Gli Heat rilanciano. Sono passati pochi mesi dalla delusione di un finale persa nella bolla di Orlando, ed anche per Miami giunge il tempo per tornare a confrontarsi sul parquet, stavolta con obiettivi piuttosto chiari. Malgrado le aspettative di mercato, e soprattutto le prospettive rispetto all’approdo di un Giannis che si è legato sostanzialmente a vita con i Bucks, in Florida non ha più senso eccedere in umiltà senza considerare il ritorno alle Finals tra gli obiettivi stagionali.
La Eastern Conference sarà pur competitiva – con i Nets di Kyrie e Durant brillanti in questo avvio – ma l’organico che ha strappato due vittorie ai Lakers è sostanzialmente riconfermato. E non era scontato durante la offseason. Tra i contratti in scadenza, quello di Goran Dragić – classe 1986 – apparentemente ai margini del progetto prima della pausa per pandemia, completamente riscattato con l’ingresso nella bolla.
Le prime due partite della sua stagione non solo giustificano il rinnovo contrattuale, ma confermano uno stato di forma indiscutibile, coronato con la granitica prestazione offerta in apertura della programmazione natalizia della NBA: 111-98 per i suoi contro i New Orleans Pelicans.
Una vittoria convincente figlia del contributo della point guard slovena partendo dalla panchina, con 18 punti, 9 assist e 4 recuperi, ma soprattutto un controllo totale sulla manovra dei suoi. Come se le trentaquattro primavere sulle spalle non pesassero sulle sue prestazioni, e neanche gli acciacchi sofferti.
Il riscatto di Goran
Campione d’Europa nel 2017 da assoluto protagonista, Dragić è stato ad un passo dalla cessione a Dallas poco più di un anno fa, quando Pat Riley stava finalizzando la firma di Jimmy Butler, elemento fondamentale per la trasformazione degli Heat da buona squadra a contender. Non sulla carta, ma con i fatti. Reduce da un fastidioso infortunio al ginocchio, Goran non appare garanzia reale per il futuro di Miami considerando anche il contratto in scadenza, ma nonostante la suggestione di vederlo accanto al connazionale Dončić, i Mavericks decidono di non fidarsi.
Per lui, la stagione 2019/20 si apre come cambio di Kendrick Nunn, vivendo mesi da riserva riconquistando la forma partita dopo partita, per diventare il primo realizzatore del gruppo nella clamorosa cavalcata che trascina gli Heat all’ultimo atto stagionale. Tra l’altro in un contesto inusuale, inedito, e per questo incerto: la situazione ideale per completare un upset.
La storia però la conosciamo tutti: l’infortunio di gara 1 (concomitante con quello di Bam Adebayo), le lacrime e la delusione del non riuscire a tornare, prima della miracolosa forzatura di gara 6. Un traguardo insperato per come si era messa la Serie, un rientro in campo in tempo record, nonostante la netta vittoria che regala il titolo ai Los Angeles Lakers.
Impossibile non riconoscere il suo attaccamento alla maglia, premiandolo con un rinnovo tanto insperato quanto meritato, con 37 milioni per due anni (il secondo coperto da team option). Qualcuno parla di regalo, altri ne identificano l’importanza del ruolo, pur con un occhio alla free agency ventura, con la prospettiva da parte di Miami di offrire cifre importanti per puntare ancora più in alto, magari liberandosi dell’attempato Goran, ufficialmente sul viale del tramonto.
Una roba mai così lontana da quanto lasciato vedere in queste prime due partite, Christmas Night inclusa.
L’avvio di stagione 2020/21
Che Goran Dragić ripartisse determinato a dimostrare di meritare quel contratto, era auspicabile, ma non necessariamente prevedibile. Nella sconfitta d’esordio contro i Magic – con la squadra che lascia scivolar via la partita nell’ultima frazione, senza particolare voglia – il regista sloveno mantiene immediatamente le promesse ripartendo dove aveva concluso, con una reattività invidiabile.
Spesso trova sulle sue tracce il rookie Cole Anthony, che peccherà pur di esperienza e capacità, ma dovrebbe aver le gambe per tenere il primo passo di un trentaquattrenne ormai dato per finito, cestisticamente parlando.
Niente di più sbagliato: non solo Dragić illumina la manovra dei suoi, ispirando i compagni a piacimento, ma brucia il diretto avversario da subito, in palleggio, e più volte. Chiudendo con 20 punti in 27 minuti, smazzando 7 assist e catturando 4 rimbalzi. Probabilmente il migliore dei suoi, alla faccia degli anni che passano, dei dubbi, del contesto.
Nella prima sfida in programmazione nell’atteso Natale NBA (conquistato dopo giorni di contrattazione da Silver con il sindacato dei giocatori, per importanza a livello di diritti televisivi), non solo Miami riscatta il pessimo avvio stagionale, ma ancora una volta Dragić si conferma chirurgico e fondamentale nel successo dei suoi.
Ed anche in questo caso, lasciandosi dietro avversari decisamente più giovani, teoricamente in grado di reggere l’onda d’urto generata dal suo genio cestistico (e dai un corpo che ha ancora, in apparenza, tanto da offrire in termini atletici).
Il primo sussulto della sua gara si concretizza con questa gestione della transizione: dal rimbalzo al rapido capovolgimento di fronte, per inserire il giovane Precious Achiuwa. Come il miglior Lonzo Ball immaginabile, pur con 11 anni in più sulle gambe.
Dopo un avvio equilibrato, la sfida vira dalla parte dei ragazzi di Coach Spoelstra nel secondo quarto, ed è scontato dire che alla guida del parziale c’è tutta la grinta di Dragić, capace di contribuire anche alla pressione sull’impostazione avversaria. Trasformando una buona difesa, in un contropiede di successo (sfruttando, in questo caso, uno dei tanti pasticci di Bledsoe).
Nella seconda metà di partita, quando i Pelicans provano a riportarsi sotto (forti della prestazioni offensive di Ingram e Williamson), ancora una volta devono fare i conti con le magie del nativo di Lubiana. In questo caso giocando a due con Adebayo, trovando una situazione rapida e sfruttando quello che è un deciso mismatch con l’ex guardia dei Bucks, appena arrivata a New Orleans. Tra i peggiori dei suoi.
La partita scivola via serenamente, con i titoli di coda ufficialmente avviati dall’ennesimo contropiede di Goran, che continuando a spingere riesce a farsi beffa stavolta di Lonzo Ball, prima di concludere acrobaticamente.
Non solo passare da “superfluo” a fondamentale nella rocambolesca stagione da poco conclusa, ma addirittura capace di confermarsi chiave nella manovra offensiva dei suoi: l’utilizzo di un giocatore come Goran Dragić è autentico valore aggiunto per i destini degli Heat in questa stagione.
Ancora una volta, dopo aver fronteggiato delusioni e difficoltà, lo sloveno sta dimostrando quel talento cristallino non sempre riconosciuto in carriera, in particolare in NBA, dove malgrado la convocazione all’All Stars Game del 2018 (ed il Most Improved Player del 2014) è sempre stato guardato con sospetto.
[…] Miami: Dragic coperta di Linus. Rimpianto Finals, certezza Heat, 26 Dicembre 2020 […]