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I gemelli Morris, le due facce di Los Angeles

Davide Torelli by Davide Torelli
4 Dicembre, 2020
Reading Time: 12 mins read
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I fratelli Morris

Copertina a cura di Francesco Ricciardi

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Sette minuti. Cioè la bellezza di quattrocentoventi secondi. Cosa sono per voi? Forse l’effettivo ritardo ad un appuntamento, quantificato con i canonici “cinque minuti, ed arrivo”? In realtà – a leggere in giro – quel semi impercettibile lasso temporale coincide con la principale differenza tra i due gemelli Morris, Marcus e Markieff, in relazione alla prima luce vista fuori dal grembo materno.

Come potete immaginarvi visto che si parla di giocatori NBA, nessuna figura maschile era presente in sala, almeno tra i non addetti ai lavori. Sembra quasi un luogo comune nello scandagliare le storie dei principali personaggi della lega, ma la madre solitaria, il quartiere difficile, una nonna materna con le sembianze di guida spirituale ed un talento che li trascina fuori dalla melma, son questioni che ritornano spesso. Anzi, con un semplice CTRL/V sulla tastiera, basterebbe scriverne una per riutilizzarla in cento. Per questo, bypassiamo stavolta. Tanto abbiam già capito.

Insomma, quelli che già dalla metà della scorsa stagione – o meglio, da poco prima dello stop per pandemia – incarnavano due volti distinti (ma similari, se non identici) della sponsorizzatissima “Battle of LA”, tornano anche quest’anno in sponde diverse della stessa città. Personalmente, quando parlo di Clippers e Lakers amo usare spesso la metafora dei “fratelli figli unici” rubandola a Rino Gaetano, ma se guardiamo direttamente ai Morris Bros il riferimento non regge. Questi non sono semplicemente fratelli, ma addirittura gemelli omozigoti. E non hanno vissuto una vita parallela da semi estranei indipendenti, ma la loro esistenza è andata avanti spesso e volentieri in simbiosi. Almeno fino a quando il destino non li ha catapultati nella National Basketball Association.

E lì, al Draft del 2011, era impossibile per regolamento essere chiamati nella stessa casella di selezione. Qualcuno doveva alzarsi dalla sedia prima, ma per sottolineare una identicità a prova di madre, i due entrano nel mondo dei professionisti quasi all’unisono, con un ritardo temporale simile a quello di nascita.
Markieff viene selezionato con la tredicesima pick dai Phoenix Suns, e Marcus con quella seguente dagli Houston Rockets.


Il 2 settembre del 1989 l’ordine era stato il medesimo, in una sala parto qualsiasi di un ospedale in quel di Philadelphia. Markieff è più vecchio del gemello di pochi minuti, ed è ben quattro centimetri più alto secondo le misurazioni ufficiali. Oggi come oggi, a parte le casacche diverse, le differenze si fermano qui. Perché anche in materia di stile di gioco, i due appaiono sostanzialmente speculari, così come risultano le tendenze dei loro primi nove anni di carriera.

La nomea di duri conclamati non è soltanto giustificata dai tatuaggi (anche quelli, quasi identici) che segnano i loro corpi, così come quella di “giramondo”, se la rapportiamo ai frequenti cambi di franchigia che ne hanno determinato il cammino ad oggi. Infatti, all’alba del loro decimo anno da professionisti, dopo una free agency densa di notizie, Marcus e Markieff decidono di rifirmare con le rispettive squadre che li avevano visti concludere l’ultima stagione. Diventando così i due volti (identici) di una rivalità destinata a rinnovarsi, quella cestistica tutta circoscritta alla Città degli Angeli.

 

Stesso conto, diversi contratti

La necessità di Clippers e Lakers di tenersi stretti i Morris Bros, si fonda su radici differenti. Motivazioni figlie dei due modi diametralmente opposti con cui si è conclusa l’esperienza nella bolla di Orlando, per entrambe: delusione sorprendente per una, clamoroso successo per l’altra.

Nonostante il roster profondo ed un mercato pregiatissimo in entrata fino alla scorsa trade deadline, qualcosa nello spogliatoio dei Clippers non ha funzionato. La partenza di Harrell verso i gialloviola rappresenta più di un indizio (oltre a quello dell’agenzia che ne cura il destino, la Klutch Sports di Rich Paul), per una faccenda palesatasi e coronatasi con la clamorosa eliminazione per mano dei Denver Nuggets, sprecando un 3 a 1 di vantaggio nella serie.

