“Indiana, we grow basketball here”. I più attenti avranno notato questa scritta che campeggia sulla sideline della Bankers Life Fieldhouse a Indianapolis, la casa degli Indiana Pacers.
Quel motto affonda le proprie radici nella straordinaria connection che lega lo stato dell’Indiana alla Pallacanestro (la P maiuscola è d’obbligo) da tempi immemori. I motivi per cui i Pacers hanno adottato la divisa “Hickory” affondano infatti le loro radici nella incredibile storia della Milan High School, una scuola di 161 studenti che vinse il campionato dello Stato del 1954, torneo nato nel 1911 e a cui potevano partecipare tutte le 752 High School presenti nell’Indiana a quel tempo.
Per vincerlo dovettero battere la Crispus Attucks High School, che magari non vi dirà molto, ma schierava un certo Oscar Robertson.
L’Indiana è anche lo stato della Taylor University, un college inserito nel circuito NAIA del College Basket, ma non per questo meno famoso di tanti college con ben più alto pedigree.
La Pallacanestro ha nell’Indiana un grande pezzo della sua Storia.
Ma il Gioco (la maiuscola di nuovo obbligatoria) sta cambiando. Ciò che si credeva scritto nella pietra è stato abbandonato, i Big Man una volta imprescindibili sono diventati buoni per stint di qualche minuto con scopi in larga maggioranza difensivi. Se non ti chiami Embiid, Towns, Davis o Jokic quello è il tuo destino, altrimenti c’è sempre l’Europa.
Tirare da 3 non è più una scelta, è una necessità obbligatoria per gli esterni ed un requisito non così tanto meno vincolante per i giocatori interni, sempre chiaramente che si riesca a distinguere chi appartiene a quella o a quell’altra categoria. Il Gioco è vivo e guarda al futuro. Viva il Gioco.
Nella NBA odierna, forse perché ancora molto affezionati ad un’idea tradizionale di pallacanestro, gli Indiana Pacers si sono dimostrati tra i meno inclini a sposare queste tendenze e ad adeguarcisi: negli ultimi anni non si è praticamente mai rinunciato ad avere due giocatori di forte vocazione interna, e come numero 4 il più moderno tra quelli avuti è Domantas Sabonis, giocatore al quale non si può certo affibbiare l’etichetta di stretch-four.
L’ultima annata, come già discusso da queste parti, è stata il laboratorio per l’esperimento su uno dei front-court più old-style della Lega, con Sabonis appunto da 4 e Myles Turner da centro per vedere quali risultati la loro, effettiva e dimostrata, compatibilità in entrambe le metà campo avrebbero generato.
Nel back-court le scelte hanno portato ad aver un playmaker con caratteristiche classiche come Brogdon (ottima presa della scorsa Off-Season), McConnell e Holiday: buon Ast% (35% quella di Brogdon, 8° nella lega tra i giocatori con almeno 30 minuti), limitato numero di palle perse e propensione al gioco collettivo più che a quello personale. Anche qui decisioni non al passo coi tempi.

COSA SONO STATI I PACERS?
Con la struttura di cui sopra, in cui a febbraio si è innestato un Oladipo non eccezionale al rientro, Indiana ha conquistato il quarto seeding ad Est, per poi crollare nello sweep subito al primo turno dagli Heat. Appena chiusa la stagione il risultato finale aveva contorni più tetri, ma certamente il poderoso cammino di Butler e soci non può essere una consolazione per la quinta eliminazione consecutiva al primo turno playoff, la seconda di fila con uno 0-4 come, peraltro, in 3 delle ultime 4 partecipazioni.
Questo ruolino di marcia è costato la panchina a coach McMillan, riconfermato appena tre settimane prima dai Pacers, ma sul quale i dubbi già esistenti al momento della conferma sono divenuti evidenze dopo le quattro partite con gli Heat. A pesare sulla scelta è stato soprattutto il pochissimo sviluppo che la squadra ha avuto sotto la sua gestione e l’assenza di una strategia chiara: una costante, persino banale, mediocrità. Da playoff, ma pur sempre mediocrità.
Ai Pacers manca qualcosa per competere ad un livello più alto ed occorre che la dirigenza definisca nel più breve tempo possibile la strada da percorrere, soprattutto in funzione della ormai nota questione del contratto di Oladipo, di cui parleremo nell’ultima parte.
Sebbene non sia possibile sintetizzare in pochi dati le caratteristiche di una squadra in una stagione assolutamente unica nel suo genere come quella appena terminata, è possibile almeno rapportare il rendimento di Indiana ai dati delle squadre che hanno ottenuto risultati migliori.
IL TIRO DA 3 PUNTI
I primi dati che presentiamo sono il NET RATING (la differenza tra punti segnati e subiti su 100 possessi), la TRUE SHOOTING PERCENTAGE (una percentuale di tiro costruita tenendo conto della composizione di tiro di ogni squadra tra tiri liberi, tiri da 2 e tiri da 3) e il PACE (il numero di possessi a partite di ogni squadra)

