Pronti, via ed è già quasi un bollettino di guerra. Le premesse, a dire il vero, non erano molto rassicuranti: una stagione con 72 partite molto ravvicinate, un calendario inusuale, squadre inattive da nove mesi abbondanti e altre con appena 60-70 giorni di riposo. Le prime conseguenze sono una serie di risultati inaspettati e, purtroppo, più di un infortunio grave.
In principio fu Klay Thompson, a pochi giorni dall’inizio della preseason, ma la lista si sta già allungando, portando con sé sempre più rimpianti di tanti tifosi e addetti ai lavori. Immaginiamoci dunque di farci cullare da Roger Waters e David Gilmour, mentre passiamo in rassegna le tracce di un vinile piuttosto doloroso: Wish You Were Here, NBA 2020-21 Special Edition. Le note della title track non hanno certo bisogno di presentazione, basta pensare “Pink Floyd” e nella testa parte l’assolo.
Lato A: Fuori per tutta la stagione
Traccia 1: Klay Thompson
Si parte inevitabilmente dal minore degli Splash Brothers, che dopo l’addio di Durant sarebbe dovuto tornare a recitare un ruolo fondamentale per i Warriors. Il suo calvario, purtroppo, è invece proseguito: dopo un anno passato ai box per la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro, il figlio di Mychal si è infortunato al tendine d’Achille in una partitella di allenamento avvenuta il 19 novembre. La diagnosi è stata devastante: per lui un’altra stagione passata in giacca e cravatta.
Inutile girarci troppo intorno: Klay Thompson sano è un All-Star. Parliamo di uno dei migliori tiratori della storia del Gioco, che garantiva ai Warriors non solo un’eccellente produzione offensiva, ma anche una gravità che oggi, dalle parti di San Francisco, manca terribilmente.
If there's one defining takeaway of the Golden State dynasty, it's a play like this, where the gravity of both Klay Thompson & Steph Curry is on display
— Adam Spinella (@Spinella14) June 14, 2019
Read on their gravity, legacy & more in this last-minute pregame look for @bballwriters https://t.co/CQ6RZa6Tbl pic.twitter.com/TkIVkX4LDP
L’importanza di Thompson in questa azione va ben oltre un passaggio battuto effettuato con il giusto tempismo: una sua semplice uscita dal blocco condiziona le scelte di tutti e cinque i difensori. Senza di lui, Steph Curry subisce costantemente un trattamento simile a quello riservatogli da Nick Nurse nelle Finals 2019, con la difesa concentrata esclusivamente su di lui.
Il primo pensiero, vedendo la fatica fatta da Golden State in queste prime uscite, è quello di gettare la croce su coloro che, almeno in teoria, dovrebbero punire i raddoppi su Curry, ovvero Kelly Oubre Jr. ed Andrew Wiggins. In effetti, almeno vedendo i numeri del primo, la teoria sembra essere fondata: non sono solito estrapolare dal contesto un singolo dato per spiegare un concetto, ma 1 tripla convertita a fronte di 21 tentate dovrebbe bastare a rendere l’idea.
Per quanto riguarda Wiggo, forse è semplicemente il caso di smettere di illuderci, visto che il canadese della stella ha ormai solo il contratto, non essendo mai riuscito ad affiancare a doti fisiche e tecniche di tutto rispetto una comprensione del gioco quantomeno basilare. Entrambi potrebbero essere probabilmente dei buoni role player con la squadra al completo, ma quando si vedono affidare maggiori responsabilità i loro limiti tendono a venir fuori prepotentemente.
