Record 2019/20: 19-45.
IN: Ricky Rubio (trade), Anthony Edwards (draft), Jaden McDaniels (draft), Ed Davis (trade), Ashton Hagans (two-way), Rondae Hollis-Jefferson (free agency).
OUT: James Johnson (trade), Omari Spellman (trade), Jacob Evans (trade), Kelan Martin (free agency).
Roster 2020/21:
PG: D’Angelo Russell, Ricky Rubio, Jordan McLaughlin, Ashton Hagans.
SG: Malik Beasley, Anthony Edwards, Jaylen Nowell.
SF: Josh Okogie, Jarrett Culver, Jaden McDaniels.
PF: Juancho Hernangómez, Jake Layman, Jarred Vanderbilt, Rondae Hollis-Jefferson.
C: Karl-Anthony Towns, Naz Reid, Ed Davis.
Dopo un ottimo inizio da 10 vittorie e 8 sconfitte, la nuova gestione dei Timberwolves targata Gersson Rosas sembrava essere partita sotto i migliori auspici: Karl-Anthony Towns sparava triple da ogni posizione e faceva strabuzzare gli occhi agli addetti ai lavori, Andrew Wiggins sembrava finalmente maturato cestisticamente (e non solo) e alcuni comprimari si rivelavano piacevoli sorprese. Un doppio filotto di 11 e 13 sconfitte però riportava la franchigia coi piedi per terra, condannando Minnesota a un’altra stagione senza meta.
Non avendo più obiettivi per l’annata in corso, la priorità del front office è stata quella di accelerare il processo di ricostruzione cominciato pochi mesi prima: via Wiggins, Dieng e Teague (insieme a tanti altri) e dentro D’Angelo Russell, Malik Beasley, Juancho Hernangómez e vari pezzi minori. Nonostante l’assenza di Towns per infortunio, le partite successive alla trade deadline sono servite a valutare l’impatto dei nuovi arrivi e ad evidenziare le mancanze del roster; purtroppo la stagione si è conclusa dopo sole 14 gare a causa della pandemia, con un bilancio complessivo di 19 vittorie e 45 sconfitte e la sensazione che ci fosse ancora molto lavoro da fare per portare la franchigia a competere per un posto ai playoffs.
Giocatore da tenere d’occhio: Josh Okogie
Indubbiamente l’offseason dei Timberwolves è stata – per usare un eufemismo – particolare, a partire dalla sua durata: l’esordio del 23 dicembre arriverà dopo più di nove mesi dall’ultima gara giocata, qualcosa di inaudito nella storia della NBA. Al di là dell’impatto che la pandemia ha avuto sulla pietra angolare della franchigia, di cui parleremo meglio in seguito, questo periodo di pausa forzata è stato pregno di eventi: innanzitutto la vittoria nella lottery e l’arrivo della prima scelta assoluta Anthony Edwards, poi il ritorno di Ricky Rubio e i rinnovi di Beasley e Hernangómez e per ultimo – ma sicuramente non per importanza – lo scossone che l’uccisione di George Floyd per mano della polizia ha dato alla città di Minneapolis.
In una città infuocata dalle proteste, la figura di Josh Okogie si è affermata come un punto di riferimento per la comunità afroamericana di Minneapolis, partecipando da subito al memoriale in onore di Floyd e aumentando esponenzialmente il proprio coinvolgimento nelle iniziative contro il razzismo. Queste dimostrazioni di maturità rappresentano un’ottima notizia per il secondo spogliatoio più giovane della lega, bisognoso di quanta più leadership possibile: il prodotto di Georgia Tech ha fatto vedere qualche miglioramento interessante durante la stagione da sophomore e, se escludiamo i soliti noti, sarà il giocatore dei Timberwolves da osservare più da vicino durante questa stagione.
