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James e Davis rinnovano: sarà dinastia Lakers?

Davide Piasentini by Davide Piasentini
4 Dicembre, 2020
Reading Time: 6 mins read
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Rinnovo Davis LeBron

Copertina a cura di Edoardo Celli

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“…and everything is alright…I can’t believe, today was a good day”.

In questi giorni, il tepore del sole di L.A. non potrebbe essere più caloroso e accomodante, soprattutto per i tifosi dei Lakers. Dopo aver conquistato la bolla e il titolo numero 17, appena qualche mese fa, ed essere stata protagonista di una splendida, quanto breve, offseason, la franchigia di Jeanie Buss ha completato il suo piccolo grande capolavoro. LeBron James e Anthony Davis hanno infatti deciso di firmare due importanti estensioni contrattuali, sorprendendo un po’ tutti gli appassionati del gioco e addetti ai lavori, che si aspettavano degli accordi a breve termine. Due anni a 85 milioni di dollari per “The King”, cinque anni (potrà uscire dal contratto solo nel 2024) a 190 milioni per “The Brow”.

Per loro non ci sarà alcuna free agency da esplorare la prossima estate, visto che resteranno assieme almeno fino al 2023. Un sodalizio tecnico e umano, nato molto tempo fa e consolidatosi nell’ultima tormentata stagione NBA, che permetterà ai purple and gold di programmare serenamente il futuro, senza dover limitare le proprie ambizioni al titolo in back-to-back. Come cantava Ice Cube, figlio dello Showtime al Forum di Inglewood, all’inizio degli anni Novanta, oggi è un giorno meraviglioso per essere tifosi dei Los Angeles Lakers. 

 

La promessa di LeBron

“Questa è la tua squadra, questo è il tuo momento. Se mi ritirassi oggi, sarei a posto così”. Sono state queste le parole usate da LeBron James per motivare il compagno Anthony Davis, invitato a prendersi la scena, durante gli ultimi gloriosi Playoffs giocati dai gialloviola. Dopo il leggendario anello vinto nel 2016 coi suoi Cleveland Cavaliers, rimontando dal 3-1 i Golden State Warriors delle 73 vittorie in regular season, The King pensava di non aver più nulla da dimostrare a sé stesso. Ha creduto per un attimo di essere il GOAT e si è fatto sedurre da questa tentazione proibita, pur restando concettualmente ai margini di una banale autocelebrazione.

Quel trionfo leggendario, quel “Cleveland, this is for you!”, ha chiuso narrativamente un capitolo importantissimo della sua vita. Semplificare ed infarcire qualsiasi riflessione di retorica, però, porta spesso lontano dalla verità, soprattutto quando si parla di un personaggio così esposto come LBJ. La scelta di lasciare Cleveland nel 2019 per trasferirsi a Los Angeles, dunque, non va giudicata univocamente, ma va piuttosto contestualizzata su più livelli interpretativi. Meglio non addentrarsi nella sfera commerciale, o meglio del business, come gli americani amano definire relazioni e dinamiche insite nello sport professionistico. Non ci vuole un genio sopraffino per trovare le differenze tra The Mistake on the Lake e La La Land. Anche solo scenograficamente. Ce li vedete Ryan Gosling ed Emma Stone ballare sulle rive del Lago Erie?

LeBron ha scelto Los Angeles motivato dal sogno di riportare i Lakers sul tetto del mondo. Una sfida personale, l’ennesima della sua esaltante carriera. Una promessa fatta alla famiglia Buss e, soprattutto, a sé stesso. La spinta decisiva del suo agente Rich Paul, l’uscita del nuovo Space Jam e tutto il carrozzone legato al LeBron Inc. non devono per forza entrare nella valutazione, strettamente cestistica e romantica, del suo trasferimento nella West Coast. D’altronde non era affatto semplice scegliere di reinventarsi in una franchigia così ricca di leggende, correndo il rischio di entrare nella loro storia dalla porta di servizio. Dopo una prima stagione deludente, contraddistinta dal peggior infortunio della sua carriera e dal mancato accesso ai Playoffs, James ha toccato con mano la sua mortalità tecnica. È riuscito ad “ottenere” Anthony Davis dal mercato, costringendo i Lakers a rinnegare tutte le scelte fatte fino a quel momento (Brandon Ingram e Lonzo Ball su tutti), ma non si è limitato a questo. Ha fatto qualcosa di più, qualcosa che molti campioni non avrebbero fatto.