Che le colpe non potessero essere tutte imputabili a Marcus Morris, è altrettanto logico, per quanto non portasse con sé una fama di pacificatore in situazioni potenzialmente tese. Semmai, pensare che la sua annessione in squadra (insieme a quella di Reggie Jackson) fosse avvenuta con il seguente stop per pandemia, e sia proseguita con un ingresso in ritardo in quel della Florida, lascia intendere che sia mancato il tempo necessario per amalgamare un gruppo con gerarchie non troppo accordate. In ogni modo con la “promozione” di Tyronn Lue nel ruolo di head coach, la sopracitata partenza dell’ultimo sesto uomo dell’anno aggiunta a quella di JaMychal Green, ha reso indispensabile il ritorno del gemello free agent. Accomunato anche in questa sorte con Markieff, da poco laureatosi come campione NBA.

Chiaramente l’ipotesi di vederli insieme nella franchigia di Steve Ballmer, si era fatta immediatamente probabile.


I Morris spesso e volentieri hanno spinto per giocare insieme, definendosi “straordinari nel gioco” quando riuniti, come avvenuto a Phoenix in avvio delle relative carriere. Del resto i due avevano funzionato piuttosto bene già al College, entrambi a Kansas ed ancora inseparabili, almeno fino al responso della notte del draft.
A partire da quella, Marcus si era trovato abbastanza male in quel di Houston, facendo registrare poco più di 2 punti per gara in 7 minuti di impiego nelle 17 gare di una prima, travagliata, stagione. Le cose era andate decisamente meglio a Keff in Arizona, immediatamente pronto a convincere la franchigia a firmare il fratello, nella prima finestra di mercato disponibile a metà della loro seconda stagione.

Nuovamente riuniti, non solo i due tornarono a condividere lo stesso tetto come avvenuto per gran parte della loro esistenza (inevitabilmente anche nel campus a Lawrence), ma negoziarono insieme anche il rinnovo per i 4 anni seguenti. 52 milioni di dollari da dividersi un po’ come avrebbero preferito (32 per Markieff e 20 per Marcus, ufficialmente), versati in un conto in banca comune. Apparentemente, una scelta più unica che rara, ma non così assurda se pensiamo al rapporto di simbiosi che due gemelli omozigoti vivono fin dal concepimento, che nel loro caso ha significato oltretutto crescere in fretta, e coprirsi le spalle a vicenda.


E tornando a Ballmer nel 2020, con un Marcus che strappa un contrattone da 64 milioni di dollari in 4 anni, il gemello avrebbe dovuto accontentarsi di appena 3.62 milioni di dollari. In teoria un po’ pochino considerando il dislivello effettivo tra i due, in pratica poco problematico se pensiamo al già detto conto condiviso. Ed invece Markieff ha deciso di accontentarsi di ancora meno, restando ai Lakers per appena 2.6 milioni, forte del mercato scoppiettante orchestrato dal GM Rob Pelinka (ripetiamolo, con lo zampino della Klutch Sports e quindi il beneplacito di LeBron James).

D’altra parte, se si eccettua un momento piuttosto clamoroso, l’esperienza in gialloviola non era stata decisamente da buttar via, considerando la spigolosità anche difensiva di un giocatore comunque offensivamente versatile. Capace di offrire soluzioni sotto i tabelloni, ma garantendo un ottimo 42% da dietro l’arco durante la postseason, conclusa con successo.

Certo, quella visione senza senso tradotta in palla persa nel possesso decisivo di gara 5 delle Finals – a seguito dell’errore a tiro di Danny Green, con il tempo sufficiente sul cronometro per risolvere partita e serie – aveva messo a serio rischio la conquista dell’anello da parte di LeBron e compagni. Almeno per una manciata di ore, il pericolo che gli Heat potessero forzare gara 7 rientrando clamorosamente, era stato pericolosamente contemplato. Fortunatamente per i Lakers, scacciato via con i primi due quarti devastanti di gara 6.

In ogni modo, il derby familiare tra i fratelli Morris si è consequenzialmente riacceso con le rispettive firme losangeline, visto che in campo non si è ancora concretizzato, almeno per quanto concerne una serie playoff. Portato a casa il risultato economico, Marcus non ha perso tempo nel sottolineare al fratello (e al resto del mondo) la discrepanza di valori, rivendicando ironicamente chi, tra i due, effettivamente avrebbe portato più fieno in cascina nella prossima stagione.