Dotato di ottimi mezzi atletici e di un fisico particolarmente pronto per la NBA (193cm per 97kg e 213cm di apertura alare), Okogie si è fatto notare durante il suo anno da rookie per una spiccata attitudine difensiva e una grandissima etica del lavoro. Queste caratteristiche hanno portato perfino Tom Thibodeau – un allenatore storicamente diffidente verso i giovani – a concedergli minuti; il suo percorso di crescita è continuato quest’anno, quando anche Ryan Saunders – alla disperata ricerca di difensori sulle ali – gli ha dato fiducia.
Nonostante le scarse performance della squadra, Rosas e il suo staff considerano il progetto Okogie come meritevole di ulteriore sviluppo, perciò non è un caso che il nigeriano sia stato l’unico giocatore non rookie (oltre all’intoccabile Towns) a essere rimasto a roster dopo la girandola di scambi che ha coinvolto i Timberwolves. Salvo sorprese, Okogie dovrebbe essere il 3 titolare di Minnesota durante la prossima stagione: la sua capacità di difendere su più ruoli è fondamentale per cercare di tappare i buchi lasciati da Russell e Beasley, e probabilmente un quintetto con buone spaziature può essere abbastanza per mascherare i suoi evidenti limiti offensivi.
Il #20 dei Timberwolves ha mostrato grossi problemi al tiro (in carriera ha il 27.4% su 2.7 triple tentate a partita), e le speranze che migliori sensibilmente si stanno affievolendo col tempo. Nonostante queste difficoltà, il suo atletismo e discreto tocco vicino al ferro lo rendono un’arma interessante da utilizzare come tagliante, situazione in cui – nonostante i pochi possessi – lo scorso anno ha fatto registrare 1.43 punti per possesso, che lo collocano nel 78esimo percentile: un quintetto con lui, Towns, Russell, Beasley e Hernangómez potrebbe rappresentare la soluzione migliore per farlo diventare quantomeno neutro in attacco. Un’altra caratteristica che lo aiuta a rendersi utile è la sua grandissima capacità di andare a rimbalzo offensivo: tra i giocatori più bassi di 2 metri, Okogie è il sesto migliore per rimbalzi in attacco catturati, dietro solo a giocatori del calibro di P.J. Tucker, Zion Williamson e Russell Westbrook.
Come accennato in precedenza, la sua presenza però si fa sentire principalmente nella propria metà campo. Okogie ha fatto vedere qualche flash pazzesco come difensore sulla palla, specialmente sui giocatori più grossi (come James Harden, a cui rifilò una stoppata memorabile durante il suo primo anno), ma a mio parere la dimensione più intrigante è quella della difesa lontano dalla palla: grazie ai suoi istinti e al suo atletismo, potrebbe essere una forza della natura in aiuto e sulle linee di passaggio, intercettando palloni come un cornerback nel football e involandosi in contropiede. Anche per questo motivo è stato ipotizzato da più parti un suo utilizzo addirittura da 4, e il diretto interessato sembra avere le idee chiarissime in merito.
Okogie on playing the 4: Says he played the 5 when he was younger. Says he’s ready for a PJ Tucker role if they need it. “Let KAT play the 4, I’ll play the 5.”
— Jon Krawczynski (@JonKrawczynski) December 7, 2020
Anche se i miglioramenti offensivi in cui tanto sperano i tifosi dei Timberwolves non dovessero arrivare, grazie al suo skill set relativamente unico in questa squadra Josh vedrà il campo per parecchi minuti, portando il solito carico pesante di difesa, intensità, leadership vocale e giocate preziose. Ma se per caso il #20 dovesse diventare un giocatore quantomeno passabile in attacco, ricordatevi di non distogliere gli occhi da Okogie: potreste trovarvi davanti a un ottimo two-way player senza nemmeno rendervene conto.
