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Vincitori e Vinti Del Draft 2020

Filippo Barresi by Filippo Barresi
30 Novembre, 2020
Reading Time: 10 mins read
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Vincitori e vinti

Copertina a cura di Marco D'Amato

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Il 18 Novembre è andato in scena uno dei draft più ‘pazzi’ degli ultimi anni. L’ordine delle scelte è stato inaspettato sotto molto punti di vista, ma c’era da aspettarselo visto il processo di valutazione atipico rispetto alle stagioni passate. Per questo motivo risulta importantissimo fare un po’ più di chiarezza su chi realmente ha saputo sfruttare tutte le occasioni e chi non ci è riuscito. Ovviamente questo giudizio si basa principalmente sulle aspettative che si erano create nei mesi precedenti all’evento, sarà necessario molto tempo per poter valutare i prospetti e il loro futuro impatto tra i professionisti.

Cerchiamo ora di capire chi ha usato al meglio i propri assets e chi invece è stato travolto dagli eventi in sede di draft.

 

Vincitori:

Memphis Grizzlies:

I Memphis Grizzlies arrivavano al draft con una sola scelta, la 40, e l’impressione generale era che di sarebbero limitati ad una normale amministrazione, andando a scegliere un profilo adatto ai loro bisogni con l’unica scelta a loro disposizione.

Kleiman, GM dei Grizzlies, invece ha fatto molto di più, realizzando un altro grandissimo draft dopo la magnifica dimostrazione dell’anno scorso.

Per prima cosa, i Grizzlies hanno fatto trade-in alla 30 con i Celtics. I dettagli della transazione non si sanno ancora con certezza ma pare che i Grizzlies abbiano mandato a Boston due seconde scelte future, le quali probabilmente non avranno un grandissimo valore considerando la probabile curva di sviluppo di una squadra così giovane.
Con l’ultima scelta del primo giro, i Grizzlies hanno scelto un giocatore che fino a poche ore prima sembrava poter andare addirittura in lottery: Desmond Bane. Il senior da TCU, oltre ad essere ovviamente una gran bella presa alla 30, porta ai Grizzlies esattamente quello di cui avevano bisogno e cioè tanto tiro e difesa perimetrale.

Poi, Kleiman ha fatto trade-up alla 35 con i Sacramento Kings. Ai californiani sono andati la scelta numero 40 (poi trasformatasi in Robert Woodard II) e una seconda scelta futura. Alla 35, i Memphis Grizzlies hanno chiamato Xavier Tillman Sr. Molti analisti e scout davano Tillman come talento da primo giro e come miglior centro della classe dopo i top prospects Wiseman e Okongwu. Un lungo probabilmente non era tra le priorità dei Grizzlies ma Tillman è potenzialmente una steal costata poco, che va ad aggiungere ulteriore flessibilità ad un front court giovane e talentuoso.

Infine, la ciliegina sulla torta è stata Killian Tillie, lungo da Gonzaga martoriato dagli infortuni, che ha firmato un two-way immediatamente dopo il draft. Una scommessa a bassissimo prezzo che potrebbe rivelarsi estremamente proficua.

In sostanza, il front office dei Grizzlies partendo dalla 40 ha puntellato la rotazione con due prospetti da primo giro (forse tre con Tillie?), approfittando delle occasioni createsi durante la draft night e con un esborso limitato a due/tre seconde scelte future. Una nottata fantastica per la franchigia del Tennessee.

 

Dallas Mavericks:

I Dallas Mavericks si presentavano al draft con la propria scelta al primo giro, la 18 e la second round degli Warriors.

Alla 18, i texani hanno scelto l’australiano Josh Green, un ala freshman ancora grezza ma dal buon potenziale. Green starà molto bene a Dallas, potrà contribuire fin da subito in difesa grazie alle sue grandi doti difensive sul perimetro. In attacco è un progetto più a lungo termine ma potrebbe non impiegare molto tempo per beneficiare dei passaggi di Luka Doncic. Il giocatore giusto nel punto giusto del draft.

