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Gallinari, Melli e Mannion, l’NBA parla anche italiano

Davide Fumagalli by Davide Fumagalli
10 Dicembre, 2020
Reading Time: 10 mins read
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italiani in NBA, mannion, melli, gallinari

Copertina a cura di Edoardo Celli

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Per la 15esima stagione consecutiva, dalla 2006-07 in cui Andrea Bargnani partiva coi Toronto Raptors da prima scelta assoluta al Draft, l’NBA potrà contare su almeno un rappresentante proveniente dall’Italia, sia come passaporto, sia come formazione cestistica. Alla prima palla a due del campionato 2020-21 prevista per il prossimo 22 dicembre, saranno tre i “moschettieri” azzurri, ovvero Danilo Gallinari, Nicolò Melli e Nico Mannion, il rookie che ha firmato un two-way contract coi Golden State Warriors.

Il figlio dell’ex canturino Pace va a occupare la casella lasciata vuota da Marco Belinelli che, dopo 13 stagioni negli States, ha deciso di tornare a casa e firmare un contratto di 3 anni con la Segafredo Virtus Bologna, convinto dalla mancanza di offerte concrete e stimolanti durante la free agency.

Proverà a strappare un contratto anche Paul Eboua, il talentuoso prospetto del Camerun, cresciuto in Italia nella academy della Stella Azzurra Roma (il “vivaio” da cui è uscito anche Bargnani), che non è stato chiamato all’ultimo draft ma che ha strappato un “Exhibit 10” con i Miami Heat e cercherà durante il training camp di convincere la franchigia vice campione NBA a dargli un contratto.

Thank you, @marcobelinelli! pic.twitter.com/0pTk3r6eat

— San Antonio Spurs (@spurs) November 27, 2020

Prima di entrare nel dettaglio dei singoli protagonisti, meritano una menzione “altri” italiani che popolano la NBA. Sergio Scariolo, da anni ormai C.T. della Spagna, inizierà la sua terza stagione da assistente ai Toronto Raptors al fianco di Nick Nurse, coach of the year per il 2019-20: non avrà più gli “amici iberici” Marc Gasol e Serge Ibaka, volati entrambi a Los Angeles, ma non ci sono dubbi che l’ex allenatore dell’Olimpia Milano fra le altre saprà rendersi utile e prezioso, in particolare con le sue difese miste e a zona.

Riccardo Fois sarà per il secondo anno nello staff di Monty Williams ai Phoenix Suns col ruolo di “Director, player development”, allenatore dedicato allo sviluppo individuale dei giocatori: i Suns partono con grandi ambizioni e sarà fondamentale la crescita a livello individuale di ragazzi come Mikal Bridges, DeAndre Ayton e il rookie Jalen Smith per poter ambire ad un posto di rilievo nella griglia playoff.

Infine Matteo Zuretti, 40 anni, romano di base a New York, che è un membro fondamentale della NBPA, il sindacato dei giocatori: lui ha il ruolo di “Chief International Relations and Marketing” e sostanzialmente è il riferimento per tutti i giocatori non-americani presenti nella lega. Insomma, tra giocatori, allenatori e dirigenti, l’Italia non si fa mancare proprio nulla nel campionato di pallacanestro più importante e seguito al mondo.

 

Danilo Gallinari e la nuova vita ad Atlanta

Andiamo subito al punto: la decisione di Danilo Gallinari di firmare per 3 anni a 61.5 milioni di dollari con gli Atlanta Hawks (terzo anno parzialmente garantito) ha fatto storcere il naso a tanti e ha innescato parecchie polemiche, quasi tutte al di qua dell’oceano. C’era la convinzione che a 32 anni il “Gallo” volesse giocare in una contender e si fosse accontentato di un annuale a cifre di saldo pur di tentare l’assalto al titolo, e invece ha scelto un accordo lungo e remunerativo per massimizzare quelli che sono gli ultimi o i penultimi anni di carriera in NBA. Da quello che è emerso le proposte vere sul tavolo erano due, quella di Atlanta e quella dei Detroit Pistons, e a quel punto è condivisibile che abbia preferito un progetto ambizioso e con giovani talenti in rampa di lancio come quello degli Hawks.

L’azzurro viene da una stagione positiva agli Oklahoma City Thunder in cui ha giocato 62 gare di regular season e 9 di playoffs, viaggiando ad oltre 18 punti e 5 rimbalzi di media col 44% dal campo e il 40.5% da tre in 30′ (15 punti col 32% dall’arco in post season). Soprattutto è reduce da due stagioni praticamente senza infortuni e questa è una cosa certamente importante per un ragazzo che in carriera ha dovuto spesso fare i conti con problemi fisici, gravi o meno gravi.