Il miglior scenario possibile
I Minnesota Timberwolves che si presentano ai nastri di partenza della stagione 2020/21 sono indubbiamente migliori rispetto a quelli che all’esordio dell’anno scorso avevano battuto di misura i Nets a Brooklyn: pur avendo perso un pezzo importante delle rotazioni come Covington e avendo ipotecato parte del proprio futuro (con l’arrivo a Golden State di una scelta poco protetta al primo turno nel talentuosissimo Draft 2021), il roster ha fatto un balzo in avanti a livello di talento.
Russell e Beasley – fresco di estensione nonostante più di qualche problema extracampo – formano un backcourt dinamico che finalmente potrà permettere a Towns di non dover portare sulle proprie spalle tutto il carico offensivo; oltre a Okogie e Hernangómez – altro giocatore il cui contratto è stato esteso – che completano il quintetto, in panchina scalpitano gli altri giovani a roster, in primis quell’Anthony Edwards che poche settimane fa è stato chiamato (a distanza) come prima scelta assoluta da Adam Silver.
Con un gruppo di giovani così folto (e con Russell e Towns che non sembrano né pronti né in grado di svolgere le funzioni di leader vocali ed emotivi) era assolutamente necessario aggiungere qualche veterano che fosse rispettato in spogliatoio e che riuscisse a essere una guida per i giocatori più giovani: ecco quindi che entrano in scena Ed Davis e Ricky Rubio, acquisiti entrambi tramite scambi. Molti non lo sanno, ma Davis – pur non essendo più il centro di riserva grintoso e intenso di un tempo – è uno degli uomini spogliatoio più rispettati della lega, amico fraterno di giocatori come Damian Lillard e dello stesso D’Angelo Russell.
Del “ritorno a casa” – come lui stesso lo ha definito – di Ricky Rubio non c’è molto da dire: il playmaker spagnolo è sempre stato amatissimo dalla città e dai tifosi, che non hanno mai perdonato a Thibodeau lo scambio che l’ha portato lontano dal Minnesota e non hanno mai accettato completamente Jeff Teague, il suo sostituto designato. L’amore per Ricky è rimasto immutato per anni, e il front office dei Timberwolves ha cercato fin dal primo giorno di riportarlo in squadra: il tentativo dello scorso anno però non era andato a buon fine, con Rubio che aveva preferito accasarsi ai Phoenix Suns. Dopo un’ottima annata, lo spagnolo però è stato scambiato ai Thunder per arrivare a Chris Paul, e Rosas (con il benestare di Rubio stesso, finalmente convinto di voler tornare a Minneapolis) ha colto l’occasione per aggiungerlo a roster, ottenendo contemporaneamente un altro ball-handler di livello assoluto e una guida per i giovani.
L’apporto di Rubio e Davis sarà fondamentale per cercare di sviluppare l’immensa quantità di potenziale presente a roster. Anche in questa offseason, Rosas e il suo staff hanno cercato di ammassare quanto più talento possibile, soprattutto attraverso il draft: a ogni scelta il front office dei Timberwolves ha optato per il giocatore più futuribile disponibile in quel momento, e sono da leggere in questo senso le scelte di Jaden McDaniels e Leandro Bolmaro, con l’argentino che rimarrà almeno un altro anno al Barcelona prima di sbarcare in NBA.
Insieme ai nuovi arrivi, la presenza a roster di altri giocatori dal discreto potenziale come Jarrett Culver, Naz Reid e Jarred Vanderbilt rende un grattacapo immaginare come Ryan Saunders imposterà le rotazioni: molto probabilmente alcuni dei giocatori appena nominati passeranno gran parte della stagione in G League con gli Iowa Wolves, in maniera tale da poter giocare e migliorare senza la pressione di dover ottenere risultati.
Naturalmente gli occhi saranno puntati soprattutto su Anthony Edwards, la prima scelta assoluta al Draft 2020. A differenza di tanti prospetti scelti alla #1, Edwards arriva in una squadra – per quanto perdente – con gerarchie definite e in cui sono già presenti giocatori di livello assoluto; non dovrà caricarsi un’intera franchigia sulle spalle e avrà tempo per sbagliare e per imparare, soprattutto nella propria metà campo.