Con la prima scelta del secondo giro, i Mavericks hanno chiamato quello che sostanzialmente andrà ad ereditare il ruolo di Seth Curry: Tyrell Terry. Il freshman da Stanford sembrava in ascesa ma nella notte del draft è colato a picco, finendo però in un ambiente pressoché perfetto. Terry porterà a Dallas tiro e potrà continuare a svilupparsi con calma come palleggiatore.

Infine, con la scelta ricevuta nella trade Curry-Richardson, la franchigia texana ha scommesso su Tyler Bey. Il prospetto da Colorado è un grandissimo difensore, che lascia però ancora molti dubbi nella metà campo offensiva: la presenza di Doncic e di uno stretch big come Porzingis potrebbero facilitare enormemente il suo ambientamento al livello NBA.

In conclusione, Dallas ha fatto un draft di grandissima concretezza, scelte giuste e fit azzeccatissimi nei punti giusti del draft. Seth Curry è una dolorosa partenza ma Josh Richardson è un’aggiunta adattissima a quello che i texani stanno cercando di costruire attorno a Luka Doncic.

 

Philadelphia 76ers:

Il primo draft di Daryl Morey da GM dei Philadelphia 76ers è stato certamente movimentato. L’ex General Manager degli Houston Rockets intendeva chiaramente cambiare volto alla squadra e per farlo non poteva limitarsi alla normale amministrazione. Il risultato di questa intraprendenza e voglia di cambiare è un draft di altissimo livello, che tra trade e scelte ha portato tanti volti nuovi e di qualità a Philadelphia.

Per prima cosa, con la loro scelta al primo round, i Sixers hanno scelto Tyrese Maxey da Kentucky. Maxey era dato in caduta negli ultimi giorni ma era ancora visto da molti come un talento top15 (lo stesso Morey si è detto sopreso). Inoltre il fit tra giocatore e squadra è perfetto: Maxey porterà fin da subito difesa sulla palla e scoring; inoltre, giocando accanto ad un mega creator come Simmons, verranno nascoste le sue mancanze a livello di playmaking.

Inizialmente i Sixers avrebbero dovuto scegliere ben 4 volte al secondo giro (34, 36, 49 e 58) ma sembrava scontato che Morey avrebbe mosso più di una pick ed infatti così è stato. Nella giornata del draft i Sixers hanno mandato Horford, la 34 e una prima scelta futura (2025) leggermente protetta ai Thunder in cambio di Danny Green, riuscendo così a scaricare un contratto che era diventato un macigno sul cap dei Sixers e ricavando un role player che potrebbe risultare molto utile nonostante l’età.
Poi, durante il draft, Morey ha scambiato Josh Richardson e la scelta 36 per Seth Curry. Questa trade ha fatto molto discutere ma i Sixers hanno scambiato un buon giocatore che mal si adattava al resto del roster per un giocatore perfetto per i bisogni dei Sixers e con un contratto meno oneroso.

Arrivati alla pick 49 i Sixers hanno scelto un giocatore a cui avevano fatto una promessa da settimane ma che sembrava destinato ad andare alla 34 o alla 36: Isaiah Joe. La guardia da Arkansas è stata uno dei migliori tiratori della nazione ed aggiunge ulteriore spacing a questi nuovi 76ers.

Infine, con la scelta 58 i Sixers hanno chiamato Paul Reed, un prospetto difensivo che rappresenta un progetto a lungo termine.

In una giornata, Daryl Morey ha cambiato il volto dei Sixers scaricando un contratto estremamente ingombrante come quello di Horford, scegliendo un profilo perfetto alla 21 e aggiungendo ben 3 tiratori di alto livello ad un roster che ormai da anni aveva un terribile bisogno di spacing. Il tutto al prezzo di una prima scelta futura, due seconde e Josh Richardson.

