Siamo giunti alla decima puntata di The Answer, la rubrica in cui rispondiamo alle vostre domande. Ogni settimana vengono raccolti via mail (redazionetheshot@gmail.com) e sui nostri canali social i vostri quesiti, vengono scelti i più interessanti e un membro (o anche più di uno, come vedremo oggi) della redazione di The Shot vi darà la sua opinione.
Sotto con le domande quindi, buona lettura!
1) Come pensate possa essere, a livello di minutaggio e ruolo, la rotazione del frontcourt dei Grizzlies? Inoltre io credo che Dillon possa rendere maggiormente dalla panca, se Bane farà bene fin da subito potrà essere inserito in quintetto a fianco di Ja?
Domanda di Manuel Mauri, risponde Francesco La Mura
Ciao Manuel,
innanzitutto partiamo da un presupposto: almeno ad inizio stagione non ci sarà Jaren Jackson Jr. e quindi la rotazione dei Grizzlies per quanto riguarda i lunghi presumibilmente sarà composta da Clarke, Valanciunas, Tillman e uno tra Dieng e Porter (vedremo come starà Jontay). Al momento immagino che Clarke e Valanciunas partano in quintetto: mi piace il fit difensivo poiché Clarke copre i deficit in termini di mobilità del lituano e Valanciunas fa lo stesso con Clarke a rimbalzo.
Al tempo stesso, è chiaro che il fit offensivo non è dei migliori: entrambi pur con caratteristiche diverse sono dei giocatori prettamente interni, Clarke ha dimostrato all’occorrenza di potersi riciclare come tiratore in spot-up, ma per massimizzarne l’impatto deve essere utilizzato principalmente da rollante. Quindi per quanto appena detto penso che il frontcourt di riserva verrà composto da Tillman e uno tra Dieng e Porter: in questo caso il fit offensivo è interessante, poiché il prodotto da Michigan State verrebbe affiancato in entrambi i casi da uno stretch five, mentre in difesa noto una mancanza di atletismo che potrebbe pesare.
In ottica futura vedo le cose molto meglio in quanto Tillman e Jackson da una parte e Clarke e Porter sarebbero due coppie complementari e formerebbero due frontcourt abbastanza completi. Per quanto riguarda Bane e Brooks, credo che almeno inizialmente Dillon manterrà il posto in quintetto, anche semplicemente per una questione di gerarchia all’interno dello spogliatoio.
Brooks al momento resta l’unico tra gli esterni dello starting five che può contenere, nonostante i suoi limiti nella difesa off the ball, gli avversari con un ottimo primo passo; Bane non è abbastanza rapido lateralmente per stare su questo tipo di giocatori, quindi lo vedrei meglio dalla panca insieme a Melton. La situazione potrebbe variare con il ritorno, che tutti ci auguriamo, di Justise Winslow: a quel punto si potrebbe dirottare l’ex giocatore degli Heat in quintetto a prendere in consegna l’avversario più pericoloso (Justise potrebbe marcare indistintamente dall’1 al 3) e completare il backcourt con Bane e Morant.
2) Come vedete la rotazione lunghi di Atlanta tra Collins, Gallinari, Okongwu e Capela?
Domanda di Alessandro Benassuti, risponde Matteo Berta
Ciao Alessandro,
la rotazione dei lunghi ad Atlanta durante la prossima stagione è un argomento interessante e su cui si può dibattere a lungo, ma mi metterò dei paletti e proverò a rispondere alla tua domanda in modo ordinato. Partiamo dalla prima e unica notizia ufficiale che abbiamo per ora: Gallinari è stato firmato per essere la riserva di John Collins. Potremmo discutere sul senso o meno di pagare così tanto una riserva, ma “c’è un luogo e un momento per ogni cosa, ma non qui e non ora” come direbbe il Professor Oak.
Hey @ChrisKirschner on a Hawks season ticket holder zoom just now, Travis said they signed Gallo w him understanding he’d backup JC. Have you heard that? Surprised?
— steve harding (@stevehardingjr) November 24, 2020
In quintetto, dunque, stando alle parole di Schlenk partiranno John Collins e Capela, con mio grande rammarico. I due non hanno ancora condiviso un singolo minuto sul parquet, ma le mie preoccupazioni sono facilmente spiegabili guardando e analizzando la coppia Damian Jones-John Collins vista più volte lo scorso anno. Nei 191 minuti giocati insieme durante la scorsa stagione i due hanno prodotto un OffRat di 99.8 e un DefRat di 116.3, con un netto -16.5 di NetRat.