Coach Saunders dovrà cercare di metterlo più a suo agio possibile in campo, nascondendo quello che – almeno all’inizio – sarà verosimilmente un tiro ampiamente sotto la media e sfruttando i suoi punti di forza: uno di questi è sicuramente il concludere al ferro, perciò potremmo vedere chiamati alcuni schemi come quelli che si possono vedere in questa clip, fornitavi da un account talmente interessante che vi consiglio caldamente di seguire (un suggerimento ovviamente disinteressato).
Talvolta lo scorso anno Saunders ha usato questo backdoor di Wiggins su passaggio di KAT per trovare canestri facili al ferro.
— Daniele Sorato (@danielesorato_) December 11, 2020
Vorrei vedere la stessa cosa (ripetuta più spesso) con Edwards da tagliante, così da sfruttare il suo finishing e garantirgli punti facili. pic.twitter.com/gpnP7oLK8n
Il miglior scenario possibile per questa squadra equivale all’accesso ai playoff o comunque alle partite di play-in: stendendo un velo pietoso sulla difesa, che ad oggi è di livello infimo e che – se il roster dovesse rimanere grossomodo questo – non sarà mai di buon livello, Russell e Towns dovranno dimostrare di poter guidare un attacco tra i migliori della lega, aiutati dai tanti buoni interpreti che li circondano.
Molto dipenderà però dall’apporto dei giovani citati sopra, specialmente Edwards e Okogie: se riusciranno a impattare le partite in maniera positiva fin da subito, questa squadra potrà puntare a togliersi qualche soddisfazione, nonostante una Western Conference strapiena di talento; se invece dovessero essere ancora troppo grezzi, l’unica possibilità sarà quella di aspettarli per un altro anno e puntare tutto sulla prossima stagione. È vero, questo sarebbe l’ennesimo rinvio dei sogni di gloria all’anno successivo, ma l’idea di poter effettivamente sperare di raggiungere qualche obiettivo è già una sensazione piacevole per i tifosi dei Timberwolves, abituati a più di un decennio di pessima gestione.
Il peggior scenario possibile
Per immaginare lo scenario peggiore per Minnesota non serve un grande sforzo: basta pensare alla stagione appena passata, in cui l’illusione di una buona partenza era stata presto spazzata via da sconfitte e soprattutto infortuni. I giovani dei Timberwolves – Culver su tutti – si erano dimostrati ancora troppo grezzi per poter avere tanti minuti, e il timore che quest’anno possa accadere la stessa cosa è fondato. Anthony Edwards ha compiuto 19 anni da pochissimo ed è ancora molto lontano dall’essere un giocatore NBA fatto e finito: questo aspetto si sposa molto male con una franchigia che non ha tutto il tempo del mondo a propria disposizione e con una lega in cui basta pochissimo per farsi rifilare l’appellativo di bust.
L’obiettivo del front office è sempre stato quello di prepararsi nel modo migliore possibile per andare all-in nella stagione 2021/22, ma è necessario cominciare a raccogliere qualcosa di ciò che si è seminato, soprattutto in virtù del fatto che la prima scelta al Draft 2021 è in mano ai Golden State Warriors e tornerebbe ai Timberwolves solamente se fosse in top 3. Non ci sono dubbi che l’attacco sarà quantomeno tra i migliori quindici della lega, ma il problema grosso è la difesa: troppi dei giocatori in rotazione sono difensori terribili e probabilmente la presenza di Rubio, Okogie e anche dello stesso Culver non sarà abbastanza per coprirli.
Oltre a ciò, nonostante i ripetuti tentativi in free agency e tramite scambi, Rosas e il suo staff non sono riusciti a portare nel Minnesota un 4 titolare da affiancare a Towns: nella lista erano presenti parecchi nomi (Derrick Jones Jr., Jae Crowder, JaMychal Green, P.J. Tucker e Larry Nance Jr., tanto per citarne alcuni), ma alla fine i Timberwolves si ritrovano costretti ad accontentarsi di Juancho Hernangómez.