Si è rimesso completamente in gioco, trovando una nuova intima connessione con la pallacanestro. Ha riconosciuto a Davis la co-paternità della squadra ma, soprattutto, è tornato ad innamorarsi del basket, interpretando il ruolo di point guard come faceva al liceo e nel suo primo periodo ai Cavs con Coach Paul Silas. Nell’ultima stagione ha vinto la classifica degli assist, distribuendone 10.2 di media a partita (career high), ed è stato semplicemente mostruoso nella postseason della bolla di Orlando. Si è lasciato allenare, stavolta, ed è maturato ulteriormente come uomo. Una predisposizione mentale alimentata quotidianamente sin dai tempi di St. Vincent-St. Mary, che gli ha permesso di essere il miglior giocatore della NBA con una continuità disarmante. Al di là del suo significato commerciale, la recente estensione contrattuale sembra più una dichiarazione d’intenti diretta a tutte le altre contender: LeBron c’è e si sente più forte che mai.

 

La legacy di AD

“Ha dimostrato nella bolla di essere uno dei giocatori più completi e dominanti. I nostri tifosi avranno un posto in prima fila per vederlo crescere ancora e guidare la nostra squadra nei prossimi anni”. Rob Pelinka ha commentato così il ricco rinnovo contrattuale di Anthony Davis, che sarà il volto della franchigia nel prossimo futuro. Un classico happy ending hollywoodiano, che ha fatto volatilizzare in poco tempo i rumors che dipingevano in tutt’altro modo le intenzioni del nativo di Chicago. Davis è arrivato a Los Angeles per restare. L’ha fatto dopo aver lottato contro una serie di fallimenti sportivi che ne avevano minato le sicurezze, forzando, forse un po’ ingenerosamente, la mano ai Pelicans affinché lo spedissero in California a far coppia con LeBron.

Le sue lacrime, immortalate dalle telecamere con estrema significanza e sensibilità al termine di gara 6 delle NBA Finals, hanno spazzato via ogni dubbio sull’autenticità dei suoi sentimenti nei confronti del basket. Che Davis fosse un giocatore tecnicamente meraviglioso già si sapeva. Ma la sua apparente impenetrabilità e il suo essere talvolta emotivamente asettico hanno sollevato dei dubbi legittimi attorno al suo impatto complessivo sulla pallacanestro. Perché, al di là dei successi individuali e di squadra, un giocatore del suo livello deve ambire a qualcosa di più.

Essersi levato dalle spalle il peso di vincere l’anello è il primo passo. Ora AD deve necessariamente lavorare sulla propria legacy e il contratto firmato con i Lakers sembra andare in quella direzione. Non farlo terminare alla scadenza di quello di LeBron riveste un significato ben preciso e garantisce continuità, sia a Davis stesso che alla franchigia. AD ha deciso di puntare alla grandezza e di lottare apertamente contro la pressione delle aspettative. Nessun romantico ritorno a Chicago, dunque. Ora casa sua è Los Angeles e lo sarà per molto tempo.

 

Il ritorno dei Lakers

Il titolo vinto la scorsa stagione, dieci anni dopo l’ultimo firmato Kobe Bryant, le conferme di LeBron James e Anthony Davis, quest’ultimo insignito del titolo di franchise player del presente e, soprattutto, del futuro, il tutto abbinato a un mercato di primissimo livello, mirato ad inserire giocatori funzionali dal grande impatto tecnico e mentale. I Los Angeles Lakers sono ufficialmente tornati nell’élite della pallacanestro NBA e puntano a restarci a lungo.

Gli anni di Robert Sacre, Roy Hibbert, Tarik Black, Jordan Hill e Nick Young sono finalmente alle spalle. I Lakers hanno ricominciato a programmare in maniera ragionata e a respirare la loro radicata cultura vincente. Una franchigia con questa tradizione non può permettersi di vivacchiare a lungo e nemmeno di voltare le spalle ad una storia che le impedisce moralmente di sottrarsi alla competizione. La struttura attuale del proprio salary cap, inoltre, garantirà ai Lakers un ampio margine di manovra già dalla prossima free agency, che sarà affrontata senza il rischio di perdere James e Davis. Basi solide e flessibilità nella strutturazione del roster, sostanzialmente le migliori condizioni in cui lavorare nella NBA contemporanea. 

La promessa di LeBron, la legacy di AD e il ritorno sul tetto del mondo. Il tutto avvolto poeticamente dal ricordo di Kobe.

Oggi è un giorno meraviglioso per essere tifosi dei Los Angeles Lakers. 

Tags: Anthony DavisJeanie Busskobe bryantLeBron JamesLos Angeles LakersRob Pelinka
Davide Piasentini

Davide Piasentini

Nato a Padova nel 1986, è scrittore e analista sportivo per passione. Autore di diversi libri sul basket tra cui "Ten. Storie di Grunge Basketball" (2017), "From Chicago. La storia di Derrick Rose" (2019) e "Flash. La storia di Wade" (2020). Scrive di NBA per La Gazzetta dello Sport e Overtime.

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