I numeri sono impietosi, il basket giocato anche. L’upgrade di Jones con Capela migliorerà sicuramente la fase difensiva, ma la fase offensiva? John Collins può e sa tirare bene da 3 punti, ma dà il meglio di sé quando ha l’area libera per rollare. Capela, d’altronde, in attacco non può fare altro se non il rim runner. Non vedo come questo fit possa essere utilizzato per tanti minuti.
Dopo aver parlato di quelli che, molto probabilmente, saranno i titolari voglio parlare delle altre possibili lineup, partendo dai due che siederanno insieme in panchina ad inizio gara: Gallinari e Okongwu, che avranno presumibilmente un fit e un rendimento migliore dei due che partiranno in quintetto.
Okongwu è il giocatore perfetto per giocare con Trae Young, perché dà il meglio di sé nella fase difensiva e potrebbe nascondere le lacune del talento da Oklahoma. Nella metà campo offensiva è in grado di tagliare a canestro da rim runner, ma sta lavorando duramente anche per riuscire ad avere un tiro affidabile prima dalla media e, successivamente, da 3 punti. Anche il fit tra Collins e Okongwu potrebbe essere interessante: i due, in difesa, potrebbero aiutarsi con Collins a difendere il ferro e Okongwu a cambiare sugli esterni.
In conclusione la speranza è quella di vedere Collins e Capela condividere il campo per un numero ridotti di minuti, ma alternare i due starter in lineup miste con i due giocatori partenti dalla panchina. Considerando anche che le 72 partite di regular season dovranno essere giocate in pochi mesi, non sarei sorpreso di vedere molto movimento in modo da far riposare a turno i vari giocatori a roster.
3) Vorrei sapere come funzionava il draft prima dell’avvento dei due turni e della lottery, ho già fatto qualche ricerca ma non ho mai trovato delle risposte complete, per cui mi piacerebbe conoscere la storia del draft nell’era pre-lottery.
Domanda di Andrea Lo Giudice, risponde Francesco Semprucci
Ciao Andrea,
la lottery propriamente detta ha inizio dal Draft 1985, ma come potrai ben immaginare il percorso pre-draft inizia molti, molti anni prima. Agli albori della lega, dal 1947 al 1965, l’ordine del Draft veniva stabilito sulla base del record della stagione precedente invertendolo, quindi l’ultima squadra aveva la prima scelta, la penultima la seconda ecc.
Oltre a ciò però esistevano anche le territorial pick: la NBA all’inizio non era la macchina quasi perfetta di oggi, faceva moltissima fatica ad attirare spettatori, al contrario delle squadre collegiali, seguitissime. Così nel 1949 venne introdotta nella BAA (nel 1950 in NBA) la territorial pick: una squadra poteva sacrificare la sua prima scelta al primo giro per un giocatore cresciuto nella zona della franchigia (a un raggio di 50 miglia dal palazzetto).
Questo sistema durò fino al 1966 quando la lega si evolse introducendo il… lancio della monetina. Le due squadre rispettivamente col peggior record della conference si “scontravano” ed era la monetina a stabilire di chi sarebbe stata la prima scelta, con le altre posizioni stabilite dal record invertito della RS. Come puoi immaginare questa strategia aveva tantissimi difetti, ad esempio il fatto di guardare solo la posizione nella conference e non il record generale e, soprattutto, incentivava il tanking selvaggio, dato che arrivando ultimo nella conference avevi il 100% di probabilità di finire in top 2. L’ultimo Draft sorteggiato con questo metodo fu quello del 1984, quello di Jordan, Olajuwon, Barkely e Stockton.
Dal 1985 si inizia ad introdurre una primordiale lottery, evolvendosi dalla monetina… alle buste di carta. Ogni squadra finita fuori dai PO si beccava il suo bustone con scritto dentro il proprio nome che veniva depositato in un’urna dal quale poi, dopo aver mescolato, si estraeva la squadra vincente. Ma questo sistema fu da subito criticato, sia perché dava a tutte le squadre la stessa probabilità di avere la prima scelta, sia, soprattutto, perché ritenuto facilmente truccabile.
La prima lottery svolta in questo modo fu quella del 1985 dove in palio c’era Pat Ewing; questa rimarrà sempre una delle lotterie più discusse e discutibili di sempre, New York era in crisi ed essendo il maggior mercato della NBA aveva bisogno di una spinta per rilanciarsi, così moltissime persone che hanno visto nel video di quella lottery l’apoteosi del complotto.
Tutte le buste vengono inserite in un modo, tranne una che viene inserita in una maniera strana andando ad urtare la parete. Quando Stern tira fuori la busta si nota che questa è piegata in un angolino, che sia a causa di quel strano inserimento? Credo che ormai nessuno potrà dircelo, questo è uno dei segreti che il buon David Stern si è portato nella tomba.