 

Vinti:

Boston Celtics:

Boston si approcciava a questo draft come una delle possibili squadre più attive, date le quattro scelte totali e la necessità impellente di portare a roster giocatori dall’impatto quasi immediato. Tuttavia non è stato così. I Celtics, a differenza dei 76ers, non sono riusciti a muovere nessuna delle loro scelte per arrivare a giocatori con più esperienza in ottica playoff e si sono ritrovati nel loro peggior scenario possibile: utilizzare tutte e quattro le selezioni. Oltre a questo immobilismo si può dibattere anche sui giocatori che sono stati scelti, non sempre tra i migliori prospetti disponibili. Andiamo con ordine.

Con la scelta numero #14 i Celtics hanno selezionato Aaron Nesmith da Vanderbilt University. Il giocatore è un ottimo tiratore e ha dimostrato qualche lampo di creazione palla in mano ma porta con sé molti dubbi in relazione alla metà campo difensiva. Il più grosso punto interrogativo per lui riguarda la tenuta fisica: la scorsa stagione ha dovuto saltare la parte finale per via di un infortunio al piede, che pare disturbare ancora il ragazzo. Con profili del calibro di Cole Anthony, Tyrese Maxey e Desmond Bane ancora disponibili questa scelta mi lascia molto perplesso. Personalmente avrei optato per uno tra questi tre profili, che avrebbero potuto garantire un buon apporto in termini di shooting unito a una maggiore versatilità offensiva rispetto a Nesmith.

La chiamata peggiore arriva alla numero #26, dove i Celtics hanno optato per Payton Pritchard da Oregon University. Pritchard ha fatto molto bene nei quattro anni di college, dove ha permesso a Oregon di essere stabilmente tra le migliori squadre della nazione. Il problema principale è che si tratta di una pointguard sottodimensionata, che soffrirà molto il salto atletico della NBA. I Celtics nello scorso Draft avevano portato a Boston due giocatori dello stesso archetipo: Carsen Edwards e Tremont Waters. Quindi per quale motivo insistere su un profilo del genere? E soprattutto, perché farlo con una chiamata alta come la 26? Le alternative disponibili a quel punto erano molte e la lacuna tra i lunghi era ancora da sistemare. Questa scelta porta con sé parecchi punti interrogativi, utilizzare la numero #26 su un giocatore che potrebbe non riuscire a resistere difensivamente nella lega è una pessima mossa.

L’ultima chiamata al primo giro, la numero #30, era la terza per Boston. In questo caso i Celtics hanno deciso di scambiarla, concedendo a Memphis di portare a casa un ottimo prospetto come Desmond Bane per due future seconde. Anche questa scelta è parecchio dubbiosa. Bane sarebbe stato un’ottima selezione (nella nostra board era classificato parecchio sopra Nesmith).

Nel secondo turno di selezione arriva quella che forse è l’unica nota positiva della pessima serata. Alla #47 arriva Yam Madar, giovane israeliano che quasi sicuramente passerà la prossima stagione in Europa per poi provare il grande salto in futuro. Era ovvio fare stash con una delle svariate selezioni per i Celtics e fra i vari candidati hanno scelto uno dei migliori disponibili, considerando che Simonovic era già stato chiamato. Madar sembra addirittura più pronto e più adatto ai Celtics rispetto ad alcune delle scelte avvenute nel primo giro e questo è abbastanza paradossale.

La brutta serata è inusuale per Boston. Ainge ha spesso dimostrato di essere un ottimo stratega in queste situazioni e ci si sarebbe aspettato qualcosa in più dalla dirigenza, soprattutto in termini di progettazione. Non è detto che il GM non abbia provato a fare il colpo grosso, ma troppo spesso sembra essere troppo “legato” ai suoi tanto amati assets che ha accumulato con cura.

 

Utah Jazz:

Anche gli Utah Jazz non saranno ricordati per la loro prestazione in questo Draft. Senza grandi necessità strutturali era necessario attenersi a selezionare i migliori giocatori disponibili nei loro range, soprattutto dopo il buono scambio con i New York Knicks che ha permesso ai Jazz di ottenere la scelta numero #38.

