Gioca ancora arrabbiato. E continua ad accumulare triple doppie. Russell Westbrook ha 12 anni di NBA già alle spalle, eppure è sempre lo stesso. Onnipotente fisicamente, intenso oltre l’immaginazione, leader con l’esempio e la lealtà di campo e spogliatoio. Ma anche quello dei tiri senza senso, per scelta e momento, del tiro mai costruito, dell’anello mai vinto. Quello con statistiche storiche. Quello che ami o odi, che divide.
La sua ultima nuova avventura, a Washington, è partita alla Russ: tripla doppia, urlacci agli arbitri, pacche sulle spalle ai compagni, andando vicino alla vittoria, ma vedendosela scappare nel finale. Sfuggente e beffarda. La cosa bella di Russ, credetemi, è che non si farà scoraggiare: dalla prossima sfida dei Wizards sarà di nuovo carico come una molla, intenso e arrabbiato, entusiasmante e pasticcione. Incapace di lasciarti indifferente. Sempre, fortissimamente, Russ.
Il “mio” Russ
L’ho incontrato per la prima volta a San Antonio. Per Natale, per l’appunto. Il 25 dicembre 2014, sei anni fa. Spogliatoio Thunder, all’AT&T Center, casa Spurs. Segnava 34 punti, sbancava casa Duncan, pareva “posseduto”, indemoniato. Un’ombra d’energia sempre in movimento, rumorosa e implacabile. I Thunder erano senza l’infortunato Durant, ma ci pensava lui a trascinarli alla vittoria. Post partita mi avvicinavo circospetto, che non ami i giornalisti è cosa nota.
Eppure “grugniva”, ma rispondeva, alle domande del giornalista italiano. Diceva di Ish Smith, la terza point guard della sua squadra, allora come ora (e non crediate sia casuale…) “Lui è un bravo ragazzo. Ma io voglio giocare arrabbiato questa stagione. Solo così potremo vincere“. I suoi compagni di squadra mi parlavano di “leader nato, naturale“. Allora mi stupivo, oggi non più. Non confondete le letture di gioco discutibili (molto discutibili) con il carisma e l’atteggiamento da capobranco universalmente riconosciuto, nel mondo NBA. Non vi confondete, voi. Su quelle letture allora diceva: “Tutti a parlarne quando perdiamo in volata. Ma se vinciamo nessuno dice niente eh…Le mie letture nel finale fanno parte del mio lavoro. Il mio approccio non cambia mai: attacco sempre. Avversari e canestro. Se sto segnando o se sto sbagliando tiri, il mio atteggiamento resta lo stesso. Attacco a mille all’ora”. Non è cambiato nulla, oggi come allora…
Mr Tripla doppia
Già allora sfornava triple doppie, e non s’è mai fermato. Al debutto ufficiale per Washington, contro Philly, ha chiuso con 21 punti 11 rimbalzi e 15 assist. Sesto giocatore nella storia NBA e esordire in tripla doppia. C’è di più: aveva già a tabellino 13 punti, 14 assist e 10 rimbalzi a fine terzo quarto. Diventano 45 le triple doppie entro 36′ di gioco. Il primo a riuscirci negli ultimi 25 anni in occasione della prima partita stagionale della sua squadra. Westbrook ha chiuso in tripla doppia di media tre stagioni, dal 2016 al 2019. Un accadimento epocale. Che lo ha reso famoso, celeberrimo, persino. Ma che ha diviso gli appassionati: quanto vale di questi tempi questa statistica? E soprattutto: è sinonimo di efficienza, completezza e soprattutto di vittorie?
Diciamo che se fosse facile da ottenere, state tranquilli, visto che porta in tasca tanti soldini, a livello di marketing, che anche altri lo emulerebbero. Al contempo andare a rimbalzo difensivo non significa difendere forte su ogni possesso, così come ammassare assist non significa essere un regista impeccabile. Però su una cosa non vi sbagliate: Russ non gioca per le statistiche. Gioca per vincere come pochissimi altri campioni NBA di questa era. Ossessionato. Col sacro fuoco dentro. Sa giocare solo in un modo, e lo fa ogni sera. E se quel modo significare fare strike di record, come fosse una serata felice al bowling, beh, per lui sono solo effetti collaterali incidentali. In ogni caso, per la cronaca, con quella aggiunta al primo colpo in maglia Wizards le triple doppie diventano 147, secondo solo alle 181 del mito Oscar Robertson.
Le prospettive di Washington
Una statistica che di sicuro gli piace persino di più racconta che le sue squadre hanno sempre giocato i playoff, sinora. Con Beal di fianco, a formare una coppia di esterni clamorosi, i Wizards hanno buone possibilità di raggiungerli. Mancano da due stagioni. Coach Brooks è oggi come a quei tempi ai Thunder il suo allenatore. Sa come prenderlo: spesso lo lascia fare. Allenatore gestore, qualcuno più malizioso potrebbe dire yes man. Gli vieta semmai di schiacciare in allenamento. Russ ha 32 anni e parecchie operazioni nel suo passato: è tempo di centellinare quelle doti atletiche da scherzo della natura.
All’esordio, la scelta israeliana da Lotteria, Deni Avdija, ha destato un’ottima impressione. Grandi istinti di gioco, sempre sotto controllo. Presto rientrerà il samurai Hachimura, acciaccato. Bertans da tre punti sa muovere la retina e a Wagner Russ dava grandi pacche, contro i 76ers. Poi Bryant, mandato a canestro con un clamoroso assist di mano sinistra, non avrà sempre problemi di falli. Sono già i “suoi ragazzi”, è già la sua squadra. Non un’armata invincibile, quello no. Ma da playoff. Soprattutto i Wizards hanno difeso, alla prima uscita, dopo una stagione da obiettori di coscienza, su quella metà campo. Ha ridato entusiasmo a una franchigia che pareva esanime.
Le parole
“Non ho fatto abbastanza“. Sono state le prime parole di Westbrook dopo la sconfitta con Philly. Altro che celebrare la tripla doppia, ennesima eppure nuova. “Sono deluso dalla mia prestazione, potevo fare meglio (al ferro ha imperversato meno del solito, forse non è ancora al top fisicamente ndr). Non mi piace perdere. Sin da inizio carriera, per me conta vincere. Farò meglio la prossima volta“. Bradley Beal, che con Wall di fianco è stato per anni abituato ad un compagno di reparto ben più difficile, come atteggiamento, lo investe già dei panni di leader: “Amo la sua competitività, l’agonismo, la sua energia. E poi Russ si prende sempre le responsabilità. Ci conti sempre, su di lui“.
Anche se “passa” le triple per rifugiarsi nel gioco dalla media, in barba all’efficienza. Anche se regala assist a chiunque, e fanno 7.313, 14mo ogni epoca, ma poi s’impappina sul più bello o prende un tiro a fine quarto da inseguirlo con cattive intenzioni. Ma cade e si rialza sempre, Russ. Giocherà a pallacanestro una sera sì e una no ancora a lungo, lui che lo fa anche perché gli piace, non solo perché è pagato da sultano. Per provare con tutte le sue forze a vincere. E in America sanno apprezzare il Processo, scritto maiuscolo o minuscolo, come da poche altre parti. Che ti porti o meno al traguardo.