Così, dopo anni di polemiche senza capo né coda, la NBA si evolse ancora una volta nel 1990 passando alle palline da ping pong. Fino al 1993 la lottery prevedeva 66 combinazioni possibili, la peggior squadra di queste 66 combinazioni ne aveva 11 favorevoli, la penultima 10 e così via, fino alla miglior esclusa dai PO che ne aveva solo 1 su 66.
La questione si evolse ancora nel 1993: 14 palline da ping pong numerate da 1 a 14 vengono messe in una macchina come quelle per l’estrazione della lotteria, vengono poi completate 4 estrazioni, una ogni 10 secondi; una volta finita l’estrazione per la prima scelta si rimettono le 4 palline dentro e si ri-procede con l’estrazione.
Eliminando l’importanza dell’ordine e delle permutazioni (esempio: la combinazione 1-2-3-4 vale come la 2-4-1-3 ecc) si ottengono 1001 combinazioni possibili. Di queste 1001 una non viene assegnata a nessuna squadra (11-12-13-14) mentre le altre mille vengono distribuite sulla base del record della stagione precedente invertito (se due squadre hanno lo stesso record si ritorna al caro vecchio lancio della monetina). Questa estrazione la si completa per le prime 3 posizioni della lottery.
Fino a qualche anno le percentuali prevedevano il 25%(250 combinazioni) di possibilità di avere la prima scelta assoluta per la squadra col peggior record, il 19.9% per la seconda e così via fino alla prima esclusa dai PO con 5 combinazioni su 1000 (0.5%). Queste percentuali sono state ulteriormente calmierate nel 2019, per andare un po’ a zittire le voci che si erano sparse sul fatto che si sapessero già prima le scelte (nel 2016 Mutombo si congratulò con Philly parecchie ore prima della lottery per la loro prima scelta, nel 2017 quando Magic assunse Walton gli rassicurò che sarebbero riusciti a tenere la pick nonostante fosse protetta top 3 e mancassero 12 giorni al draft, cosa poi successa effettivamente) che per evitare il tanking sistematico (vero, Sam Hinkie?).

Così si è giunti al sistema di oggi, in cui le 3 peggiori squadre hanno tutte la stessa probabilità di avere la prima scelta (14%), e da qui in poi le percentuali sono molto più simili tra di loro, con l’estrazione che è passata dai primi 3 ai primi 4 posti (col sistema precedente, se la squadra col peggior record aveva il massimo della sfortuna poteva finire come quarta scelta – essendoci 3 estrazioni – così quinta) e le altre squadre che vengono invertite di posto rispetto al loro record in RS.
4) Philadelphia si è rinforzata abbastanza da raggiungere le Eastern Conference Finals? In generale quali sono le squadre, tra le pretendenti al titolo, che si sono maggiormente rinforzate ad est?
Domanda di Matteo Berta, risponde Cesare Russo
Ciao Matteo,
a mio parere, la prima cosa da dire sulla prossima Eastern Conference è che non c’è più la stessa uniformità di livello tra la seconda e la sesta posizione. All’inizio della scorsa stagione era facile immaginare che, una volta concessa a Milwaukee la corona, le successive cinque squadre (Toronto, Boston, Miami, Indiana e Philadelphia) avrebbero potuto scambiarsi di posizione tranquillamente (cosa effettivamente successa fino alle ultimissime partite di regular season nella bolla).
Quest’anno invece i Raptors sembrano partire indeboliti e i Pacers sono senza la compattezza mostrata negli ultimi anni (rimangono però squadre ottimamente rodate che possono fare molto bene in regular season, lo hanno già dimostrato). Le quotazioni dei Nets sono invece già alle stelle, ma i dubbi da risolvere legati a ritorno da infortuni, intesa tra stelle, qualità della difesa, QUELLA trade che si fa o non si fa e un allenatore alla primissima esperienza (pur con un coaching staff da All-Star Game degli allenatori), mi portano a considerare uno spettro molto ampio del record finale.
Rimangono dunque quattro squadre, sicuramente alla testa della conference: Milwaukee, Miami, Boston e Philadelphia. Vediamo più in particolare se e come sono migliorate. Tolta Miami, rimasta un po’ scoperta sulle ali aspettando Precious, è abbastanza facile per me dire che siano tutte migliorate. Milwaukee ha sacrificato il suo futuro sull’altare del Partenone per portare Holiday, ha perso Matthews ma ingaggiato Craig, accoglie una draft class che promette di essere utile fin da subito e hanno lasciato intatta l’ossatura della miglior squadra ad est.