? New adventure! @ATLHawks #TrueToAtlanta pic.twitter.com/vozbPCnAAK

— DANILO GALLINARI (@gallinari8888) November 25, 2020

Ad Atlanta partirà dalla panchina. Lui e Rajon Rondo saranno i veterani che entreranno a gara in corso ed è tutt’altro che escluso che saranno sul parquet nei finali, a maggior ragione se in equilibrio. Il “Gallo” sarà quindi la riserva di John Collins, l’ala dall’enorme potenziale atletico e fisico che avrà una stagione chiave davanti, visto che dovrà convincere la dirigenza a dargli un contratto importante: lui e Trae Young sono il tandem che dovrà accompagnare la franchigia della Georgia nel prossimo futuro, ma serve che entrambi facciano un salto di qualità in avanti, prima mentale che tecnico, e la presenza di Danilo e dello stesso Rondo potrebbe essere decisiva.

A livello tattico Gallinari è ormai sostanzialmente un “4” e sembra perfetto per giocare vicino ad un centro per così dire classico come Clint Capela o come il rookie Onyeka Okongwu, due rim protector e rim runner con scarsa propensione a colpire dall’arco; più complicato immaginarlo al fianco di John Collins visto che entrambi possono patire principalmente in difesa in termini fisici e di protezione del canestro. In attacco invece, giocando da “4”, il Gallo può essere molto prezioso per la capacità di aprire il campo col tiro da tre, di giocare in post medio o post basso per punire i mismatch o servire i tagli dei compagni, e di attaccare dalla punta, sia direttamente dal palleggio, sia come playmaker secondario per tiratori di razza come Bogdanović, Huerter o lo stesso Young. L’azzurro andrà “protetto” in difesa visto che non ha la rapidità di piedi per tenere i “3” sul perimetro e ha dimostrato di poter faticare nel contenere i “4” fisici e atletici.

In conclusione possiamo dire che Gallinari ha tutte le potenzialità per fare bene e rendersi molto prezioso per una squadra che ha soprattutto bisogno di crescere, dare segnali positivi e aggiungere concretezza ad un progetto intrigante ma fin qui poco incisivo in termini di risultati. Tradotto: Atlanta deve centrare i playoffs.

 

Per Nik Melli è già un anno decisivo ai Pelicans

La prima stagione NBA di Nicolò Melli è stata “unica” in tutti i sensi, tra il fattore Zion Williamson, le aspettative sulla squadra con l’arrivo di Ingram, Lonzo Ball e Redick, poi la pandemia e la bolla di Orlando. La bravura di Nik è stata quella di tener fede al suo essere equilibrato e concreto, senza esaltarsi troppo quando aveva spazio e fiducia, e nemmeno abbattersi in modo totale nei periodi in cui l’allora coach Alvin Gentry lo teneva inchiodato alla panchina. Poi il lungo stop per il lockdown e la ripresa nel campus di Orlando, tutte esperienze che Melli ha saputo valutare e gestire provando a prendere il lato positivo da ognuna, parlando con soddisfazione sui social e arrivando a lanciare un podcast che ha avuto un inaspettato (per lui…) successo.

1 e 4 mail ascoltati ??‍♂️ (forse 1 è collegato con il podcast di @jj_redick)
2 drammatico e intenso grazie anche alla narrazione di @PabloTrincia
3 sull’onda di 2
5 si studia il nemico #ANDonePodcast #SpotifyWrapped pic.twitter.com/RA3PrXneqs

— Nicolò Melli (@NikMelli) December 3, 2020

Il nativo di Reggio Emilia, prossimo ai 30 anni (26 gennaio 1991 recita la carta d’identità), ha vissuto un anno da matricola con 60 partite giocate, 8 delle quali in quintetto, con quasi 7 punti e 3 rimbalzi di media col 33% da tre in poco più di 17 minuti: per lui 18 gare in doppia cifra e il career high di punti, 20, realizzato due volte a Detroit e a San Francisco coi Warriors. Nik è un giocatore prezioso e duttile, un “4” moderno che sa leggere il gioco molto bene (sopra la media per il ruolo), che apre il campo col tiro da fuori e che in difesa riesce a muoversi con intelligenza e a cambiare in modo efficace pur disponendo di un atletismo e di una verticalità ben al di sotto degli standard richiesti.

Il primo anno è in archivio, impreziosito dalla convocazione al “Rookie Game” all’All Star Weekend 2020 di Chicago; adesso arriva una stagione già decisiva perché Melli dovrà dimostrare di poter valere un nuovo contratto NBA: il biennale da 8 milioni di dollari complessivi firmato nell’estate 2019 va in scadenza e quindi l’azzurro dovrà dare tutto per convincere gli stessi Pelicans o un’altra delle 29 franchigie a trattenerlo negli Stati Uniti. Certo è che il compito che lo attende a New Orleans non sarà semplice: c’è un nuovo allenatore da cui farsi conoscere e apprezzare come Stan Van Gundy e deve fare i conti con un reparto lunghi abbastanza denso con Zion Williamson su tutti, con Jaxson Hayes e con gli ultimi arrivati Steven Adams, Willy Hernangómez e Wenyen Gabriel.