Con la numero #27 Utah ha selezionato Udoka Azubuike da Kansas University. Questo giocatore non era sicuramente tra i migliori disponibili in questo range. Il lungo dal fisico imponente avrà sicuramente una carriera NBA solida per via del suo frame e delle sue capacità difensive, tuttavia il suo valore aggiunto non è il massimo. I Jazz avrebbero potuto optare per profili come Malachi Flynn o Tyrell Terry per poter provare a dare un po’ di alternanza a Donovan Mitchell in situazioni di elevato carico offensivo, soprattutto visto che le scelte dello scorso anno non avevano inciso come sperato.

Nel secondo giro i Jazz fanno un po’ di confusione. Prima scambiano la #38 e Tony Bradley a Detroit per una scelta futura e, subito dopo, cedono una loro seconda ai Pelicans per poter selezionare alla #39. Praticamente hanno scelto una posizione indietro e hanno perso Bradley che era potenzialmente pronto per essere il vice Gobert, posto ora occupato da Azubuike. La chiamata di Utah con la #39 è Elijah Hughes, esterno in uscita da Syracuse. Il giocatore in sé non è male, ha buone capacità offensive e questo potrà aiutare nel corso della stagione. Quello che fa storcere il naso è la modalità con cui siamo arrivati a questa scelta, ovvero l’utilizzo non necessario della #27 per un prospetto dall’archetipo non necessario.

Il filo conduttore della serata dei Jazz è quindi la confusione. Seppur fossero in una situazione abbastanza facile, in cui bastava selezionare il prospetto più talentuoso a disposizione, il front office ha deluso. Niente di clamoroso, però troppo spesso sono questi piccoli dettagli che fanno la differenza tra le squadre di alto livello e le altre contendenti.

 

Phoenix Suns:

Arriviamo ora a una delle chiamate più dibattute e chiacchierate della passata notte. Phoenix, dopo il grosso scambio con OKC che ha portato Chris Paul in Arizona, arrivava al Draft 2020 solamente con la scelta numero #10. Il prospetto da prendere doveva essenzialmente puntellare con precisione il buon roster composto da James Jones. La situazione era quindi abbastanza delicata e, come abbiamo accennato prima per Utah, sono anche questi aspetti di asset management che fanno poi la differenza sul lungo periodo, soprattutto se si vuole puntare all’eccellenza.

La chiamata dei Suns alla #10 è Jalen Smith da Maryland University. Questo giocatore, nella nostra board di The Shot, era posizionato intorno all’inizio del secondo giro. Per questo motivo molti addetti ai lavori hanno considerato la decisione di Phoenix come una cosiddetta reach, ovvero una selezione molto anticipata rispetto al reale valore del prospetto in questione. Fare questo non è automaticamente negativo, anche perché spesso i range ipotizzati si rivelano successivamente erronei. Tuttavia, nel caso specifico di Jalen Smith, le preoccupazioni che lo hanno allontanato dal primo giro sono parecchie e, soprattutto, legate alla fase difensiva.

Per effettuare questa chiamata Phoenix è passata oltre a giocatori del calibro di Vassel, Haliburton, Lewis Jr e la lista potrebbe continuare di molto. Il tempo ovviamente ci dirà se questo grande rischio si rivelerà azzeccato o meno: ad oggi è abbastanza normale parlare di una decisione discutibile da parte dei Suns, che già lo scorso anno chiamarono in lotteria Cam Johnson con molto anticipo.

Tags: Aaron NesmithBoston Celticsdallas mavericksDesmond BaneElijah HughesIsaiah JoeJalen SmithJosh GreenMemphis GrizzliesPayton PritchardPhiladelphia 76ersPhoenix SunsTyrell TerryTyrese MaxeyUdoka AzubuikeUtah JazzXavier TillmanYam Madar
Filippo Barresi

Filippo Barresi

Studente di ICT all'Università di Torino, da sempre appassionato di sport. Calciofilo e Sampdoriano dalla nascita anche se da circa sei anni è sulle orme dell'NBA e degli Charlotte Hornets. Molto probabilmente non avrà l'occasione di assistere a successi sportivi.

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