I Warriors rischiano di vedere le loro ambizioni di playoffs ridimensionarsi già dopo poche partite e a questo punto attendono come una manna dal cielo il rientro di Draymond Green, il vero playmaker della squadra. In questo momento, infatti, Steph deve letteralmente cantare e portare la croce: il figlio di Dell in cabina di regia se la cava bene, ma non gli si potrà mai chiedere di essere il perno di un sistema offensivo eliocentrico. L’altra faccia della medaglia è che, ovviamente, la mancanza di un creatore secondario gli impedisce di esprimere tutto il suo potenziale senza palla. Se solo ci fosse un Klay sull’altro lato del campo a tenere occupata la difesa…
Inutile dilungarsi sulle altre qualità di Thompson, come la metà campo difensiva: la perdita del secondo violino sarebbe un colpo durissimo per qualunque squadra, ma a pesare sulle spalle dei Warriors, oltre al mero valore assoluto della guardia da Washington State, è anche la sua immensa importanza a livello tattico. Si prospetta un anno in salita sulla Baia.
Traccia 2: Spencer Dinwiddie
La situazione Dinwiddie non è così semplice da analizzare. Estrapolandola dal contesto, la stagione 2019-20 di Spencer sembrerebbe essere quella della definitiva consacrazione, avendo viaggiato a 20.6 punti e 6.8 assist a partita con un ruolo centrale nell’attacco dei Nets. La realtà, come ben sappiamo, è un po’ diversa e dalle parti di Brooklyn l’obiettivo, da un anno a questa parte, è quello di mettere il più possibile a loro agio le stelle Kyrie Irving e Kevin Durant.
Guardando alle loro caratteristiche, almeno uno tra Dinwiddie e Caris LeVert è fin da subito sembrato di troppo, ma le prestazioni del secondo nella bolla sembravano aver reso decisamente più probabile la sua permanenza. L’indiziato numero uno, fino a pochi giorni fa, era dunque l’ex giocatore dei Pistons, che sembrava ben poco adatto ai panni da role player: troppo poco gioco senza palla, tiro da fuori ondivago e troppi isolamenti ad un livello di efficacia insufficiente per quelle che sono le ambizioni dei nuovi Nets.
La rottura del crociato, seppur parziale, ha però stravolto tutto in un attimo. Spencer sarà inattivo per tutto il 2020-21 e ogni possibilità di scambio, almeno per ora, è da scartare. A questo punto a Brooklyn c’è da prendere una decisione: rimanere così puntando tutto su LeVert come terzo violino o provare comunque a mescolare le carte, seppur con un asso in meno da giocare?
Dinwiddie, nelle uniche tre partite giocate, era partito titolare, con un apporto senza infamia e senza lode. Coach Nash, per ora, sembra voler mantenere la stessa idea di fondo nelle rotazioni, lasciando LeVert nel suo ruolo di sesto uomo (in attesa di ulteriori sviluppo di mercato). I rimpiazzi più probabili in quintetto sembravano essere Landry Shamet e Bruce Brown. Più tiro da fuori per il primo, più difesa e QI cestistico, ma in entrambi i casi parliamo di role player che sanno stare al loro posto e punire le difese per le troppe attenzioni riservate a KD ed Uncle Drew.
La risposta di Nash, per ora, si chiama invece Timothé Luwawu-Cabarrot, protagonista di belle prestazioni nella bolla di Orlando. Il francese non è un fenomeno, ma ha fatto dei buoni progressi nei 4 anni precedenti trascorsi nella Lega ed è ormai un giocatore solido, con un tiro ormai pienamente affidabile e una stazza sufficiente per farsi valere.
Timothé Luwawu-Cabarrot carried the Nets today vs the Bucks
— NBA Central (@TheNBACentral) August 4, 2020
26 PTS
8/12 FG
5/5 FT
5/7 3PM
TLC is no scrub ? pic.twitter.com/AgDO0mAadw
Non si parla comunque di nulla di definitivo, visto che si tratta di giocatori piuttosto simili tra di loro e nessuno che spicchi nettamente. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, a Brooklyn sembrano almeno avere le idee chiare come rotazione, e con una chimica di squadra ancora da costruire questo è sicuramente un fatto positivo.
Impensabile però che non si senta, ad un certo punto della stagione, la mancanza di Dinwiddie, in grado di fungere anche da vera e propria point guard in assenza di Kyrie grazie a delle buone doti da passatore. La sua importanza nelle rotazioni non era più così fondamentale, ma una freccia in meno nella faretra non è mai una buona notizia per una potenziale contender.