Lo spagnolo è sicuramente un discreto giocatore e il suo fit offensivo con Towns è ideale, ma in difesa non è abbastanza per sopperire alle mancanze del centro dominicano, che al suo fianco avrebbe bisogno di un’ala grande in grado di cambiare sui giocatori più piccoli e di proteggere il ferro. Come se non ciò bastasse, il #32 dei Timberwolves in questo momento ha altro a cui pensare, qualcosa che va ben oltre la pallacanestro.
Il COVID ha colpito duramente la famiglia della stella di Minnesota, a cui – oltre a sei parenti – è venuta a mancare la madre, una figura importantissima (per quanto sia superfluo dirlo) e un vero e proprio punto di riferimento. Durante questi mesi Towns ha preferito rimanere silenzioso, affidando le sue uniche parole a due video pubblicati sul suo canale YouTube; pochi giorni fa KAT è tornato a parlare coi giornalisti in occasione della media week e, inevitabilmente, il principale argomento di conversazione non è stato il basket. In un discorso da brividi, Towns ha ricordato quanto la sua famiglia sia la vera ragione per cui gioca a pallacanestro, e di come tornare in campo difficilmente sarà terapeutico.
Il dolore che la stella dei Timberwolves sta provando da mesi a questa parte è inimmaginabile: quando accadono cose di questo tipo, il basket passa giustamente in secondo piano, perciò credo che nessuno gli rimprovererà nulla se per caso dovesse avere la testa da un’altra parte, anche se dovesse significare avere a disposizione per tutta la stagione l’ombra del giocatore che era prima.
I lutti familiari accomunano Towns a molti membri dei Timberwolves: Anthony Edwards perse la madre e la nonna a 14 anni, Ricky Rubio meditò di lasciare il basket dopo la morte della madre di qualche anno fa e Ryan Saunders ha raccontato più volte quanto sia stato difficile riprendersi dal lutto per la morte di suo padre Flip, colui che da executive prese KAT con la prima scelta assoluta nel Draft 2015. Il #32 ha avuto e avrà il pieno supporto dei compagni, degli allenatori e dell’organizzazione, e sicuramente il clima familiare che lo circonda potrà aiutarlo nel complicatissimo percorso di ripresa da un trauma così grave.
Previsione finale
Seguire assiduamente i Timberwolves e non farsi sopraffare dal pessimismo è qualcosa di estremamente complicato, ma – lasciando da parte la scaramanzia – obiettivamente anche quest’anno la squadra non è abbastanza attrezzata per competere per un posto ai playoffs. In giro per la lega si registra un insolito ottimismo per quanto riguarda Minnesota, che però a mio parere è quantomeno velleitario; per complicare ulteriormente le cose, la preseason ha dimostrato una condizione fisica e atletica ancora precaria, indubbiamente un lascito dei tanti mesi di lontananza dal parquet.
In squadra sono presenti tantissimi giocatori con potenziale, ma la loro scarsa esperienza unita ai già citati problemi strutturali del roster non fanno ben sperare. Verosimilmente la stagione 2020/21 sarà un’altra annata di transizione, in cui sarà importante non farsi scoraggiare dai probabili risultati negativi che arriveranno e cercare di aggiungere altri mattoncini alla costruzione cominciata un anno e mezzo fa.
La speranza che si sviluppino i giovani però non porta a vittorie concrete nell’immediato, perciò la mia personalissima (e speriamo anche sbagliatissima) previsione salvo infortuni è quella di un dodicesimo o tredicesimo posto nell’ultracompetitiva Western Conference. Lieto di sbagliarmi eventualmente, ma le criticità sono ancora troppo gravi per poter puntare a un risultato migliore.