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Dal “Malice at the Palace” alle arene senza pubblico: l’NBA è ripartita col vuoto attorno

Davide Fumagalli by Davide Fumagalli
29 Dicembre, 2020
Reading Time: 8 mins read
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Malice at the palace

Copertina a cura di Matia Di Vito / Photo Credits: DAZN; news.ctgn.com

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Dire che l’NBA è ripartita in silenzio sarebbe sbagliato e anche ingeneroso, perché le prestazioni di Durant e Irving coi Nets fanno rumore, idem le vittorie (e le sconfitte) di Clippers e Lakers, per non parlare dei rumors attorno a James Harden e ai Rockets e dei tonfi dei Golden State Warriors, presi a schiaffi a Brooklyn e a Milwaukee. Il silenzio riguarda le arene, la totale assenza di pubblico sugli spalti, coi seggiolini coperti da grandi e vistosi tendoni, e tanto spazio attorno al campo, soprattutto dietro ai canestri. Un vuoto che non si era mai visto in una NBA che avrebbe messo tifosi seduti anche ad un dito dalle linee del parquet, pur di massimizzare il business legato al ticketing.

E invece nulla, niente pubblico, niente celebrities a bordo campo, niente camerieri che fanno avanti e indietro come degli equilibristi ad un passo dall’azione di gioco, niente inquadrature sugli spalti con tifosi che si scatenano a suon di musica, che mostrano cartelloni, striscioni, divise di ogni tipo, o che si baciano sugli inviti della popolare “kiss cam”. L’NBA non è conosciuta come un campionato in cui il tifo ha un peso rilevante sui risultati della squadra di casa, non ci sono piazze e arene calde come a Bologna, a Istanbul, a Tel Aviv o ad Atene (chiedere a giocatori e ad arbitri che scendono sul parquet di OAKA, casa del Panathinaikos dove dagli spalti “piove” di tutto…), ma l’impatto visivo è stato rilevante, almeno per chi scrive.

 

“Malice at the Palace”, la rissa di Detroit tra Pistons e Pacers

Si tratta ovviamente di un caso limite, emblematico, ma in questo 2020 (e poi 2021) segnato dalla pandemia, non sarà certamente possibile assistere ad un evento come quello del 19 novembre 2004, quando al vecchio Palace di Auburn Hills, allora casa dei Detroit Pistons, andò in scena la più celebre rissa nella storia della NBA, una storia unica perché coinvolse in maniera diretta il pubblico, elemento che ad oggi non fa parte del “paesaggio” di una qualsivoglia partita.

A 45 secondi dal termine della gara, Ron Artest dei Pacers fece un fallo duro su Ben Wallace che non la prese bene e scatenò un accenno di rissa sul campo tra giocatori. Ma non finì lì, anzi: Artest, sdraiatosi sul tavolo del segnapunti (no comment), venne colpito da un bicchiere di Coca Cola piovuto dagli spalti e da lì iniziò la vera e propria rissa, perché il giocatore visto in futuro a Cantù si diresse sugli spalti a cercare chi lo aveva colpito, e con lui altri giocatori di Indiana tra cui Stephen Jackson e Jermaine O’Neal. La baruffa andò avanti per diversi minuti, coinvolse anche giocatori dei Pistons e una decina di tifosi, e dovette arrivare la polizia per sedare il tutto e compiere già degli arresti.

Il risultato? Cinque giocatori vennero accusati di aggressione e infine condannati a un anno di libertà vigilata e di servizio alla comunità (Artest, Jackson, O’Neal, Johnson, Harrison). Cinque fan subirono anche accuse penali e fu loro vietato di assistere alle partite casalinghe dei Pistons per tutta la vita. Inoltre nove spettatori rimasero feriti e due vennero portati in ospedale.

