L’ultima sconfitta, una batosta, ha fatto rumore. I Dallas Mavericks erano scelta sexy come rivelazione stagionale, ma sono partiti 1-3, come record. Quando Charlotte ha dominato 118-99 in Texas, due notti fa, gli sguardi Mavs sono parsi preoccupati, e la tensione alta. Un unico nome usciva dalla bocca di tutti i colleghi giornalisti americani, in collegamento su Zoom: Dončić.
Lui, il campione sloveno, era ancora sul parquet, all’American Airlines Center, a provare tiri. Perché è 2/21 da 3 punti in stagione, gli ultimi due non hanno preso neppure il ferro. E siccome Luka è un All Star, la stella della squadra, un popolare (e ancora più che legittimo) candidato MVP, e l’Arena dei ragazzi di Mark Cuban si trova all’incrocio tra Victory Avenue, All Star Way e Nowitzki Way, non sto scherzando, verificate pure su Google Maps, ecco che quelle cifre del 21enne regista europeo apparivano a maggior ragione stonate.
Coach Carlisle morde, se gli toccate Luka
Coach (Rick) Carlisle è entrato in versione Carlisle Cullen di Twilight, modalità aggressiva da potente vampiro, pur di difendere il suo ragazzo, il suo uomo franchigia. “Luka senza ritmo? No, non l’ha ancora (ri)trovato. Luka in cattive condizioni fisiche? Non ho intenzione di parlare di questo, Luka sarà ok, non ho dubbi. Come esce dal momentaccio? Continuando a giocare. La sconfitta con gli Hornets mica dipende da lui. Dončić sta andando nella giusta direzione. Semmai dobbiamo crescere in modo corale, di squadra“. Difesa accorata. Non il compitino d’ufficio. Come sempre, prima, aveva utilizzato il suo classico modus operandi, zero scuse, “pane al pane”: Notte orribile, sconfitta deludente, Se quando scendi in campo non giochi per davvero in NBA ti prendono a calci nel c…“.
Gli avevo chiesto, prepartita, dove può migliorare ancora in particolare la sua point guard, che appunto è comunque ancora un ragazzino, pur reduce da due stagioni grandiose, all’impatto con l’NBA, dopo i fasti europei con Real Madrid e nazionale slovena. Avevo provato col gioco delle tre carte: piano fisico, perché a parecchi è sembrato appesantito, piano mentale, perché comunque condivide lo spogliatoio con veterani di mille battaglie dei canestri, piano tecnico, su un singolo aspetto specifico in evoluzione.
Ma Carlisle non c’era mica cascato. Dove fosse l’asso, o meglio la risposta giusta, rimaneva un mistero per me, post risposta, però almeno non si era liberato del cronista italiano in modo sbrigativo: “Dončić è migliorato in difesa nel tempo, e giocatori come lui hanno una naturale leadership, uno spontaneo carisma, io lo vedo lavorare per migliorarsi giorno dopo giorno”.
Tutti contro Luka…
C’è da dire che Dončić a 21 anni, all’inizio della terza stagione NBA, viene affrontato dagli avversari con gli onori (e le trappole) che si riservano ai nemici di rango reale. Insomma, nella conversazione con King James. Coach Borrego, spiegava la “gabbia” immaginata per lo sloveno prima della palla a due. “Vuoi sapere chi lo marcherà? Prometti che non glielo dici? Ah ok..beh, lo marcheremo con 4 giocatori diversi. Partiranno su di lui Gordon (Hayward) e Terry (Rozier), poi di sicuro Miles (Bridges)…“.
L’idea era di non dargli riferimenti. Sfiancarlo. Ha funzionato. Anche se l’impressione è che Dončić si sia più incartato da solo, tra l’altro, pur non brillante, non ha neppure giocato così male, che per particolari meriti altrui. Perché poi Luka tra Eurolega e gli scorsi playoff, dove i Clippers gli hanno riservato un trattamento “speciale” a base di mazzate (di Morris e Beverley su tutti) e insulti verbali anche razzisti (Harrell si è “distinto” per questo spiacevole nomination) è abituato ormai, pur giovanissimo, ad essere trattato da nemico pubblico numero 1.
I Mavericks gli hanno preso un guardaspalle cattivo come James Johnson, che per la serata non è servito, ma che per tenersi in allenamento ha trovato il modo di bisticciare con Cody Martin, finendo per farsi espellere in coppia con uno dei due gemelli da Nevada University.
Tutti per Luka…
Tim Hardaway Jr e Max Kleber fanno fronte comune, da testimoni oculari. No, non è stata colpa di Dončić, dichiarano a distanza di pochi minuti, con parole speculari, neanche si fossero messi d’accordo. Il figlio d’arte è incupito: “Non abbiamo difeso e non siamo andati a rimbalzo, i tiri possono o meno entrare, ma dobbiamo difendere con più voglia, quello dipende solo dal nostro atteggiamento. Dobbiamo giocare duro, di così“. Ma su Dončić fa un ragionamento che i veterani hanno solitamente elaborato da tempo. Inappuntabile. “Non gli devo dire niente, era già un professionista prima di venire in NBA. Sa come funziona…Come compagni di squadra dobbiamo solo incoraggiarlo, deve mantenere la fiducia, e lo farà. Guardate che è là fuori che tira…”.