That 64 will look great in that joint account. Double up ????@Keefmorris

— Marcus Morris (@MookMorris2) November 23, 2020

 

Successi e turbolenze

Ma nella vita dei gemelli Morris non c’è sempre stato il sole della bassa California, i contrattoni da firmare e le punzecchiature sul web. Quando dichiararono che si sarebbero recati insieme – con la stessa macchina – allo Staples Center per sfidarsi nelle Conference Finals 2020, chiaramente non potevano prevedere né la pandemia né il tracollo dei Clippers, ma questa fiducia allegra verso il futuro era un qualcosa conquistato faticosamente, con il tempo, assolutamente non scontata negli anni dell’infanzia.

Quelli passati a North Philadelphia, con la solita madre oberata di lavoro per sfamare le bocche dei figli (ben cinque in totale, loro inclusi), costretti a veder la propria casa ardere in un incendio e dividersi un seminterrato già troppo piccolo per le loro dimensioni. Come già introdotto, anni passati a guardarsi le spalle vicendevolmente, imparando a sopravvivere anche con le maniere forti, sfruttando espedienti e costruendo una scorza comune che li avrebbe resi, notoriamente, dei bad boys sul parquet.


Anche a scapito l’uno dell’altro, perché per quanto il termine “simbiosi” appaia ridondante anche in questo testo, i due si sono affrontati da avversari più volte, al termine della loro esperienza ai Suns. La più significativa, quella del 21 gennaio del 2017, con i Wizards di Markieff impegnati in casa dei Pistons, con un Marcus in grandissimo spolvero. Per lui, a fine partita, 25 punti e 11 rimbalzi. Per il gemello, 19 punti e 9 rimbalzi ed un ruolo fondamentale nella rimonta che porta i suoi in vantaggio di un punto, con l’ultima azione avversaria da compiersi.

È però Marcus a risolverla sulla sirena, segnando il tap in della vittoria surclassando proprio il fratello, tra le proteste dello stesso. Si, perché sarà lo stesso match winner ad ammetterlo candidamente, a fine gara, di essersi consapevolmente aggrappato sulla spalla dell’avversario, usandolo per darsi lo slancio, consapevole che gli arbitri non avrebbero mai fischiato un contatto simile in un contesto tale. Con malizia e competitività, oltre ogni affetto familiare. Anzi, soprattutto malgrado ogni legame ancestrale che possa mai esistere tra due gemelli.

Qualche parola di troppo, giustificata in questo caso da una sana rivalità, ma che non sempre giova al proprio destino. Ad esempio, come quando Marcus si proclamò pubblicamente “LeBron stopper” in occasione delle Conference Finals del 2018, giocando con i Celtics ed in procinto di affrontare i Cleveland Cavaliers di un James in missione, protagonista di una run playoff tra le più incredibili nella storia della lega. Del resto, in gara 1 al TD Garden le cose erano andate piuttosto bene per la squadra di casa, con un James ridotto ad un 5 su 16 dal campo per appena 15 punti (ed un Marcus da 21 con 3 su 4 da dietro l’arco). Ed anche in gara 2, nonostante i 42 punti del Re, Boston aveva avuto la meglio garantendosi un ottimo vantaggio da amministrare nella serie, e sognando le Finals.

Peccato che quel LeBron lì fosse difficilmente arginabile – soprattutto nonostante i proclami del linguacciuto gemello – e dopo una strepitosa gara 6 con le spalle al muro (conquistata grazie ai suoi 46 punti, 11 rimbalzi e 9 assist), nella sfida decisiva conduce i Cavs alla quarta finale consecutiva, con la consueta prestazione da trascinatore assoluto.

Difficile, dopo quell’episodio, averlo immaginato a fianco di King James nell’esperienza gialloviola, ed infatti quello è toccato al gemello Markieff, per quanto in più di un’occasione i cospirazionisti della lega abbiano supposto uno scambio di identità in campo tra i due. La più famosa accadde nelle semifinali di Conference ad est del 2017, nella sfida tra Wizards e Celtics. Kieff era giocatore fondamentale nella squadra della Capitale, ma era uscito piuttosto malconcio dalla sconfitta in gara 1, costretto ad uscire dal campo per un infortunio alla caviglia.