 

La bolla di Orlando e i “tifosi virtuali”

Una sorta di compromesso escogitato dalla NBA si è visto a Orlando, nella “bolla” di Disney World, dove si è conclusa la stagione 2019-20. Nelle arene all’interno del campus non c’era ovviamente la possibilità di introdurre tifosi o appassionati, si trattava comunque di una situazione limite e di emergenza, ma in qualche modo un segno di pubblico c’era, se così possiamo definirlo con un po’ di immaginazione. Infatti l’NBA, col sostegno del colosso Microsoft e di altri sponsor, ha messo in piedi un “muro” di schermi lunghi 5 metri attorno al campo, facendo in modo che 320 fan avessero la possibilità di assistere alle partite in collegamento grazie al “Together Mode” di Microsoft Teams. I “fortunati” erano dunque presenti sia con la propria immagine (a cui fu ritagliato automaticamente lo sfondo dando l’impressione che fossero seduti su una poltroncina come all’arena), sia con la voce (pur con una lieve differita per evitare spiacevoli inconvenienti).

Check out some great virtual fan moments from the season so far! Which moment was your favorite? pic.twitter.com/t31Ce0i7Gd

— NBA (@NBA) September 29, 2020

In quegli schermi non c’erano solo tifosi “normali”, cioè gente comune estratta a sorte, ma anche celebrità, leggende del gioco ed ex giocatori, per rendere l’esperienza il più simile possibile a quella di una normale sfida pre-pandemia da Coronavirus. “Questa nuova esperienza, la prima lanciata a seguito della partnership tra NBA e Microsoft, offrirà ai fan partecipanti la sensazione di sedersi l’uno accanto all’altro in una partita dal vivo senza lasciare il comfort e la sicurezza delle loro case“, spiegò all’epoca Jared Spataro, capo di Microsoft 365. Non solo immagini ma anche effetti sonori, per ricreare un’ambientazione più reale possibile.

Sono seduto in tribuna ufficialmente. Piccole gioie della vita! ❤️@NBAItalia pic.twitter.com/eQyj6YwxGz

— Tommaso Marino (@Queenie_Boy) August 25, 2020

Ovviamente si è trattato di una situazione di pura emergenza, unica essendo appunto stata ricreata dentro una bolla, conclusasi con la vittoria del titolo da parte dei Los Angeles Lakers, un risultato che inevitabilmente non è stato goduto a pieno da LeBron James e compagni proprio per l’assenza dei tifosi dentro un’arena piena (che fosse lo Staples Center o un’altra), con i rumori, le voci, gli effetti e il colpo d’occhio che questa fornisce e che purtroppo, o per fortuna, non può essere ricreato in maniera artificiale.

 

Si torna nelle arene ma sono vuote, o quasi…

In questa stagione le 30 franchigie sono tornate nel rispettivo market e giocheranno ognuna nella rispettiva arena, pur se senza tifosi o quasi. Chiaramente sarà impossibile per la NBA colmare i proventi derivanti dal ticketing (pre pandemia il 40% dei ricavi arrivava dal botteghino e da ciò che ci sta attorno, circa 3,5 miliardi di dollari), ma riportare gli appassionati negli impianti è una priorità, seppur con un numero limitato.

Il Commissioner Adam Silver è stato molto chiaro prima del via della regular season 2020-21: “Per noi è riavere i tifosi nelle arene è una priorità, ma dobbiamo essere realistici su questo punto. Useremo l’esperienza delle squadre che li avranno per provare ad averne ancora. Ma fino a quando il vaccino non verrà distribuito alla stragrande maggioranza della popolazione, è improbabile riavere arene piene di tifosi. Mancano a tutti, a cominciare dai giocatori. Siamo ansiosi di trovare un modo sicuro di riaverli con noi”.

Le franchigie a cui ha fatto riferimento Adam Silver sono Cavaliers, Rockets, Pelicans, Magic, Raptors e Jazz, più gli Spurs dall’1 gennaio e gli Hawks successivamente, dal 18 probabilmente. Ogni mercato fa riferimento inevitabilmente alle regole e ai protocolli vigenti in ogni stato, e si adegua di conseguenza: si va dai 300 spettatori di Cleveland ai numeri più elevati di Orlando (4.000), Tampa (3.800, per i Raptors) e di Houston (4.500).

