Dopo avere accarezzato l’anno scorso il sogno di tornare a giocare le Finals per la prima volta dal 1974, i Milwaukee Bucks si sono presentati ai nastri di partenza della nuova stagione con l’obiettivo dichiarato di trasformare il sogno in realtà.
In regular season la franchigia del Wisconsin è stata per lunghi periodi un autentico rullo compressore, tanto da far dichiarare a uno dei co-proprietari di voler puntare ai record storici di Bulls e Warriors, anche se un calo nelle prestazioni nelle ultime partite pre-stop ha fatto sfumare l’obiettivo prematuramente. In particolare, la difesa basata sul drop dell’ancora difensiva Lopez e sulle prestazioni del DPOY Antetokounmpo è sembrata quasi impenetrabile, come peraltro testimoniato dai dati sul defensive rating.
I Bucks visti nella bolla sono però sembrati lontani parenti di quelli di pochi mesi prima, sia nelle ultime partite di regular season, che ai playoff. Il fatto di avere una panchina molto lunga è stato infatti positivo nel corso della stagione regolare, permettendo a coach Budenholzer di far risparmiare minuti preziosi ai titolari che hanno viaggiato su medie piuttosto basse, ma il lungo stop pre-bolla ha di fatto vanificato il vantaggio legato al riposo delle star, evidenziando piuttosto il minore talento generale del roster.
Il fattore tangibile principale della disfatta di Milwaukee sembra però essere stato un altro: la difesa è infatti naufragata di fronte alle mosse degli allenatori avversari, rivelandosi troppo facilmente esponibile e condannando i Bucks a una cocente delusione. Le ragioni del disastro non possono però essere imputate solo al coaching staff, ci sono cause più o meno profonde legate anche al lavoro del front office che possono essere analizzate.

Front Office
Dopo l’addio di Hammond al termine della stagione 2016-2017, i Bucks si sono affidati al lavoro del giovane Jon Horst per il ruolo di GM. Nelle scorse stagioni alla guida del front office, ha alternato operazioni molto buone, come ad esempio la scelta di Donte DiVincenzo al draft o la firma di Brook Lopez con la bi-annual exception, ad altre assolutamente inspiegabili o discutibili, come la decisione di lasciare andare Brogdon in free agency o i termini del rinnovo di Bledsoe.
Il rinnovo di Bledsoe appare sbagliato da molti punti di vista, più o meno evidenti di primo acchito.
Innanzitutto, il tempismo: Bledsoe nei playoff precedenti si era dimostrato inadeguato al palcoscenico, steccando completamente la serie contro i Celtics, di cui rimarrà il suo tristemente famoso “who is Rozier?”. Naturalmente tutti hanno diritto a una seconda chance, ma con Middleton, Brogdon, Lopez e Hill in scadenza, il rinnovo di Eric non sembrava dover essere la priorità assoluta del front office. Piuttosto sarebbe sembrato molto più sensato aspettare a rinnovargli il contratto, decidendo in base alle sue prestazioni ai playoff ed evitando di impegnare spazio salariale prima dell’apertura della free agency.
Secondo problema, la durata: quattro anni senza team option sono tanti, troppi per un giocatore che non offre particolari garanzie a una contender. Ultimo, ma non ultimo: il contratto è stato strutturato a salire, aumentando di anno in anno sempre di più il peso sul salary cap di Bledsoe.
Horst ha cercato di andare in all-in vista la presenza di Giannis e la necessità di allestire una squadra competitiva per convincerlo a sposare il progetto, scegliendo giustamente di considerare cedibili le scelte al draft dei Bucks nell’ottica di un miglioramento a breve termine del roster, come ad esempio la firma di Mirotić in vista degli scorsi playoff, o di un salary dump. La gestione delle scelte al primo giro è sembrata però poco accorta: già nell’offseason del 2018, una prima scelta era stata usata per liberarsi dei contratti di Dellavedova e Henson, ma almeno aveva portato in dote George Hill, uomo spogliatoio e ottimo giocatore di rotazione.
Nella scorsa offseason, però, Horst ha finalizzato una trade che appare piuttosto frettolosa e sbilanciata nella fretta di liberarsi del contratto di Tony Snell, a libro paga per circa 11 e 12 milioni nei due anni successivi, gli ultimi di un quadriennale offertogli dallo stesso GM solo due anni prima. I Pistons sono stati ben contenti di assorbire il contratto di Snell insieme alla prima scelta, mandando per di più nel Wisconsin il lungodegente Jon Leuer e i suoi 10 milioni garantiti di stipendio. I Bucks hanno quindi immediatamente tagliato il lungo, ritrovandosi comunque obbligati a tenerlo a libro paga per più di tre milioni all’anno per tre anni: si sarebbe potuto fare decisamente meglio.
