Ciao, sono Carlo Perotti e in questa nuova rubrica di The Shot cercherò di portarvi nomi, luoghi, impressioni sul variegato mondo delle Università americane. Un Osservatorio in cui vi indicherò qualche nome, magari non troppo conosciuto, di giocatori da seguire o di coach da ammirare e possibilmente anche qualche polemica per non esser mai allineato coll’orrendo pensiero del Politicamente Corretto. Il tutto per imparare a conoscere un mondo che ha vita a sé stante e non va letto solo ed esclusivamente come ludico interludio prima della NBA od una carriera oltreoceano.
Non vi dilungherò sulle caratteristiche di questo o quel giocatore ma vi lascerò piccoli spunti su cui poi potrete voi direttamente indagare e forse non a caso in questa prima puntata parlerò poco di freshmen che portano hype e potenziale ma anche il Kaos e molto di upperclassmen che invece portano l’esperienza e la conoscenza del sistema che serve per vincere.
Palla a due. Si parte…
Gran Canyon University
Sempre uno spasso seguire Gran Canyon University, ricca università privata di Phoenix con l’ambizione di diventare la Gonzaga del deserto. Presentano la solita autoproduzione televisiva di alto livello con Scott Williams, ex centro di Airness Jordan ai tempi dei Bulls, come broadcaster mentre Bryce Drew, ex eroe di Valparaiso e delusione come coach a Vanderbilt, si siede in panchina al posto di Thunder Dan Majerle, esonerato la scorsa stagione.
Per le norme anti-covid sugli spalti alcuni fortunati studenti vengono mixati con centinaia di personaggi cartonati fra i quali individuiamo, oltre a sedicenti tifosi, il rettore dell’università, Shreck, la famiglia Incredible ed Elvis. In campo il leader è invece il nostro Alessandro Lever che gioca stabilmente da “4”, ora attacca anche dalla linea dei tre punti e non solo dal post basso, ha accresciuto di 10 chili la sua massa muscolare ed al suo futuro ritorno in LBA italiana sarà pronto per una squadra di alto livello essendo uno dei pochi lunghi futuribili del basket tricolore.
Al suo fianco poi agisce uno di quei personaggi mitologici che tanto amiamo: si chiama Asbjoern Midtgaard che potremmo tradurre dal danese in “Come Orso nel Giardino di Mezzo” tuffandoci in aneddotiche Tolkeniane mentre gli americani lo chiamano – con scarsa fantasia – “the Great Dane” ovvero l’Alano. Peraltro, l’orsacchiotto da Helsingoer è pure alto sette piedi ed ha più che discrete mani nonostante tutta la rigidità nei movimenti che ci si aspetta da un giocatore di quella stazza.
Duke, Kentucky e North Carolina in difficoltà
In quest’inizio di stagione ci sono tre major decisamente in difficoltà: Duke, Kentucky e North Carolina. I Blue Devils di coach K sono ben lontani dall’essere una squadra vera, la nidiata di freshmen annovera Jalen Johnson – ala di classe ed unico NBA ready – DJ Stewart che ha talento ma è una shooting guard nel corpo di un point guard ed una serie di progetti a medio-lunga durata come Jaemyn Brakefield, Jeremy Roach, Coleman III e Mark Williams mentre fra i reduci della scorsa stagione Matt Hurt sta cercando di caricarsi la squadra sulle spalle pur confermando tutta la sua leggerezza quando va a subire i contatti sotto canestro mentre Wendell Moore è una gran delusione.
La sensazione è che Duke sia dinanzi ad una stagione di transizione. Kentucky è quella messa peggio, un’accozzaglia di giocatori che vagano per il campo col solo Terrence Clarke e qualche sprazzo del play Askew mentre Brandon Boston Jr è partito smargiasso tirando (male sotto il 40% dal campo 16% da 3) qualsiasi pallone gli capitasse fra le mani per poi impaurirsi ed apparire un coniglietto bagnato contro la zona adattata di Josh Pastner e la sua GTech, considerato un sicuro one & done al momento bisogna aver tanta fantasia per fidarsi del suo talento.
In fondo quella messa meno peggio pare Carolina che pur confermando i suoi difetti come poco tiro da fuori (meno del 30% da tre) con l’atteso freshman Caleb Love che tira tanto – oseremmo dire troppo e con percentuali sin qui oscene – e la mancanza di un play vero a dirigere le operazioni. Però i Tar Heels sono proprio grossi con sei giocatori attorno ai due metri e dieci e tutto sommato cercano di giocare in modo ordinato con il buon senior (ma non fenomenale) Garrison Brooks a dare l’esempio.
Villanova non delude mai
Villanova – entrata nel ventennale sulla panchina di Jay Wright – è la solita squadra rocciosa e pure un po’ noiosetta capace di portare a gloria l’ateneo di Philadelphia seguendo i dettami del loro santone in panchina. Chi però la guida in campo invece è un playmakerino tutto fosforo e pochi muscoli di nome Collin Gillespie che da bravo senior ha il totale controllo dei ritmi da imporre alla gara, non ha la personalità di un Peyton Pritchard ma dopo un ottimo impatto nella stagione monca scorsa è pronto a riprendere il discorso ed essere il floor general dei Wildcats come al solito pronti a dominare la Big East e poi a rendersi insidiosi al Torneo NCAA, se ci sarà ed in qualsiasi formula verrà giocato.
E se Gillespie è la mente invece il braccio è il sophomore Jeremiah Robinson-Earl, ala forte al secondo anno in grado di stazionare sul perimetro grazie al suo tiro piazzato ma pure capace di attaccare il ferro coi suoi setosi ed eleganti duecento quattro centimetri.
