Dici Stan Van Gundy, pensi 1 in – 4 out; molto bene con Dwight Howard ai Magic, meno bene con Andre Drummond ai Pistons. La domanda che si pone il mondo del basket è come andrà questa nuova esperienza con Nicolò Melli fulcro dell’attacco dei Pelicans. Bene, la battutaccia scontata ce la siamo tolta di mezzo subito, così possiamo andare avanti sereni con la vera domanda: è Van Gundy l’uomo giusto per incanalare la straripante forza di Zion Williamson?
Per trovare la risposta a questa domanda ho passato qualche bella serata guardando i Magic di un decennio fa, ho letto e ascoltato fiumi di parole di e su Van Gundy, e ho anche fatto cose di cui non vado fiero come guardare i Pistons di Drummond e Jackson. Ovviamente solo il tempo saprà dirci se Zion e SVG formeranno una coppia vincente, ma a mio modesto parere ci sono tutti i presupposti per una stagione positiva in cui vedremo crescere tutto lo young core di New Orleans intorno all’astro nascente dell’NBA.
Is it a bird? Is it a plane?
Per capire dove mettere Zion, bisogna prima capire cosa è Zion. Lo abbiamo visto con il contagocce, ma soprattutto non abbiamo mai visto niente di simile prima d’ora. Nemmeno Stan Van Gundy, per sua stessa ammissione, ha le idee chiare sul da farsi, limitandosi a constatare le innumerevoli qualità di un potenziale campione ancora tutto da plasmare. Le doti fisiche sono davanti agli occhi di tutti: un first step e un second jump fra i migliori della lega, un’elevazione che gli permette di guardare dentro al canestro da sopra e una forza bruta terrificante, il tutto compresso in poco meno di due metri di altezza e quasi centotrenta chili di peso.
A livello tecnico si tratta di un giocatore ancora tutto da costruire, senza movimenti in post, inaffidabile al tiro e incapace di attaccare una difesa dal palleggio; al contrario, gli intangibles ci sono tutti, sia sul campo, dove sprigiona un’energia e un entusiasmo straripanti quanto l’atletismo e trascina i compagni con un altruismo contagioso, che fuori, dove, nonostante l’hype che lo circonda, mostra grande maturità nel rimanere con i piedi per terra. Questa combinazione fa di Zion un caso più unico che raro, dal momento che è già in grado di avere un impatto da star senza nemmeno sapere che giocatore è. E qui entra in gioco Stan Van Gundy.
No, it’s Superman!
Sembra scontato che Zion avrà molta più libertà con la palla in mano del Dwight Howard di un decennio fa, ma, purtroppo per lui, non avrà sempre la possibilità di travolgere tutti con la sua potenza in campo aperto. Saranno i possessi a metà campo, come per Giannis oggi e per un giovane LeBron prima di lui, a determinare i risultati che i Pelicans riusciranno a raggiungere nell’era Williamson; è proprio in questi possessi che è lecito aspettarsi il classico 1 in – 4 out che Van Gundy ha cucito prima intorno a Howard e poi intorno a Drummond.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi come mai in un caso abbia fruttato un ciclo vincente con un’apparizione alle Finals, mentre nell’altro caso… nell’altro caso – direbbe Paolo Bitta. Una spiegazione più dettagliata di tutto quello che non funzionava nell’attacco dei Pistons la trovate qui, in un articolo che mi è stato girato dal boss Astarita come un mattone scagliato attraverso una finestra con allegato il bigliettino “FINISCI L’ARTICOLO“.
Nonostante l’apparente somiglianza strutturale, che deve aver tratto in inganno anche Coach Stan al momento della firma, il formidabile atletismo di Howard rende il confronto fra i due centri impietoso. Vi basta sapere che, qualunque filtro provassi a inserire, negli anni con SVG in panchina – e volendomi sbilanciare direi anche negli altri anni – Drummond era sempre troppo lontano dalla cima delle classifiche sull’efficienza dei post up, al punto che di stagione in stagione gliene sono stati concessi sempre meno. Nel 2015-2016, primo anno in cui sono disponibili i dati su nba.com e ultimo in cui gli sono stati concessi più di quattro post up a partita, la situazione è questa, ovvero: Drummond è il peggiore della lega.
Howard, al contrario, e qui vi dovete fidare del mio caro vecchio eye test, era un pericolo per le difese quando riusciva a ricevere in posizione profonda, al punto da attirare raddoppi che l’ex lungo di Detroit ha visto raramente. L’esplosività, la forza e la rapidità di Howard, al netto di movimenti meccanici e un arsenale limitato, garantivano una pericolosità che Drummond, nonostante sia un ottimo atleta, non ha mai avuto e, a parità di lentezza nelle letture una volta ricevuta palla, lo stesso discorso si applica sui pick’n’roll. Per la gioia di tutta la città di New Orleans, il fisico di Zion è straordinario come lo era quello di Superman.