Sì, con l’assistente allenatore Jamahl Mosley che (ri)prova dalla media e dalla lunga distanza. Si trattiene a lungo, per una costernata addetta stampa dei Mavs, che ribadisce che Luka “arriverà”, all’appuntamento già annunciato coi cronisti. “Ma non so quando, mica è rientrato in spogliatoio. É là fuori che tira…“. Domanda pazienza, la stessa che dimostra lo sloveno, tocca ricambiare…
Intanto arriva Kleber. Sarà tedesco, ma in inglese schiaccia il play del solito jingle…”Luka? Professionista da anni, ha vinto tanto. Lo supporteremo, ma non ne ha neanche bisogno. Ha la mentalità giusta, si riscatterà presto. Anche giocatori come lui possono avere momenti così”. Che poi parliamo di 4 partite eh, sia chiaro…
Le parole di Luka
Finalmente arriva. Di solito Dončić è uomo da 0-0 alle interviste. Però stavolta qualcosina la dice, ed è un bel segnale che lo faccia, e in assoluto che ci metta la faccia, dopo una serata così. Non sa che si è parlato tanto, quasi solo, di lui, sinora. Chissà se gli saranno fischiate le orecchie.
Toglie la mascherina, guarda dritto su Zoom e racconta le sue verità: “Sì, ho le gambe stanche, ma non deve essere una scusa. Il mio programma atletico scombussolato nella tempistica dalla pandemia e causa di una condizione precaria? Non è stato facile allenarsi in Slovenia, era tutti chiuso. Ma niente scuse: potevo andare in palestra. Se il mio tiro non entra, cosa faccio? Tiro ancora, tutti i giorni. I tiri poi entreranno. Non credo che il problema sia il tiro, come squadra, la difesa lo è certo di più. Dobbiamo stare assieme anche nelle sconfitte, uniti. Così crescerà la chimica di squadra“.
Le prospettive dei Mavs
Il problema di fondo dei texani ovviamente non è Dončić. Ma come dicono e ripetono in coro, poi bisognerebbe dimostrarlo coi fatti, la (non) difesa. Senza il convalescente Porziņģis, che dovrebbe rientrare entro metà gennaio, ma non c’è una data certa, Dallas ha un reparto lunghi da Europa. E non perché Kleber è di Wurzburg, Germania, come quell’altro biondo leggenda Mavs, a cui ora è intitolata la strada davanti all’Arena, ma perché lui, Powell e Finney Smith sono “leggerini” come stazza e valore assoluto.
Carlisle si rifiuta di far giocare minuti significativi a Marjanovic per giocare “small”, moderno. Ma Dallas soffre a rimbalzo e la coperta diventa sempre troppo corta. Il rinnovo di Cauley Stein voleva metterci una pezza, ma Trill rimarrà probabilmente Peter Pan nell’animo anche a 70 anni, e invece i Mavs avrebbero bisogno di meno svolazzi di fantasia e più muscoli e sostanza, sotto canestro, sui due lati del campo. I Mavs sono 30esimi di 30 squadre per rimbalzi per partita, meno di 40.
Senza contare che Brunson e Burke sono attaccanti di qualità ovvia dalla panchina, ma abbassano parecchio il quintetto e soffrono in difesa. Come Dončić, nonostante le parole del suo Coach sui progressi che ci sono stati nel tempo, veri, ma partendo da un livello sotto la media. Richardson è un ottimo difensore, ma l’assenza dell’Unicorno lettone fa saltare il banco, per adesso. Dallas “cambia” spesso, se non sempre, in difesa, ma si ritrova troppo spesso con meno chili e centimetri degli avversari. E lo paga.
Hardaway ha la fotografia della situazione ben impressa in testa: “Porziņģis (ci) manca, non puoi insegnare quell’altezza. Stoppa, va a rimbalzo, non è solo il suo contributo offensivo a essere rimpianto, ci manca anche in difesa. In sua assenza dobbiamo essere più aggressivi, compensare così. E dobbiamo aiutare la nostra stella, Luka. E proteggere il forte, finché Kristaps non rientra”.
Nel frattempo Dončić dovrà perdere qualche chilo e recuperare le migliori gambe. Poi i Mavs torneranno pericolosi. Molto pericolosi. Ma considerata la storia di infortuni del lungo ex Knicks, beh, stanno correndo sul cornicione di un grattacielo. E con 1-3 di record, è meglio non guardare giù. Perché se il gigante di cristallo non assicura continuità d’impiego, miglior Dončić o meno, altrimenti rischiano di finirci. Dončić intanto non si dà pace: “Se alla terza stagione è più facile gestire la frustrazione? No, è lo stesso. Stai bene solo quando vinci”. E si rimette a tirare…