Sandro Mamukelashvili è il nome più bello del college basketball
Viene dall’amata Georgia – lo stato caucasico non lo stato delle pesche americano – che ha dato i natali agli adorati Manuchar Markoishvili e Zaza Pachulia, è pure passato dal Belpaese a Biella sotto le sapienti mani di Federico Danna e nella scorsa estate – oltre ad allenamenti fisici sulla sabbia da sceneggiatura hollywoodiana – ha rinunciato al draft NBA per tornare nei Pirates di Seton Hall per il suo anno da senior.
L’impatto di Sandro Mamukelashvili, di gran lunga uno dei nomi più belli dell’orbe terracqueo, è stato deflagrante: ala mancina di due metri e undici per cento nove chili, ha stazza, mani dolci anche nel passare la boccia, rapidità in campo ed estensione del tiro oltre la linea dei tre punti che lo rendono l’epigono dell’ala forte moderna e futura scelta NBA.
La concretezza di Bobby Hurley
Bobby Hurley non è mai stato un esempio di bellezza estetica ed eleganza, ma semmai di fosforo e concretezza sia in campo come play di Duke che poi come giovane e lanciatissimo coach ma vederlo alle prese con senili problemi di gestione della mascherina con tanto di orecchie a sventola e schiacciate alla Giulio Andreotti ci ha fatto molto ridere… la sua Arizona State invece si conferma come squadra atletica e ben messa in campo e Hurley è il motivo principale per cui Josh Christopher, guardia molto considerata e desiderata alla high school, ha scelto i Sun Devils tralasciando il fatto che ad ASU gioca già Caleb, il fratellone più scarso, che così porta il primo 5 stelle a Tempe da tempi di James Harden e forse non casualmente la guardia di 1.95 ha scelto la maglia numero 13.
E talento ce ne è parecchio, tanto che al suo esordio al college ne ha inchiodati 28 alla difesa di Villanova col 64% al tiro ed il 60% da tre… con lui un altro fratello minore sta facendo bene ad ASU, si chiama Marcus Bagley, è un’ala forte di 2.04 ed è il fratello di quel Marvey Bagley III transitato da Duke ed ora mezza delusione nella NBA col marchio infamante di esser stato chiamato a Sacramento invece di Luka Dončić. Nel caso di Marcus – pure lui freshman – non troviamo quel tipo di talento da farne un one and done e chiamata di lotteria ma certamente c’è del talento su cui lavorare proficuamente specialmente perché el jefe in campo è il favoloso play Remy Martin, nome da champagne e personalità altrettanto effervescente.
Jason Preston è la possibile Cenerentola dell’anno
L’effetto Cindarella è da sempre uno dei motivi principali per cominciare a seguire il college basketball e Jason Preston, point guard di Ohio, è il candidato a Cenerentola dell’anno. Alla high school era sei piedi scarsi e segnava due punti di media, destinato ad andare a studiare a Central Florida come semplice studente senza nemmeno velleità da walk on viene invece notato ad un torneo AAU e portato in una prep school. In questa prep school ci sono quattro squadre divise per livello, lui finisce nella squadra C dove finiscono quelli con ben poca speranza di crescita.
Ed invece gioca bene, viene promosso alla B, gioca bene pure lì e viene promosso alla A ma per esser retrocesso di nuovo alla C dove in una partita mette a segno una tripla doppia. Si autoproduce allora un video di quella gara, lo mette su Twitter e grazie a questo video riceve una chiamata da Ohio ed una da Longood scegliendo i Bobcats. Nel frattempo, è cresciuto di quattro pollici e dopo solo otto partite Preston diventa il play titolare già da freshman. Ora al suo anno da junior sta scintillando e contro la titolata e ben considerata Illinois ha fatturato 31 punti 6 rimbalzi ed 8 assist. Se non è una bella storia questa…
Brady Manek, baffoni e rimbalzi
Capello alla Anton Chigurh, baffoni spioventi ed occhio ceruleo… direttamente dalla fine degli anni Settanta ecco Brady Manek ala forte di 2.05 di Oklahoma che nel triennio precedente ha sempre viaggiato in doppia cifra per punti segnati e discrete percentuali al tiro e numeri a rimbalzo ma è esploso nella partita della vita contro Texas San Antonio con 29 punti in 25 minuti ed 8 su 11 dal territorio di Larry Bird. Ecco a parte la vaga somiglianza fisica e l’esplosione al tiro qui non orbitiamo alle altezze di Larry Legend ma semmai su quelle di qualche squadra di leghe europee di secondo livello o sudamericane ma con quel look da poliziesco alla Starsky & Hutch siamo completamente rapiti da questo Sooner.
Luka Garza sta dominando
Secondo molti avrebbe meritato il Wooden Award già lo scorso anno ma crediamo sia il caso di mandare già in Iowa il premio per il 2021 per depositarlo nelle mani sante di Luka Garza che prime partite stagionali viaggiava a quasi 30 di media… nel primo tempo (!). Il sosia di “Pilone” Tuperello (Porky’s – Questi pazzi pazzi porcelloni! 1982 diretto dal maestro dei B-Movies Bob Clark) ha il footwork di Dino Radja, le mani dei fratelli Gasol ed il corpo di Bill Laimbeer che porta su e giù per il campo con commuovente ostinazione, ma il suo pezzo forte è la capacità di anticipare mentalmente la direzione del passaggio dentro creando angoli di passaggio e finendo coll’essere sempre ben posizionato senza perder tempo a sgomitare, un’altra antica arte che Garza sa maneggiare con saggezza.
Poi venite pure a dirmi che non può giocare nella Silver League perché non è esplosivo… ma chi se ne frega?! Garza è la pallacanestro ed è esattamente il motivo per cui da anni seguiamo il college basketball.