Il miglioramento dei Celtics è meno evidente degli altri, ma secondo me c’è, ed è ovviamente esclusivamente legato all’arrivo di Tristan Thompson. Credo sia superfluo ricordare il persistente problema sotto canestro per Boston ed è facile capire quanto conti risolverlo in una conference che schiera Antetokounmpo, Embiid, Adebayo, Butler e Simmons nelle altre tre contendenti.
Thompson risolverà il problema? Probabilmente no, ma impedirà che quei giocatori parcheggino l’auto, la roulotte e gonfino la piscina dentro l’area Celtics. E questo è un miglioramento impareggiabile per qualsiasi cosa il miglior Hayward avrebbe potuto dare a questa squadra. L’arrivo di Thompson e la presenza dei due Williams rende tra l’altro Theis un asset invidiabile da spendere per rinforzare una panchina povera di esperienza.
Infine ci sono i 76ers. Quantificare il miglioramento rispetto alla stagione scorsa è allo stesso tempo facile e difficile. Da un lato è evidente si sia perso molto talento, dall’altro i nuovi arrivati sembrano perfetti per giocare con Simmons ed Embiid. È molto probabile che l’hype generato da questa nouvelle vague Sixers stia gonfiando la nostra percezione della squadra, rendendola più forte di quello che sarà (rimangono ancora tanti dubbi: il fit tra le due stelle, la costanza di Harris, lo sviluppo di Thybulle e dei rookies, la tenuta fisica di Green, l’impatto di Rivers e anche uno o due spot visibilmente scoperti in ala dalla panca).
Ma se ciò che ha reso i 76ers appena passati la squadra estremamente deludente che abbiamo visto è stato il pensiero, fin dalle prime battute, che fosse una squadra (e un’organizzazione) raffazzonata, in campo e fuori, allora Morey potrebbe aver messo a segno l’upgrade definitivo al roster dei Sixers, creando un ambiente carico, ottimista e con ruoli ben definiti.
Possono dunque arrivare alle finali di Conference? Assolutamente sì. Il quintetto rimane uno dei più talentuosi, quella coppia è una delle migliori della Lega per valore assoluto e anche il coaching staff è nettamente migliorato. Potrebbe anche esserci meno concorrenza diretta nelle prime posizioni, per cui potrebbe essere anche più facile conquistare il fattore campo (e sappiamo quanto sia prezioso per i Sixers). Allo stesso tempo, non c’è da rimanere sorpresi se ciò non dovesse accadere, perché la concorrenza è rimasta e la squadra potrebbe effettivamente essersi indebolita.
5) Vedo molto ottimismo sul fatto che gli Warriors faranno i playoff quest’anno, anche con Klay Thompson infortunato. Il quintetto non è dei più funzionali e la panchina è una delle peggiori tra le pretendenti a ovest, perciò è così irrealistico pensare che non si qualifichino?
Domanda di Alessandro Benassuti, risponde Riccardo Pratesi
No, non è irrealistico. Infatti nella mia griglia dell’ovest li ho piazzati all’ottavo posto, appena di un’incollatura davanti ai Phoenix Suns. E quell’incollatura ha le sembianze di Steph Curry che si merita sempre e comunque il beneficio del dubbio. Toccherà a lui tirare la carretta Dubs per 72 partite. Il talento non è in discussione. Ma la maturità di Oubre e Wiseman sì, il sacro fuoco di Wiggins pure.
Poi riguardo ai giovani che si sono messi in mostra la scorsa stagione: un conto è giocare senza pressione, un altro “dovendo” vincere. Tra l’altro la struttura del play-in implica un ovvio rischio per chi non arriva tra le prime sei in Conference. Spareggiano settima contro ottava e nona contro decima. Poi la perdente della prima sfida e la vincente della seconda si giocano tutto: l’ultimo posto playoff. Una formula senza paracadute.
Dunque nella giungla dell’Ovest, dove rischiano di restare fuori squadre con tanto talento come Suns e Pelicans, e gli stessi Grizzlies meritano menzione, non è affatto scontato i Warriors giochino i playoff, senza Thompson. Con lui avrei immagino i Dubs top 4, legittima contender, comunque non la prima (o seconda) favorita. Una stagione da 15 vittorie e 50 sconfitte lascia il segno, non si preme un interruttore e di colpo lo scenario cambia, neppure con il rientro degli infortunati.
Non è automatico: ci sono abitudini vincenti e perdenti che sono difficili da cancellare specie per il cast di supporto, tra i ragazzi, e ci auguriamo tra loro di vedere anche Mannion, sul parquet a San Francisco. Ma c’è appunto, sempre l’effetto Curry. Chi gli scommette contro la fa a suo rischio e pericolo.