimo anno iniziano a essere un peso per i Pistons. Blake Griffin fu preso da Detroit a gennaio 2018, per cercare di fare il salto di qualità a una squadra in ricostruzione con buon potenziale, ma senza una stella. Andre Drummond da solo non poteva portare a grossi traguardi, e i Pistons decisero di cedere Bradley, Tobias Harris, Marjanovic e una prima scelta per assicurarsi Griffin che aveva appena firmato un’estensione al massimo salariale.
I Pistons non agguantarono la postseason nel 2018, ma ci riuscirono nel 2019, con Griffin probabilmente alla miglior stagione della carriera e nel pieno della sua evoluzione cestistica, che lo ha visto trasformarsi da mostruoso schiacciatore e uomo d’area a creatore con la palla in mano che tirava 7 triple a gara. Purtroppo tutto ciò non è durato molto. Griffin ha un fisico di cristallo e si è infortunato verso la fine della stagione regolare, rientrando ai playoffs solo per subire l’eliminazione dei Bucks.
Nella stagione 2019-20 ha giocato solamente diciotto gare, tormentato dagli infortuni, e i Pistons si sono decisi a cedere Drummond e a provare un ennesimo tentativo di ricostruzione, sfociato nella free agency più strana e discutibile. Non è facile spiegare le scelte del nuovo GM Troy Weaver, che ha puntato e pagato molto diversi lunghi, pur avendone scelti altri al Draft. E un giocatore con lo status che aveva Griffin non si abbina benissimo con una squadra che in realtà non si capisce quale direzione voglia prendere.
Ma è chiaro che Blake non può dare ai Pistons quello che vorrebbero, e neppure Detroit garantirà al nativo dell’Oklahoma di fare strada verso il desiderato anello. Il contratto non è però scambiabile, e così i Pistons si trovano in organico un ottimo veterano, ma che ha poco senso avendo come obiettivo massimo (e improbabile) il primo turno di playoffs.
Questo non significa che Griffin sia un male per la squadra. Ma si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. A dire il vero anche Plumlee e Okafor sembrano intrusi a Detroit, e nemmeno la firma di Grant sembra essere coerente con un processo di ricostruzione. Potremmo dire che è Detroit stessa ad essere la squadra con più intrusi, una squadra in cui il secondo anno Doumbouya ha visto i propri minuti e il proprio spazio dimezzarsi.
Per Coach Casey non è facile sviluppare talenti, se nel frattempo si ritrova giocatori nel prime e una dirigenza che pretende, date le mosse della offseason, i playoffs. E in mezzo a questo mare, Griffin è il pesce intruso più grosso di tutti. Finché è stato in salute e al top della forma, è stato una gioia per gli occhi. Ora però l’età avanza, il fisico è sempre più logoro e non può portare da solo una squadra in alto.
In una NBA in continua evoluzione e che non aspetta nessuno, con squadre che passano da un momento all’altro dal contendere per i playoffs a ritrovarsi nei bassifondi della lega, un giocatore capace di una partita del genere poco più di due anni fa, può diventare un intruso. Il tempo scorre veloce in NBA.
Intruso numero 4: Al Horford
Come è finito Horford a Oklahoma City? Dopo aver flirtato con i Thunder nell’estate del 2016 ed aver alla fine scelto i Celtics dopo il tradimento di Kevin Durant, il centro ex Hawks firmato un contratto da sultano con i Sixers nel 2019. Poco più di un anno dopo è stato ceduto insieme a Theo Maledon e una scelta al primo giro a OKC in cambio di Danny Green e Terrance Ferguson. Il centro 34enne ha ancora tre anni di contratto a 81 milioni complessivi, ed è passato nel giro di un anno da essere ciò che Philadelphia desiderava per vincere il titolo a diventare un peso da scaricare a tutti i costi. Horford è il classico giocatore che torna utile ai playoffs, esperto ex All Star che serve alle squadre da corsa.
Allora perché Philadelphia se ne è liberata? Perché era tra gli intrusi in casa Sixers, dove non riusciva ad amalgamarsi bene in una squadra la cui stella era Joel Embiid, per meri motivi di fit. Perché OKC ha preso un centro che dovrebbe servire a vincere, se sta ricostruendo? Horford è tra gli intrusi anche nell’Oklahoma, perché è completamente fuori dai piani futuri della franchigia, ma ciò non significa che non possa essere utile.
Farà da mentore ai giovani Bazley e Pokuševski, cercando di mettersi in mostra per attirare l’interesse di una contender. L’ex Gator, alla 14esima stagione nella lega rincorre ancora un anello che non ha vinto ad Atlanta, Boston e Philadelphia e che non vincerà nemmeno ad Oklahoma City. Può comunque garantire spaziature, ed ha dimostrato di essere una seria minaccia in pick-and-pop nelle prime gare stagionali.
Horford si inserisce alla perfezione nel flusso offensivo di OKC, aprendosi sul perimetro per scoccare il tiro, o attaccando i mismatch in post basso. In difesa fa il suo, cercando di coordinare la gioventù di Coach Daigneault, ma gioca meno di 30 minuti a gara e salta i back-to-back. Ha una logica: a OKC è importante il futuro, e quindi si sacrifica qualche minuto dei veterani Horford e Hill per dare più minuti ai giovanissimi Pokuševski, Maledon e ai giocatori al secondo e terzo anno che fin qui non hanno avuto occasione di esprimersi, come Justin Jackson e Isaiah Roby. È ovvio come Horford sia fuori dalla timeline dei Thunder. Di passaggio.
Altri intrusi degni di menzione
A Cleveland un Cavalier che ha vinto l’anello nel 2016 sembra oggi un intruso, a maggiore ragione dopo atteggiamenti di insofferenza esibiti in campo la scorsa stagione. Parlo di Kevin Love, che non rientra nel futuro dei Cavs, è infortunato e sul mercato da tempo, e che è entrato nella fase discendente della carriera. A San Antonio Aldridge e DeRozan, all’ultimo anno di contratto, sono i veterani che comandano troppo spazio in una squadra che sta sviluppando i propri giovani e continua stoicamente a puntare sulla propria cultura vincente per tornare subito ai playoffs.
Rimanendo nel Texas, l’acquisto di un intruso come John Wall sembra voler dire che i Rockets non punteranno più all’anello, ma a Houston più che un intruso c’è un elefante in una stanza, e quell’elefante è James Harden. Potrei continuare con l’infortunato Spencer Dinwiddie a Brooklyn, ma sono sicuro che se vi piace questo gioco potrete trovare molti intrusi anche senza il mio aiuto.
Il tempo in NBA scorre velocissimo, e bastano pochi giorni per passare da idolo di una città a un peso per colpa di infortuni, contratti pesanti, cattivi fit. E se invece si è nel posto giusto, bisogna cogliere l’occasione, perché il tempo scorre veloce in NBA, e chi è una stella oggi potrebbe essere un intruso domani…