Lato B: assenze più brevi, ma incerte e pesanti
Traccia 3: Ja Morant
Ai poveri Memphis Grizzlies non serviva certo un’altra assenza per assomigliare ad un lazzaretto, che tra i tanti ospiti contava già Jaren Jackson Jr.. Purtroppo per loro Ja Morant ha pensato bene di procurarsi una brutta distorsione alla caviglia sinistra, che con tutta probabilità lo metterà fuori gioco per tutto il mese di gennaio.
In una regular season accorciata come questa, una quindicina di partite senza la stella principale rischiano di invischiare qualunque squadra in una situazione piuttosto spiacevole, figuriamoci per chi deve lottare con le unghie e con i denti con l’agguerrita concorrenza della classe media dell’Ovest per un posto ai playoffs. Memphis dovrà quindi trovare in fretta una soluzione per sopperire all’assenza di Morant, giocatore che dà scariche di adrenalina pazzesche.
La giovane point guard, inoltre, era ripartita a mille fin da subito, con un career high da 44 punti all’esordio stagionale contro San Antonio. Un infortunio ad inizio anno rischia di far perdere ritmo ad un giocatore che, nonostante un tiro migliore del previsto e una buona abilità come passatore, rimane soprattutto mostruoso a livello atletico, risultando spesso e volentieri incontenibile in penetrazione.
L’assenza di Ja può avere prima di tutto un pesante impatto psicologico sulla squadra del Tennessee che, nonostante abbia mancato per un pelo i playoffs la scorsa stagione, rimane comunque composta per lo più da giovani di belle speranze che devono ancora affermarsi definitivamente in NBA. Persino Brandon Clarke, l’assoluta steal of the draft della scorsa stagione, è partito con il freno a mano tirato, segno che non sarà possibile aspettarsi una continuità assoluta di prestazioni da parte di tutti gli elementi del roster.
Il meccanismo del play-in tiene in gioco più squadre fino alla fine, è vero, ma la storia insegna che dover rincorrere fin da subito gli altri mentre si è ancora in cerca delle giuste rotazioni non porta sempre a grandi risultati.
La fortuna di Memphis è quella di avere un roster pieno zeppo di giocatori interessanti da vedere all’opera. De’Anthony Melton è ancora alle prese con il COVID? Justise Winslow è lungodegente? Grayson Allen, dopo tutte le polemiche con Trae Young, deve momentaneamente fermarsi? Nessun problema. Tyus Jones non si fa mai scoraggiare dai suoi soli 183 centimetri di altezza e dirige ogni sera le operazioni con ordine, e dietro all’imprevedibile Dillon Brooks può per esempio mettersi in mostra Desmond Bane, interessantissimo rookie di quasi due metri dalla mano sorprendentemente rotonda dall’arco, o recuperare importanza il pittoresco Kyle “SlowMo” Anderson, unico nel suo genere.
This might be the prototypical Kyle Anderson highlight, as he grabs the defensive rebound, goes coast-to-coast, and gets a layup off a Eurostep that starts at the foul line. pic.twitter.com/jx6o2i7Axw
— Positive Residual (@presidual) December 26, 2020
Coach Taylor Jenkins non ha paura di spingersi addirittura oltre, dando spazio a John Konchar, giocatore sconosciuto all’appassionato occasionale, ma in grado di conquistarsi l’amore dei tifosi anche nelle poche occasioni che ha avuto finora grazie a tante piccole cose positive sui due lati del campo.
I Grizzlies sono attesi dalla sfida solitamente più difficile: sopperire all’assenza della stella pescando qua e là dalla panchina. Se c’è una squadra in grado di farlo sono sicuramente loro, forti di due draft vicini alla perfezione, ma il tempo a disposizione è poco e le avversarie sentono già l’odore del sangue. Meglio che Morant e i suoi fratelli si sbrighino.