Posto che il NET RATING è un dato che può portare a conclusioni fuorvianti, è pur vero che è quello che sembra essere maggiormente esplicativo del rendimento complessivo di un team: solo Dallas (al sesto posto) riesce ad inserirsi tra le prime 8 senza aver raggiunto il secondo turno, mentre Denver si fa sopravanzare da Utah e Philadelphia ma è pur vero che parliamo di squadre di alta fascia NBA (e una di queste è andata ad un tiro di Conley da eliminare proprio i Nuggets, dopo averli portati 1-3 nella serie).
Sorprendentemente poi il pace risulta essere una variabile non molto predittiva: in questa statistica il 22esimo posto dei Pacers non deve preoccupare tantissimo, dato che per andare in finale NBA si può avere il quarto peggior dato della Lega e che per vincere il titolo può bastare l’11° posto in questa speciale classifica, con 101,2 possessi di media a partita.
Rispetto alla media delle otto squadre approdate al secondo turno, Indiana ha invece molto da recuperare per quanto riguarda la TS%, un dato in cui, ad eccezione di Boston e Denver, le squadre arrivate al secondo turno di playoff sono tutte nella top 10 NBA. Tuttavia questo grafico, che lega la 3FG FREQUENCY del tiro da 3 punti alla TS%, dimostra come la maggior critica mossa ai Pacers in questi anni, ovvero il relativo poco utilizzo del tiro dall’arco, non sia una variabile fortemente esplicativa:

Come si può notare, la frequenza del tiro da 3 punti non mostra, per i dati della RS 19-20, una elevata correlazione con la TS%. Il coefficiente di correlazione è ρ=0,32. Anche a livello visivo i Pacers, 30esimi nella Lega, vantano quasi il medesimo Usage dei New York Knicks, ma una TS% di ben 3,5 punti più elevata. Viceversa i Kings non riescono a migliorare la loro TS% con quasi 8 punti percentuali in più di utilizzo del tiro da 3 punti. A livello generale poi si evidenzia come la squadra con la percentuali di tiro più elevata siano stati i Miami Heat, solo al settimo posto per numero di tiri da 3 punti presi su 100 possessi.
Non tragga in inganno però questa comparazione statistica, perché nella “Nba Math” di questi anni il fattore che fa tornare le equazioni è il personale a disposizione. L’efficacia di una strategia di gioco, infatti, dipende in grande parte dalla qualità di chi la esegue.
E’ sempre bello spendere due minuti in questo modo
É evidente come nei Pacers un giocatore con qualità del genere manchi totalmente. Al momento la migliore opzione è McDermott, il quale, tuttavia, per limiti difensivi evidenti non è presentabile che per 10-15 minuti a gara. Il mercato dovrà cercare di porre rimedio a tale mancanza.
Fare dei nomi che possano essere strumentali a questa esigenza non è semplice, ma il profilo di giocatore a cui i Pacers potrebbero puntare è molto simile a quello di Buddy Hield, leader NBA per tentativi da 3 su 100 possessi e stabile al 40% di realizzazione. La sua TS% è vicina al 57%, mentre il maggior difetto dell’ex Oklahoma è la fase difensiva: pessimo il suo 111.9 di Defensive Rating e addirittura il dato dei Kings con lui fuori dal campo è 107.2, ben 5 punti in meno.
Detto questo, Indiana nella passata Regular Season è stata la 6° squadra per Def Rtg nella Lega, ma solo la 19esima per Off Rtg: appare da questo evidente quale sia la metà campo su cui i Pacers devono intervenire maggiormente.
Per arrivare ad un giocatore come Hield (o simili per tipologia di gioco, minutaggi e pedigree), uno tra Sabonis e Turner potrebbe essere il giocatore sacrificabile in una trade, spostando Tj Warren definitivamente da numero 4.
TURNOVER E CONTROPIEDI
Nel paragrafo precedente si è discusso della relazione tra pace e risultati di squadra.
Contrariamente a quello che la vulgata vorrebbe, specialmente tra i detrattori della NBA “moderna”, non è necessario essere tra le migliori squadre da questo punto di vista per arrivare in fondo e vincere. Nella scorsa stagione, Milwaukee e Houston hanno avuto il maggior numero di possessi a partita, ma ciò non gli ha garantito di arrivare oltre il secondo turno playoff.
Del resto, la novità dei “Seven Second or Less” dei Phoenix Suns di D’Antoni, che ricordiamolo ebbero pace compresi tra i 96.45 e i 97.72, dati che ora li collocherebbero rispettivamente al penultimo e terzultimo posto della Lega, non era un mero esercizio di estetica applicata al basket, ma si prefiggeva di forzare gli avversari ad un ritmo più congeniale ai Suns e, soprattutto, a generare continue situazioni di contropiedi e canestri facili.