Motivo più che fondato per attendersi un suo forfait nella seconda sfida, in cui in verità si presenta perfettamente recuperato ed in splendida forma, malgrado la seconda sconfitta rimediata in fine dai suoi.
Il gemello, come spesso accade quando non gioca in contemporanea (ed in quel caso, fuori dal tabellone playoff con i suoi Pistons), è lì a bordo campo a tifarlo, e l’idea di un’alternanza tra i due prende rapidamente campo. Ovviamente smentita di lì a poco.
Ma sufficiente per far ammettere ai due di aver già praticato quella strada in passato, sia in campo (addirittura cambiandosi la maglia rapidamente in panchina, al raggiunto limite di falli dell’uno a fronte dell’infortunio improvviso dell’altro), che a scuola nel sostenere prove in materie distinte.
Ed infatti il dubbio si inserisce anche nella stagione seguente, in occasione di gara 4 tra Sixers e Celtics, sempre semifinali di Conference, stavolta riguardanti la momentanea squadra di Marcus.

In ogni modo, la sola supposizione che i due potessero ricorrere ad espedienti simili sottolineava ancora una volta quella fama di coppia smaliziata, confermata anche fuori dal campo, in episodi – volendo – ben più gravi di un colpo proibito a rimbalzo.
A proposito del far tutto in simbiosi, nel 2015 i Morris Bros finiscono pure accusati di aggressione aggravata, avendo preso parte al pestaggio di tale Erik Hood, durante una partita liceale in Arizona (i due erano compagni i Phoenix). Rischiando addirittura quattro anni di reclusione.
Vengono assolti in forma totale due anni dopo, sostanzialmente messi in mezzo da testimoni imbeccati dalla presunta vittima, con la quale i due avevano avuto storie tese già 5 anni prima (riguardanti anche l’intoccabile madre, pare).

 

The battle of the twins

Cosa aspettarci quindi dai due fratellini, con una stagione ai nastri di partenza che riproporrà il leitmotiv dello scontro tra Clippers e Lakers, per lo scettro definitivo di campioni della Western Conference?

Né più e né meno di quanto previsto lo scorso anno, con i loro arrivi “in corsa”, con Marcus proveniente da quasi 20 punti di media in metà stagione nei derelitti Knicks, e Keef da buone prestazioni passando dai Pistons. Per la verità, rispetto a quest’ultimo ci si attende solidità difensiva e una manciata di punti a sostegno della second unit, che probabilmente vedrà Harrell e Schröder condurre la panchina in avvio di partita, e chiuderla nei finali.

La batteria di lunghi a disposizione di coach Vogel vede anche l’aggiunta di Marc Gasol, un elemento in più che può alleggerire i carichi difensivi che Anthony Davis dovrà subire in campo, ed in questo “il Morris più vecchio” dovrebbe all’occorrenza far comodo. Facendosi trovare libero sugli scarichi anche dietro l’arco, posizionandosi in una linea immaginaria equidistante dalla porzione di campo appannaggio di LeBron e da quella occupata da AD, notoriamente intercambiabili per efficacia sia dentro che fuori il pitturato. Il suo sarà quindi ruolo da mestierante di lusso, con dieci anni di battaglie sulle spalle e quell’erroraccio di gara 5 da farsi perdonare, seppur non sia costato niente alla squadra in termini assoluti.

Per quanto riguarda Marcus, il contratto firmato è indubbiamente importante, e lo carica di responsabilità ulteriori nello scacchiere dei Clippers, dove Leonard e George avranno la precedenza nel giocarsi la maggior parte dei palloni offensivi. In tutto questo, con l’arrivo di un centro finalmente di peso ed esperienza come Serge Ibaka, Morris sarà chiave di volta partendo dalla panchina, occupando anche quello spazio lasciato libero dalla partenza di Harrell, in materia di disponibilità.
Entrambi, nelle rispettive realtà, dovranno farsi trovare pronti nella metà campo difensiva, regalando attimi di respiro alle reciproche superstar, visto che il cammino dovrà essere il più lungo possibile considerando gli obiettivi con cui le due squadre si presentano ai nastri di partenza.

Magari, guardando in modo ristretto all’universo dei fratelli Morris, l’idea di recarsi allo Staples insieme per giocarsi i momenti decisivi della stagione, si avvererà definitivamente. Sicuramente i due se lo augurano, capaci come sono di non guardar in faccia a nessuno in termini di competizione, non disdegnando colpi proibiti (chiedete al povero Luka Dončić).

Chissà se la rivalità cittadina porterà i due gemelli a scontrarsi l’uno contro l’altro, come è già avvenuto ma magari con più foga, dimenticandosi per un attimo da dove provengono. E cioè di essere qualcosa di simbiotico e legato per sempre, peggio di un matrimonio, più del “finché morte non ci separi”.

Tags: Los Angeles ClippersLos Angeles LakersMarcus MorrisMarkieff Morris
Davide Torelli

Davide Torelli

Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.

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