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Giannis Antetokounmpo e la rivincita degli small market

Francesco Cellerino by Francesco Cellerino
18 Dicembre, 2020
Reading Time: 10 mins read
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Giannis small market

Copertina a cura di Nicolò Bedaglia

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Dopo mesi e mesi di speculazioni, fiumi d’inchiostro, dichiarazioni criptiche o di circostanza e presunte voci di corridoio, Giannis Antetokounmpo ha sciolto le riserve, decidendo di continuare la sua storia d’amore con i Milwaukee Bucks. Tanti sono rimasti delusi, dalle squadre che speravano di portarsi a casa il jackpot nell’estate 2021, Mavericks e Heat in primis, ma anche Raptors, Golden State e chi più ne ha più ne metta, ai giornalisti, che puntavano sulla free agency di Giannis per riempire le pagine dei propri quotidiani, ma stavolta ha incredibilmente trionfato uno small market.

We want your reactions!!

Send a message to Giannis here: https://t.co/ANdfsZDf3B

— Milwaukee Bucks (@Bucks) December 16, 2020

Nonostante tutte le sue dichiarazioni d’amore e di lealtà nei confronti dei Bucks e di Milwaukee, la sua voglia di vincere sembrava poterlo spingere verso altri lidi più competitivi e attraenti, e le delusioni patite negli ultimi anni di certo non pendevano a favore dei Bucks. Le ultime mosse della dirigenza sono sembrate infatti un vero e proprio disperato all-in per convincerlo a rinnovare, ipotecando gran parte del futuro della franchigia nella trade per Holiday, ben sapendo che giocatori come Antetokounmpo passano una volta nella vita, specialmente sulla sponda ovest del lago Michigan.

La decisione di Giannis va controcorrente rispetto alla tendenza che si sta creando nella lega, che spesso porta i giocatori più forti a compiere scelte impopolari, unendosi alle franchigie più competitive per conquistare il tanto agognato anello. Spesso a farne le spese sono le squadre dei cosiddetti small market, città poco attraenti per i free agent e quindi destinate alla mediocrità, nonostante le regole della NBA cerchino di garantire un certo equilibrio tra le franchigie coi meccanismi del draft e del salary cap.

Gli stessi Bucks hanno provato sulla propria pelle la crudeltà di questa realtà, trovandosi a dover accettare gli addii di due dei giocatori più forti della storia della franchigia, Kareem Abdul-Jabbar (allora ancora Lew Alcindor) e Ray Allen, che per motivi diversi hanno scelto di allontanarsi da Milwaukee appena possibile. Il rinnovo di Antetokounmpo è quindi il simbolo della rivincita delle franchigie solitamente condannate a guardare dal basso i successi delle squadre avversarie, e chissà che il suo gesto non possa spingere altri campioni a seguire il suo esempio e a cercare di dare il massimo per rendere competitive le piccole città che li hanno accolti a braccia aperte nella speranza di aprire un ciclo vincente.

 

L’approdo in NBA

Nel valutare la scelta del due volte MVP verrebbe naturale fare un confronto con Anthony Davis, un anno più vecchio della stella greca e che proprio l’estate scorsa si è trovato a dover decidere nel pieno della sua carriera se legare il proprio futuro a quello dei Pelicans con un supermax o se andare a cercare gloria altrove. La storia la conosciamo tutti: dopo un lungo tira e molla con la franchigia della Louisiana, The Brow si è unito ai Lakers di LeBron, vincendo agevolmente il titolo NBA nella bolla di Orlando e legittimando pienamente la sua scelta dal punto di vista dei risultati. La sua situazione e quella di Antetokounmpo sono però molto più diverse da quanto potrebbe sembrare a prima vista: se entrambi sono arrivati al momento della grande scelta da giocatori più ambiti della lega, le loro storie sono iniziate in modo molto diverso.