Adams, Hernagómez e Hayes sono centri puri e quindi nulla a che vedere con Melli, che però potrebbe tranquillamente stare in quintetti piccoli da “4” con Zion da centro. Il punto è che dovrà vedersela con Gabriel per l’ipotetico ruolo di backup dell’ex stella di Duke: rispetto a Wenyen, intrigante prospetto con origini del Sud Sudan, svezzato da coach Calipari a Kentucky e affermatosi nella seconda parte della scorsa stagione coi Trail Blazers, può vantare una maggior comprensione del gioco, una maggior varietà di armi in attacco e un tiro da fuori più affidabile; viceversa Gabriel può contare su misure fisiche importanti, braccia interminabili, più atletismo e mobilità che Nik non può pareggiare. Sembra avere tutto per ritagliarsi minuti importanti da “stretch 5”.

In sostanza, e per ripetere le classiche frasi, Melli dovrà essere bravo a farsi trovare pronto quando Van Gundy lo manderà sul parquet, sfruttare al meglio le proprie capacità e continuare a lavorare cercando di non farsi influenzare troppo dal futuro, incerto ma con la consapevolezza che nella NBA del 2021 un lungo con le caratteristiche dell’ex Fenerbahce può sempre far comodo.

 

Mannion e la scuola Warriors dal prof. Steph Curry

L’impatto di Nico Mannion con l’NBA non è stato facile, anzi. In uscita da Pinnacle High School, dopo un Nike Hoop Summit 2019 stellare nel duello con Cole Anthony, si aspettava di finire in Top 10 al Draft 2020, ma poi durante la stagione con Arizona le sue quotazioni si sono abbassate fino ad arrivare alla scelta numero 48. La fortuna di Nico, figlio d’arte essendo papà Pace ex giocatore professionista in NBA e in Italia, soprattutto a Cantù, e la mamma Gaia Bianchi ex pallavolista, è che a sceglierlo sono stati i Golden State Warriors, una delle migliori franchigie della lega in termini di organizzazione e sviluppo dei giocatori, certamente al top nell’ultimo decennio.

“That’s the first thing I thought of… I get to learn from @StephenCurry30.” – @niccolomannion of the @warriors pic.twitter.com/I4z5RhmCxP

— NBA (@NBA) November 19, 2020

Mannion ha firmato coi “Dubs” un two-way contract, si allenerà con lo staff di Steve Kerr e potrà giocare al massimo 50 partite come da regolamento, con un salario di poco inferiore ai 500mila dollari: potrà inoltre fare esperienza in G-League con la squadra affiliata con base a Santa Cruz, sempre che il campionato della lega di sviluppo parta davvero, visti i problemi legati alla pandemia. Finire a Golden State come detto è un bene perché Nico potrà lavorare e imparare ogni giorno allenandosi al fianco del suo idolo Stephen Curry, di altri veterani come Draymond Green e Kent Bazemore, e sotto la guida di uno staff con Mike Brown, Ron Adams, Jarron Collins, più Bruce Fraser e Steve Kerr, entrambi ex Arizona come Mannion. Senza dimenticare che Golden State ha aggiunto al proprio “core” altri due ex giocatori che conoscono benissimo l’ambiente Warriors come Leandro Barbosa e Shaun Livingston, e che potranno sicuramente dare qualche suggerimento all’azzurro.

Mannion ha caratteristiche di talento che non si possono insegnare, come la capacità di crearsi un tiro e di passare il pallone, ma c’è tanto su sui lavorare e migliorare, a partire dalla struttura fisica. Difficile fare un pronostico sui minuti e sulle opportunità che avrà durante la regular season: nominalmente parte come terzo playmaker alle spalle di Curry e di Brad Wanamaker (con cui potrà scambiare qualche parola in italiano, o in toscano, visto che Nico è nato a Siena e Brad ha giocato una stagione in A a Pistoia), senza contare che i vari Damion Lee e Jordan Poole possono agire da handler, da portatori di palla aggiunti.

Contare minuti e tiri nella stagione da rookie di Mannion ha poco senso. Il ragazzo dovrà prima di tutto calarsi nell’ambiente Warriors, lavorare, sudare, non farsi tramortire dalle urla e dagli insulti di Dray Green in palestra, e dare il meglio ogni volta che coach Kerr lo getterà sul parquet, che sia garbage time o no. Ogni occasione sarà un’opportunità per Nico, spinto dalla motivazione di far ricredere le 29 franchigie che non lo hanno chiamato, come lui stesso ha fatto sapere a mezzo stampa.

Tags: Danilo GallinariMarco BelinelliNiccolò MannionNicolò Melli
Davide Fumagalli

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