Ovviamente si tratta di numeri potenziali nel riguardo di tutti i protocolli di sicurezza, insomma dei progetti che verranno attuati navigando a vista e tenendo sempre sotto controllo la curva del contagio, che negli Stati Uniti è sempre piuttosto imponente. Per quanto riguarda le altre franchigie, nulla è stato comunicato.

Banner No. 17 is waiting for our fans to come home. #LakersFamily pic.twitter.com/sVtlQ8pGno

— Los Angeles Lakers (@Lakers) December 23, 2020

Emblematica la scelta dei Los Angeles Lakers che hanno deciso di non svelare il banner del 17esimo titolo NBA appeso sul soffitto dello Staples Center: niente celebrazione durante la consegna degli anelli dell’opening night contro i Clippers, la scelta della dirigenza gialloviola è quella di attendere il ritorno del pubblico nel palazzo, una mossa volta a sottolineare l’importanza e la centralità dei propri fan, che già non hanno potuto celebrare la squadra con la tradizionale parata per le vie della città attorno allo Staples.

Addirittura i Golden State Warriors avevano un piano per permettere agli spettatori di entrare al Chase Center, l’avvenieristico impianto nel cuore di San Francisco che per adesso non ha portato grande fortuna alla squadra tra partenze, infortuni e la pandemia. Secondo ESPN l’idea dei proprietari Lacob e Guber era di investire $ 30.000.000 per far sostenere un test rapido per il Covid a 10.000 fan in ogni partita in casa, con la garanzia che il risultato del test sarà valido al 99%. Questo permetterebbe ai Warriors di riempire il palazzo al 50% della capacità.

In attesa di sviluppi, legati anche al vaccino, l’NBA è ripartita senza una componente molto importante che è il pubblico e il vedere gli spalti vuoti su arene di 20mila o più posti a sedere è un colpo d’occhio che stride e non poco. Mancano i tifosi, mancano i reporter a bordo campo, manca l’entertainment durante le pause, non c’è lo show che contraddistingue il “carrozzone” NBA rispetto a tutto le altre leghe del mondo.

E in diversi palazzi manca la parte glamour, la presenza delle celebrità: oltre agli appassionati “normali”, c’è bisogno di tornare a vedere i vari Drake a sostenere i Raptors, Jack Nicholson e Leonardo DiCaprio a tifare Lakers allo Staples, Billy Crystal per i Clippers, Spike Lee al Madison Sqare Garden per i disastrati Knicks, Jay-Z e Beyonce “itineranti” da Brooklyn a San Francisco, le presenze femminili come Rihanna, Kendall Jenner, il clan Kardashian e Victoria Beckham, senza dimenticare i fan dagli altri sport, come Bill Belichick a Boston per i Celtics, JJ Watt a Houston per i Rockets e Aaron Rodgers al Fiserv Forum di Milwaukee per Giannis e Bucks.

A pensarci bene, in questo argomento si inserisce una delle immagini più toccanti della storia recente della NBA: Kobe Bryant e la figlia Gigi al Barclays Center per una gara dei Nets. Immagini toccanti, bellissime e allo stesso tempo drammatiche pensando a quello che è successo dopo. Questo conferma quanto l’NBA non sia solo il rettangolo sul parquet e i 10 giocatori che si danno battaglia, ma c’è anche ben altro attorno, un elemento di cui non si potrà fare a meno ancora a lungo.

A beautiful father-daughter moment ❤️

One year ago today. pic.twitter.com/wcLTF4kNan

— ESPN (@espn) December 21, 2020
Tags: Detroit PistonsIndiana Pacerskobe bryantnba
Davide Fumagalli

Davide Fumagalli

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