Non va dimenticato infatti che Anthony Davis si è presentato al Draft 2012 come prima scelta annunciata, dopo aver trascinato i suoi Kentucky Wildcats alla vittoria del titolo NCAA: gli allora Hornets sapevano di avere tra le mani un giocatore generazionale e non si sono lasciati sfuggire l’occasione di sceglierlo. La strada in NBA di Giannis si è invece sviluppata in modo molto meno lineare, pur essendosi ritrovato anche lui in uno small market. Del passato difficile di Antetokounmpo in Grecia si è parlato anche troppo, dal suo passato come venditore ambulante per aiutare la sua famiglia a sopravvivere, al passaporto greco ottenuto anche grazie all’aiuto di Masai Ujiri per mettere fine agli anni vissuti da apolide, e anche il suo percorso cestistico è stato tutto fuorché “ortodosso”.

Nonostante fosse già sui taccuini di molti scout europei e Zaragoza avesse praticamente messo le mani su di lui, al momento del Draft 2013 l’unica esperienza nel basket professionistico sul suo curriculum era una stagione nella A2 greca, di certo non considerata una garanzia, soprattutto in ottica NBA.

Diverse franchigie avevano visto in lui un intrigante progetto a lungo termine, ma a chiamarlo è stato il GM di Milwaukee John Hammond con la scelta numero 15, al tempo considerata come una reach, ovvero troppo alta rispetto al reale valore del giocatore. I Bucks si trovavano alla fine di un ciclo, erano stati eliminati per 4-0 al primo turno dei playoffs dagli Heat (nonostante il celeberrimo pronostico “Bucks in six” di Brandon Jennings) e avevano anche sacrificato sull’altare della competitività il promettente Tobias Harris, per ottenere pochi mesi di J.J. Redick in cambio.

Pur essendo una squadra offensivamente divertente, era evidente che fosse necessario un nuovo inizio per smuovere le acque: via quindi in sign & trade Brandon Jennings in cambio di Khris Middleton (ancora lontano parente del giocatore attuale) e Brandon Knight, addio anche a Monta Ellis, per il quale solo due anni prima era stato sacrificato Bogut e a coronare il tutto anche un cambio di guida tecnica, con la squadra affidata a Coach Larry Drew. La ricostruzione non sarebbe potuta partire con una scelta molto alta al draft per via dei discreti risultati di squadra, e in generale la classe del 2013 non sembrava particolarmente carica di talento, quindi perché non rischiare? Il potenziale di Antetokounmpo e il suo fisico incredibile lo rendevano di certo un prospetto molto interessante, ma per svilupparsi e diventare un buon giocatore NBA avrebbe avuto bisogno di tanto tempo e possibilità di sbagliare senza pressione.

 

Giannis e Milwaukee

Il “sogno americano” di Giannis comincia quindi nell’umida Milwaukee del 2013, in una squadra con pochissime ambizioni, che arriverà ultima nella Eastern Conference, ottenendo in dote al Draft 2014 Jabari Parker. Quante volte nel commentare un draft si è parlato di “progetti a lungo termine”, ovvero giocatori potenzialmente molto promettenti, ma ancora troppo grezzi per potersi imporre nella lega? Ma soprattutto, quanto dura effettivamente la pazienza delle franchigie e dei loro tifosi nei confronti di giocatori ancora acerbi, che quindi hanno bisogno di essere tutelati e accompagnati passo dopo passo nella loro crescita?

Ecco, la prima fortuna di Antetokounmpo è stata questa: i Bucks si sono presi un rischio e hanno scelto di giocarsi le proprie carte fino in fondo, proteggendo il loro giovane talento dalle pressioni dell’ambiente esterno e da vari opinionisti che già lo consideravano sopravvalutato e inadatto al livello NBA, permettendogli di crescere e sbagliare liberamente. La città di Milwaukee l’ha adottato, facendolo sentire a casa fin dal primo giorno, come testimoniato da episodi come il famoso passaggio ricevuto da un tifoso quando nei primi tempi aveva spedito tutto il suo stipendio alla famiglia, non avendo più neanche i soldi per una corsa in taxi.