Superman at work
Osservare i movimenti di Howard e l’attacco disegnato intorno alla sua imponente presenza da Stan Van Gundy ci può dare quindi un’idea di come saranno i Pelicans all’alba del nuovo decennio. Il tutto va preso con le pinze più lunghe del mondo per ovvi motivi anagrafici e per la peculiarità tecnica del trio Ball – Ingram – Williamson. Vedremo prima due pilastri dell’attacco dei Magic, ovvero Punch e Horns, poi una variante particolare di Turn, un gioco che potrebbe adattarsi perfettamente al trio sopracitato.
Punch, ovvero “buttiamo la palla al più grosso più in fretta possibile”, è quello con cui tutti identifichiamo a grandi linee l’attacco di quei Magic. Le chiavi sono una ricezione profonda e spaziature adeguate. Zion risulterebbe devastante in queste situazioni, con tutta l’area a disposizione e una difesa ancora non posizionata perfettamente. La base di questo gioco è letteralmente quello che ho scritto sopra, che sembra facile ma richiede che tutti corrano e corrano con costrutto; si riempiono gli angoli, il centro prende posizione in mezzo al pitturato e la guardia lo serve o direttamente o passando per un compagno che abbia un angolo migliore.
L’unica incognita che mi sento di evidenziare immaginando questo tipo di gioco messo in campo dai Pelicans è la capacità di servire Zion adeguatamente. I giocatori di oggi hanno sempre più difficoltà ad eseguire entry pass in modo corretto, non perché siano scarsi ma perché è un fondamentale che ha perso di importanza vista la carenza di gioco in post basso.
Con uno come Zion, però, sarà importantissimo che la palla venga recapitata con modi e tempi corretti; la presenza di un playmaker moderno con un’interpretazione un po’ retrò del ruolo come Lonzo Ball lascia ben sperare, dato che fa di testa alta e decisioni fulminee in transizione i suoi punti di forza.
Questa, invece, è un’esecuzione di Punch a metà campo, il cui principio è servire Howard, tagliare e rimpiazzare sul perimetro. In questo caso Howard non è impeccabile ma riesce comunque a ritrovare il possesso in tempo utile per servire il terzo tagliante che si presenta in area. Terzo tagliante significa grande attività da parte di tutti, non solo stare ad aspettare che il centro faccia qualcosa, e con un passatore volenteroso come Zion i compagni verranno sicuramente ricompensati per i loro sforzi. Senza dimenticare che il campo al giorno d’oggi è molto meno congestionato, altro elemento che può contribuire al successo delle idee di SVG.
Horns Double, nella clip, è una leggera variante di Horns, che si differenzia dall’originale per il fatto che sia Howard che Lewis vadano a portare il blocco lasciando a Nelson la scelta, mentre nella versione standard Howard gioca il pick’n’roll e Lewis sale dal post alto per prendere posizione sul perimetro. La difesa ha sia l’esigenza di ostacolare il taglio di Howard che di recuperare su Lewis – e questo recupero deve essere molto più rapido e aggressivo nel 2020 – per cui Dwight riesce a ricevere ancora una volta in posizione profonda, attirando così anche Bryant (ci manchi Kobe!). Questo significa che il taglio ha impegnato due difensori oltre al diretto marcatore, cosa che al giorno d’oggi ci farebbe esclamare “‘sticazzi che roll gravity!” e che Zion ha tutti i mezzi per replicare.
Beyond Superman
Qui vi lascio il link ad un breve intervento – meno di un minuto – di Jon Barry che spiega le dinamiche dei pick’n’roll degli Orlando Magic, questa volta con Gortat protagonista insieme a Rashard Lewis. Da notare ancora una volta le ottime spaziature, sfruttate al massimo indipendentemente dalla presenza di Superman nel pitturato. Rimane sempre fondamentale la capacità di muovere il pallone con intelligenza e tempismo, cosa non scontata per una squadra giovane.

Per concludere ecco il set che mi ha più intrigato in prospettiva Pelicans spulciando il playbook dei Magic. Si chiama Turn 5 e l’idea di fondo è quella di sfruttare il vecchio detto “il bloccante è l’uomo che si libera” per generare lob facili da convertire se ti chiami Dwight o Zion. In caso questo non si concretizzasse, si è comunque liberato un quarto di campo con ottime spaziature dopo aver mosso la difesa, potenzialmente con un mismatch da sfruttare per uno fra Ingram e Williamson.
Ho proposto proprio questa situazione perché credo che possa mettere in risalto le doti migliori del giovane nucleo di New Orleans: l’abilità come passatore di Ball, le doti di scorer di Ingram e tutta la forza e l’atletismo di Zion. Di spin out lob per Howard è pieno il web, ma un video con qualità decente dove lo schema avvenga in modo pulito pulito non l’ho trovato, per cui vi lascio volare con la fantasia in attesa di scoprire sul campo i giovani Pelicans guidati da Coach Van Gundy.