Traccia 4: T.J. Warren
L’ultima canzone di questo disco parte all’insegna dell’incertezza, visto che i tempi di recupero di Warren non sono noti. Adrian Wojnarowski parla di un generico “fuori a tempo indeterminato” e della necessità di operarsi, ma i precedenti non sono incoraggianti: molto probabilmente non rientrerà prima di 6-8 settimane. Una vera sfortuna per i Pacers, squadra corale se ce n’è una, che erano partiti subito piuttosto bene sfruttando un Domantas Sabonis formato All-Star.
La ricerca di continuità, con un quintetto Brogdon-Oladipo-Warren-Sabonis-Turner revitalizzato dall’arrivo di Nate Bjorkgren come capo allenatore, rischia di essere fin da subito abortita, e non è una bella notizia in una Indianapolis dove brucia ancora il cappotto subito dai Miami Heat al primo turno degli scorsi playoffs.
Nella bolla, tra l’altro, era stato T.J. il giocatore gialloblu nettamente più chiacchierato. Nelle 6 partite conclusive di regular season giocate ad Orlando l’ala da NC State aveva viaggiato a 31 punti di media con un irreale 52.4% da tre punti, con un esordio da 53 punti e 9 triple realizzate contro i Philadelphia 76ers. Niente male per uno che giusto un anno prima era stato sostanzialmente regalato ai Pacers dai Phoenix Suns, no?
T.J. Warren's last 3 games:
— NBA (@NBA) August 5, 2020
? 53 PTS, 9 3PM (career-highs)
? 34 PTS, 11 REB, 3 STL, 4 BLK (career-high)
? 32 PTS, 13-17 FGM@TonyWarrenJr ties Jermaine O'Neal for the most PTS over a 3-game span in @Pacers history! #IndianaStyle pic.twitter.com/cQU0QaJQbv
T.J. non ha mai avuto particolari problemi a fare canestro, ma non era mai riuscito ad avere questa efficienza. Il campione di partite è sicuramente molto ridotto e si parla di percentuali assolutamente insostenibili, ma potrebbe aver rappresentato la giusta spinta psicologica. Se riuscisse a dare un paio di giri di vite anche in difesa, e Indianapolis è il posto giusto per farlo, ci troveremmo di fronte ad un talento finalmente sbocciato dopo anni di tentata consacrazione. Purtroppo, però, questi discorsi sono ulteriormente rimandati.
Per ora lo stato di forma di Sabonis e di un ritrovato Victor Oladipo dovrebbe consentire ai Pacers un buon rendimento. Indiana è una squadra tosta, solidissima, nonostante una perenne lontananza dai riflettori, che di riffa o di raffa una quadratura la trova sempre. Un pizzico di follia, però torna sempre utile.
La profondità del roster non è immensa e l’assenza prolungata di Jeremy Lamb, altro giocatore in grado di variare un po’ sul tema in attacco, non permette di effettuare grandi esperimenti. T.J. è stato dignitosamente sostituito in quintetto da Aaron Holiday nella partita contro Cleveland ed è probabile che Bjorkgren continui su questa strada, provando al limite il fratello Justin o anche Doug McDermott. Tutti giocatori da cui ci si aspetta una minaccia credibile dall’arco sul lato debole ed il minimo sindacale in difesa.
Ai Pacers sono sicuramente abituati a sopperire agli infortuni, vedi i casi di Danny Granger, Paul George e Victor Oladipo. Anche in questo caso il collettivo sarà chiamato a sopperire alle mancanze dei singoli, lavorando sempre sottotraccia e senza i favori del pronostico.
La conclusione del disco
Siamo appena agli inizi e già è arrivata più di una tegola piuttosto pesante. È probabile che continueremo a vedere turni di riposo per le stelle nei back to back, in modo da preservare il più possibile la loro integrità fisica. Molte partite saranno anche teatro di esperimenti nelle rotazioni, in modo da fare di necessità virtù in caso di altri acciacchi: tanto materiale tattico da analizzare, con la precedenza che va sempre alla speranza di ritorni il più rapidi possibile.
Possiamo sollevare la puntina, il disco è finito. E nonostante la classe senza tempo dei Pink Floyd ci auguriamo, solo per questa volta, meno ristampe possibili.