Anche nella costruzione del roster gli si possono imputare varie colpe, a partire dalla spada di Damocle che ha accompagnato tutta la stagione dei Bucks, ovvero la necessità di dimostrare che la scelta di non rinnovare Brogdon non fosse sbagliata e che la squadra non ne avrebbe risentito eccessivamente. Il front office e la dirigenza hanno infatti spiegato che il problema non era il fatto di non voler pagare la luxury, ma piuttosto il fatto di non considerare Brogdon un giocatore talmente forte da valere un sacrificio simile, reputando di poter trovare di meglio in free agency o in casa, sviluppando giocatori come DiVincenzo.
Missione fallita, anche se seguita da una vera e propria magia: la firma di Wesley Matthews al minimo salariale. La stagione della guardia è stata decisamente positiva, specialmente nella metà campo difensiva: spesso Wes ha preso in carico l’esterno più pericoloso avversario e la sua presenza ha permesso di ridurre il carico difensivo di Middleton per fargli risparmiare energie, oltre ad aver fornito in attacco un tiro dall’arco discretamente affidabile.
Si è molto parlato nel corso dei playoff della possibilità di andare nella direzione di un quintetto “piccolo” (se così si può definire vista la stazza dei giocatori) con Giannis da cinque, nell’ottica di poter cambiare su ogni blocco, senza quindi soffrire la lentezza di Lopez. L’idea è sicuramente interessante, soprattutto alla luce delle strategie di Magic e Heat contro la difesa drop e le critiche a Budenholzer sono più che legittime, ma bisogna tenere comunque conto della costruzione del roster nelle analisi.
In estate il front office ha infatti deciso di puntare con decisione sull’allora trentunenne Brook Lopez, legandocisi per quattro anni con un contratto interamente garantito da 52 milioni totali e promuovendo di fatto a pieni voti il sistema difensivo basato su di lui. Questo ha comportato quindi un taglio dei costi in altri reparti, rappresentato sia dall’addio di Brogdon, che dall’impossibilità di firmare altri giocatori interessanti per via della situazione salariale piuttosto ingolfata.
Tornando quindi al contesto dei playoff, sulla carta un quintetto del genere sarebbe potuto essere più adeguato per rispondere alle mosse di Clifford e Spoelstra, ma nella pratica il roster dei Bucks non è stato costruito per giocare in quel modo e panchinare Brook non avrebbe per forza portato a un miglioramento della situazione, vista la diluizione del talento negli altri ruoli dovuta alla lunghezza del roster. Inoltre, offensivamente Lopez si è dimostrato molto utile ai playoff, ritrovando il suo tiro da tre dopo un’annata difficile (39.6% su 5.3 tentativi a gara), allargando quindi il campo per i compagni: escluderlo dalle rotazioni avrebbe richiesto una buona dose di coraggio e un’attenta valutazione delle alternative.
Coaching Staff
Delle difficoltà di Budenholzer in un contesto di playoff abbiamo già in parte parlato nel video che potrete recuperare tra pochi attimi, ma vale la pena di provare a fare qualche valutazione più a mente fredda sul lavoro del coaching staff.
Dare la colpa di tutti i mali dei Bucks all’allenatore sarebbe infatti decisamente ingiusto e poco onesto intellettualmente, anche se chiaramente la dirigenza e i tifosi si sarebbero aspettati di più da un due volte Coach of the Year, che per due anni di fila ha dominato la regular season, raggiungendo addirittura il miglior record della lega nella stagione appena conclusa.
A Budenholzer si può e si deve imputare principalmente una colpa: un allenatore della sua esperienza non può aspettarsi di poter giocare i playoff senza piani alternativi o assi nella manica, soprattutto nella metà campo difensiva, semplicemente replicando all’infinito le stesse tendenze seguite in regular season. In postseason i margini di errore sono ridottissimi e gli avversari sono pronti a sfruttare ogni minimo potenziale punto debole, a maggior ragione se messi davanti a una squadra che sulla carta dovrebbe essere una corazzata.
