Dove eravamo rimasti? Si, riavvolgiamo il nastro, e con la memoria torniamo indietro ad una manciata di mesi fa. Con Houston impegnata contro i Los Angeles Lakers nelle semifinali della Western Conference. Con la ‘bubble’ di Orlando a fare da cornice. Serie iniziata bene, ma finita drammaticamente in bluff. Un 4-1 duro da mandar giù contro i futuri campioni NBA, ma sacrosanto, che ha sancito la ‘fine corsa’ dei Razzi. E l’off-season, bollente, arroventata della franchigia texana, ha avuto inizio immediatamente dopo l’uscita di scena dai playoff. Perchè nel viaggio aereo di ritorno, coach Mike D’Antoni si è congedato dall’impegno di capo allenatore, informando con precipitazione il GM Daryl Morey di tale decisione. E questa è stata soltanto la prima tessera del dòmino a crollare.
La rivoluzione d’autunno
Dopo la partenza di D’Antoni, anche un’altra figura di spicco all’interno dell’organigramma dei Rockets è venuta meno. Perché Morey, per motivi personali, ha annunciato le proprie dimissioni, effettive dagli inizi di novembre. Ma nel contempo Houston non si è persa d’animo, rendendo pubblica la promozione a ruolo di general manager di Rafael Stone. Persona squisita, dirigente brillante ma giocoforza ‘acerbo’. E dopo un battito di ciglia ecco l’annuncio di Stephen Silas, insignito del ruolo di capo allenatore, successore dell’ex Baffo. Quest’ultimo, portatore per noi tifosi di gioie e dolori. Per Silas, dunque, prima esperienza da head coach, dopo averne maturata una biennale da assistente di Rick Carlisle ai Dallas Mavericks. Una chance da non fallire per il 47enne nativo di Boston. Una chance che noi tifosi dei Rockets crediamo meriti, perché ci è sembrata una persona seria, a modo, che si è calata bene nel meccanismo del gruppo. Oltre ad essere un profondo conoscitore del gioco della pallacanestro. Ha lavorato a stretto contatto con stelle del calibro di Steph Curry, Kemba Walker e Luka Dončić. Dunque, non un pischello.
Le telenovele di Westbrook e Harden
I cambiamenti non si sono fermati qui. Anzi, il grande show è proseguito, ma con puntate tutt’altro che divertenti. Che hanno fatto imbestialire tanti, tra noi della community ‘Houston Rockets Italia’. Le due superstar del roster, Russell Westbrook e James Harden, hanno entrambe richiesto di essere cedute. Brodie per essere al centro del progetto altrove, e poter indossare nuovamente il mantello da supereroe. Evidentemente gli importa di più il “One man show” a Washington, piuttosto che provare a vincere qualcosa d’importante nella città della NASA. In cambio, a Houston è arrivato in punta di piedi John Wall con una bella scelta al primo giro sotto braccio.
Il discorso Harden è ben più surreale. Ha chiesto di forzare la trade al front office dei Rockets, per andare via e provare ad alzare il Larry O’Brien Trophy in un’altra città che non sia Houston. Brooklyn, Miami, Milwaukee, le mete più chiacchierate. Un pourparler che ha scandito le nostre giornate. Noi interessati al futuro dei nostri amati Rockets, ed impegnati a tentare di decifrare quale ruolo potessero avere nella prossima stagione. Parole, parole, soltanto parole, però. Perchè a queste non è mai seguita una vera e propria trattativa con al centro il nome del ribelle e scontento The Beard. Che ha raggiunto in ritardo i suoi compagni al training camp, per assolvere impegni di tutt’altro genere. Harden è sbarcato a Houston soltanto l’8 dicembre, iniziando gli allenamenti – in forma privata – in ritardo rispetto ai compagni di squadra. Considerando anche tutto l’ambaradan col quale si è dovuto misurare tra tamponi e protocolli covid da seguire, di questi tempi. Ma ora che si è riaggregato al gruppo, ed ha anche esordito in pre-season – con un pò di pancetta, ma vabbè ci siamo abituati – ci auguriamo che il ‘caso’ possa rientrare ed il Barba si sia finalmente focalizzato sulla prossima stagione, in maglia Rockets. È ovvio che la fiducia è ciò che manca al momento tra il fuoriclasse di Los Angeles e l’organizzazione della franchigia. E con una buona parte dei giocatori, con i quali si è congiunto solo pochi giorni fa.