La franchigia ha anche dimostrato una grande comprensione nei suoi confronti quando la sua giovane età e la sua voglia di vincere lo hanno portato a comportamenti sopra le righe, come ad esempio nella Caporetto di Gara 6 nei Playoffs 2015 contro i Bulls, quando la frustrazione per l’eliminazione ormai certa ha preso il sopravvento e Antetokounmpo si è scagliato contro l’ex Bucks Mike Dunleavy, spedendolo di peso fuori dal campo senza troppi complimenti.

In generale Milwaukee ha provato a crescere insieme a lui, cercando di operare sul mercato in modo da metterlo nelle migliori condizioni possibili in campo. Di anno in anno la franchigia si è mossa in questa direzione, riuscendo prima ad attrarre un free agent molto ambito come Greg Monroe (esperimento miseramente fallito), tentando poi di cambiare filosofia e inseguire un tipo di basket più moderno, scegliendo al Draft 2016 un prototipo di lungo tiratore come Thon Maker (purtroppo anche lui molto deludente) e in generale cercando di circondare di tiratori la propria stella per facilitarne le penetrazioni. Non va dimenticato l’esperimento di Coach Kidd, che ha provato a mettere le chiavi del gioco della squadra in mano a Giannis come playmaker: i risultati non sono stati particolarmente buoni, ma la sua crescita è passata anche da queste situazioni.

I Bucks hanno senza dubbio sbagliato tanto, ma hanno sempre accettato di prendersi dei grossi rischi per cercare di mettere a proprio agio il loro potenziale campione, nonostante tutte le difficoltà del caso. Questa filosofia non è cambiata neanche in un contesto come quello dei playoffs, dove spesso Antetokounmpo è stato bersagliato dalle critiche, che l’hanno individuato come principale responsabile dei fallimenti della compagine del Wisconsin. La franchigia l’ha lasciato libero di sbagliare, dall’episodio con Dunleavy a gara 6 con Toronto nel 2017, in cui Giannis da leader designato della squadra ha avuto tra le mani l’ultimo possesso della partita, ma con 3 punti di scarto ha scelto di penetrare per cercare i 2 punti, sancendo l’eliminazione sua e dei suoi compagni.

Un ultimo esempio è legato proprio agli ultimi playoffs: dopo l’infortunio patito in gara 4 contro Miami e con l’eliminazione a un passo, Giannis avrebbe voluto giocare la partita decisiva a tutti i costi, nonostante le precarie condizioni fisiche. I Bucks glielo hanno impedito, accettando l’eventualità di un’eliminazione pur di non rischiare di compromettere le condizioni del loro miglior giocatore: il due volte MVP ci è rimasto male, ma successivamente ha anche espresso grande gratitudine per una franchigia che – nonostante avesse tutto da perdere – ha deciso di mettere davanti a tutto la sua salute.

Se oggi ci riferiamo a Giannis come The Greek Freak, con due MVP di fila all’attivo, un premio come Most Improved Player e uno come Defensive Player of the Year, il merito è anche dei Bucks e dei loro sforzi per rendere il più competitiva possibile la squadra, pur essendo uno small market, fino al salto nel vuoto di poche settimane fa, in cui la franchigia ha ipotecato il proprio futuro per prendere Jrue Holiday. Nonostante la sua insaziabile voglia di vincere, Antetokounmpo si è reso conto del fatto che i Bucks vorrebbero vincere il titolo tanto quanto lui, pur con tutti i loro limiti, ma soprattutto è consapevole del fatto che vincere con la maglia di Milwaukee addosso, a più di 50 anni dall’ultima volta e senza essersene andato in cerca di un contesto competitivo, lo consacrerebbe tra i più grandi della franchigia e lo legittimerebbe definitivamente tra i mostri sacri della lega.