Il suo integralismo nel seguire la strada della difesa drop di Brook Lopez ha offerto ai coach avversari la possibilità di sfruttare il tiro dalla media per far male ai Bucks, portando come già accennato molti appassionati a chiedersi se non potesse essere più efficace un quintetto con Giannis da cinque. Ciò che però ha stupito è il fatto che anche con Lopez in panca Budenholzer abbia seguito questa filosofia, utilizzando sia Giannis che Marvin Williams sostanzialmente nello stesso modo di Brook. Così facendo ha di fatto vanificato il vantaggio offerto da Antetokounmpo nelle vesti di lungo principale, ovvero la sua capacità di cambiare su qualunque blocco, senza lasciare quindi agli avversari un bersaglio chiaro da attaccare per ottenere un vantaggio.
Un altro aspetto che ha lasciato gli addetti ai lavori perplessi è la gestione delle rotazioni, decisamente troppo simile a quella che ha caratterizzato la regular season. Già l’anno scorso Budenholzer aveva optato per rotazioni larghe nel primo turno contro i Pistons, in modo da preservare il più possibile i titolari per i turni successivi e quest’anno ha scelto di adottare la stessa filosofia, anche per permettere a tutti di recuperare il ritmo partita perso nei mesi di stop.
Contro Miami il coach ha sicuramente ristretto un po’ il minutaggio di alcuni giocatori, ma è sembrato comunque riluttante all’idea di far giocare più minuti del previsto ad Antetokounmpo e Middleton, visto l’imprevisto andamento della serie. Ai playoff ci si aspetterebbe di vedere un allenatore affidarsi con la massima fiducia alle star della squadra, ma solo in gara quattro Bud ha deciso di non limitare il minutaggio di Middleton, visto anche l’infortunio di Giannis, ottenendo tra l’altro l’unica vittoria della disastrosa serie.
Un ultimo elemento veramente importante da prendere in considerazione e che ha influito sugli ultimi pessimi quarti di partita giocati dai Bucks nella serie contro gli Heat è stato l’assenza di una closing lineup ben definita. Milwaukee ha spesso vinto le partite di regular season con ampio margine, dovendo raramente ricorrere a un quintetto specifico e ben collaudato per portare a casa la tanto agognata vittoria.
Ai playoff la situazione è radicalmente cambiata: Miami ha dominato gli ultimi periodi, trascinata dalle splendide prestazioni di Jimmy Butler e i Bucks si sono ritrovati completamente in balia degli eventi, ruotando tanti giocatori senza mai trovare la quadratura del cerchio. In quei frangenti, Budenholzer ha completamente perso il controllo della situazione, operando scelte anche abbastanza discutibili, come ad esempio non aver rimesso in campo di fronte allo show balistico di Butler in gara uno Wesley Matthews, unico giocatore che fosse davvero riuscito a limitarlo nel corso della partita.
Un coach del suo livello non può permettersi di andare a tentoni nei finali di partita: batoste come il parziale di 40-13 nel quarto quarto di gara tre non sono assolutamente scusabili e durante l’offseason Bud dovrà mettersi una proverbiale mano sulla coscienza per evitare di compiere un errore così grossolano in futuro, iniziando a lavorare fin da subito su un quintetto in grado di ammazzare i finali di partita.
L’offseason della svolta?
Per i Bucks inizia ora una offseason importantissima, che potrebbe segnare in un senso o nell’altro un punto di svolta nelle ambizioni della franchigia, in base alla scelta a lungo termine di Antetokounmpo. Se il back-to-back MVP dovesse decidere di firmare il supermax, legando il proprio destino a quello di Milwaukee, il front office avrebbe la possibilità di operare con un minimo di calma in più, evitando panic move o di strapagare alcuni giocatori per cercare di mantenere la squadra competitiva nel breve termine. Se invece dovesse decidere di testare il mercato nell’estate 2021, le strategie cambierebbero radicalmente: i Bucks hanno già dichiarato di non voler scambiare Giannis in ogni caso e schiaccerebbero ancora più a fondo il pedale dell’acceleratore per cercare di migliorare il proprio percorso ai playoff e convincere la star a rimanere nel Wisconsin.
Il front office e il coaching staff avranno sicuramente modo durante l’offseason di valutare a mente fredda gli errori che hanno reso questa stagione deludente, in modo da evitare di ripeterli l’anno prossimo. Dalle loro valutazioni nascerà la stagione che forse potrà finalmente rispondere alla domanda che tormenta i tifosi della franchigia e che in generale tutti gli appassionati si saranno posti almeno una volta: i Bucks sono solo un meraviglioso e incompiuto fuoco di paglia o hanno veramente ciò che servirebbe per rompere un digiuno che dura ormai da cinquant’anni?