Compito di Silas e del suo staff è quello di cercare di trovare il balsamo adatto per lenire i dissapori del Barba verso la franchigia texana, che lo ha accolto a sè quasi un decennio fa mutandolo da sesto uomo qualunque, a stella della Lega. Perché ad oggi, il futuro di Harden non è chiaro. È ormai certo che inizierà la stagione con i Rockets, ma qui la domanda sorge spontanea. Fino a quando resterà un caposaldo della nostra squadra? In ogni caso, anche la nostra fiducia, la stima che nutrivamo in lui è molto scemata. Perché il comportamento che ha avuto in queste settimane è stato a dir poco bambinesco, dimostrando ancora una volta che come uomo è tutt’altro che un leader. Ci sta richiedere la trade, il desiderio di volersi misurare su di un palcoscenico più ambizioso, ma il modo in cui sono decorsi gli ultimi episodi di questa paradossale e a tratti sgradevole soap opera ci ha fatto letteralmente venire il latte alle ginocchia. Un atteggiamento svenevole, seccante, e di difficile sopportazione per il “tredici”, che si è reso sciocco e fastidioso ai nostri occhi. Che stizza! Un mix di rabbia e delusione.
Porte scorrevoli
Houston, che resti o meno Harden, è cambiata comunque molto. Detto di Wall, che sarà la point guard titolare, infortuni permettendo (e qui facciamo dieci, cento, mille scongiuri), i Rockets si sono resi protagonisti in diverse mosse durante la Free Agency. Per esempio scambiando Robert Covington per scelte e Trevor Ariza, poi subito rilasciato per arrivare a Christian Wood. Un’acquisizione che ha ridato morale alla nostra Community, perché crediamo tanto nelle potenzialità del ragazzo che si è messo bene in luce a Detroit. Un lungo moderno, verticale, in grado di aprire il campo con la sua mano educata dalla lunga distanza. I Rockets hanno anche firmato DeMarcus Cousins e Sterling Brown in FA. Proprio Boogie è una scommessa azzardata, di quelle che se azzeccate danno enormi soddisfazioni. Qui il nostro gruppo si è spaccato: c’è chi è infervorato da questa mossa, e chi invece nutre più di un dubbio circa la figura di Cousins. Perché propenso ad avere comportamenti alquanto rivedibili all’interno e all’esterno dello spogliatoio (a Sacramento lo sanno bene), oltre ad aver assunto, inevitabilmente, la noiosa e fastidievole etichetta di giocatore injury prone. Lo scrivente fa parte della seconda scuola di pensiero ma spera vivamente di essere smentito. Finger cross. Certo, gestire uno spogliatoio con all’interno “cavalli pazzi” come Wall, Harden e Cousins non sarà di certo un gioco da ragazzi per Silas. Chiamato ipso facto a scalare l’Everest con un triciclo.
Considerazioni finali
Sono tutte riflessioni premature, ovvio. Ed oziose utopie. Ma dalla pancia del nostro gruppo – aldilà di tutto – filtra ottimismo. Soprattutto dopo aver visto all’opera Wall e Cousins nelle prime uscite di pre-season. L’ex Wizards sembra essersi ripreso dagli infortuni al tallone ed al tendine d’achille, ed il debutto in maglia Rockets è stato tutto sommato incoraggiante. Dunque, pensiamo che la trade con Washington sia stata per noi benevola, considerato quanto Westbrook si sia dimostrato poco funzionale al basket del 2020. Poco ordine in campo, fase difensiva rivedibile, indisciplinato e zero tiro. Ci ha deluso, fortemente. Non che Wall sia un cecchino, ma quantomeno le sue capacità balistiche potranno creare quella gravity necessaria per favorire il giusto spacing in attacco. Perchè anche senza D’Antoni, cavalcheremo tanto il tiro da 3, avendo in squadra giocatori come Eric Gordon, Ben McLemore, PJ Tucker, Danuel House, che si cibano quotidianamente di pane e triple. Tiro dall’arco si, small ball no. Esperimento fallito, quello provato al “D’Antoni’s laboratory” di Houston. Bye bye senza rimpianti alla “Banda Bassotti”. Wood, Cousins e Caboclo sono la testimonianza vivente che il neo coach Silas si servirà sempre del lungo in campo, per esplorare giochi interni a noi praticamente sconosciuti negli ultimi anni.
Con Harden in squadra, senza il broncio, tirato a lucido e convinto del progetto targato Silas/Stone, presumiamo di poter ambire al terzo o quarto posto nella Western Conference, per giocarci con il vantaggio del campo almeno il primo turno dei playoff. Un Ovest molto equilibrato, fatta eccezione dei Los Angeles Lakers superiori al resto della concorrenza. Senza il Barba, astro lucente della NBA, le nostre previsioni divengono meno positiviste, ben più malinconiche. Qualsiasi sia il pacchetto di ritorno – a patto che non si riceva Irving, Butler o Embiid – la squadra verrebbe depotenziata e quindi ci immaginiamo una Houston deambulare tra il sesto ed il nono posto nella giungla dell’Ovest. Ma a questa eventualità, nessuno vuol pensarci.