Ecco perché in realtà le storie di Davis e di Giannis sono in realtà molto più diverse di quanto non potrebbe sembrare: entrambi si sono (quasi) affacciati alla free agency da superstar affermate, ma il loro percorso all’interno delle franchigie è stato molto diverso. Davis è stato fin da subito il “salvatore della patria”, mentre Antetokounmpo è cresciuto insieme ai Bucks, condividendo vittorie e passi falsi fino a diventare quello che è adesso: dire addio alla città di Milwaukee avrebbe significato interrompere un bellissimo percorso di sette stagioni vissute fianco a fianco, e se da un lato avrebbe (forse) aumentato le speranze di vincere un titolo per la stella greca, dall’altro avrebbe rappresentato una sconfitta per la NBA.

“I want to be here. I want to help my teammates. I want to help this organization win a championship.” pic.twitter.com/ZHgEiTvI8p

— Milwaukee Bucks (@Bucks) December 17, 2020

 

La rivincita degli small market

Solo pochi anni fa, dopo lo scioccante trasferimento di Kevin Durant a Golden State, la lega ha introdotto il cosiddetto supermax per permettere alle franchigie di offrire contratti più ricchi delle concorrenti ai propri giocatori per trattenerli, nella solita ottica del cercare di equilibrare la lega. Finora però questo strumento si è rivelato un’arma a doppio taglio: molti small market si sono trovati a dover rinnovare a cifre folli i propri giocatori pur di non perderli, intasando irrimediabilmente il salary cap, o a perderli dopo avergli offerto cifre più contenute, a quel punto in linea con quelle del mercato e quindi non abbastanza invitanti da spingerli a rimanere.

Antetokounmpo chiaramente non è il primo esempio di giocatore leale a una franchigia non di vertice: negli ultimi anni ci sono stati altri giocatori, come ad esempio Lillard e Westbrook (nonostante la piega che ha poi preso la sua carriera), che hanno scelto di legare il loro futuro a quello di Blazers e Thunder, ma la scelta di Giannis è comunque storica. Non capita tutti i giorni sul mercato un due volte MVP nel suo prime e letteralmente ogni franchigia avrebbe fatto carte false per averlo: sono anni che molti front office lavorano per liberare spazio salariale in vista dell’estate 2021, cercando contemporaneamente di creare un sistema adatto alle caratteristiche di Antetokounmpo.

L’intera NBA esce vincitrice da questa situazione: una maggiore diluizione del talento rende il prodotto globalmente più interessante. Ma soprattutto, la firma di Giannis dà un’iniezione di speranza a tutti gli small market, che potrebbe diventare ancora più evidente in caso di vittoria del titolo a Milwaukee nei prossimi anni: per poter competere con le squadre più blasonate serve ovviamente talento, ma una volta ottenuto tramite il draft, bisogna rischiare il tutto per tutto. I Bucks l’hanno fatto, e se Antetokounmpo avesse deciso di non rinnovare si sarebbero trovati nuovamente nella mediocrità, senza neanche le proprie scelte al draft per risollevarsi. La storia per fortuna non si fa con i “se”: Giannis rimarrà a Milwaukee, e state certi che lui e i Bucks lotteranno per anni col coltello tra i denti per provare a vincere il titolo e interrompere il mezzo secolo di digiuno nel Wisconsin.

Tags: giannis antetokounmpoJon HorstKhris MiddletonMilwaukee Bucks
Francesco Cellerino

Francesco Cellerino

Tifoso sfegatatissimo della Virtus Roma e dei Bucks per amore di Brandon Jennings (di cui custodisce gelosamente l'autografo), con la pessima abitudine di simpatizzare le squadre più scarse e rimanerci male per le loro sconfitte. Gli amici si chiedono da anni se sia masochista o se semplicemente porti una sfiga tremenda...

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