Anche in questo caso confrontiamo i dati dei Pacers rispetto alle top 8 uscite dagli ultimi playoff. Da notare che le squadre che fanno peggio all’interno di questo gruppo hanno più di una robusta giustificazione: Denver ha Jokić, Miami ha un importante iso-player come Butler, i Clippers hanno Leonard e George. Tutti giocatori, in definitiva, in grado di creare un vantaggio anche con una difesa schierata. I Pacers, come la serie contro gli Heat ha palesato in maniera evidente, ne sono assolutamente sprovvisti.
Le conclusioni sono due e per giunta diametralmente opposte: si può prediligere un gioco maggiormente rivolto a trasformare la buona difesa dei Pacers in contropiedi per non far schierare gli avversari o inserire un giocatore Elite-NBA negli attacchi a difesa schierata. Data la scarsissima flessibilità salariale di Indiana, il suo bassissimo fascino nei confronti dei Free Agent più ambiti e, soprattutto, le dichiarazioni del nuovo Head Coach Nate Bjorkgren, preferiamo concentrarci sulla prima delle due opzioni.
Le intenzioni di Bjorkgren sono infatti quelle di inserire concetti molto moderni: tiro da 3 punti, cambi difensivi sistematici e la ricerca di movimento in entrambi i lati dell’attacco, ma è evidente a chiunque che il roster attuale non si sposi benissimo con le idee del nuovo staff tecnico.
Qui le idee possono essere diverse e non è possibile trovare il singolo giocatore che possa cambiare una squadra in maniera totale, escludendo ovviamente le superstar. Ci sono però movimenti che si potrebbe provare a fare, provando ad arrivare a giocatori come Ricky Rubio o Jrue Holiday: i due nomi citati sono i due registi di due squadre dall’alto ritmo, coi Pelicans addirittura quarti della Lega.
Specialmente il terzo Holiday (dopo la collezione dei TJ, si andrebbe a completare quella degli Holiday…) mostra dei dati davvero interessanti: con lui in campo il Net Rating dei Pelicans è ben 5,3 punti superiori ai minuti con lui in panchina. L’arrivo di un nuovo play titolare potrebbe comportare lo spostamento di Brogdon da guardia, qualora il sacrificato fosse Oladipo. E qui arriviamo all’ultima parte della nostra disanima.
COSA FARE CON OLADIPO?
Quella che poniamo ora è LA domanda della Off-Season 20-21 per Kevin Pritchard.
Il contratto di Dipo è in scadenza dopo la prossima annata e dal rientro dall’infortunio le sue prestazioni non sono state nuovamente all’altezza di quelle precedenti al brutto stop del febbraio 2019. Il rischio di un nuovo caso George (se non peggio) fa tremare la dirigenza di Indiana.
Riassumiamo alcune delle principali statistiche (su 100 possessi) di Oladipo nelle ultime due stagioni:

La scelta è ardua, forse una di quelle che possono forgiare il destino di uno small market per diversi anni: Oladipo giocherà il prossimo anno per andare a caccia del miglior contratto possibile, ma non è detto che vorrà tornare ad Indianapolis, benché Indiana potrebbe offrirgli l’accordo più remunerativo dal punto di vista economico.
La certezza è che più si andrà avanti e più il potere contrattuale dei Pacers nei confronti di ogni potenziale controparte in una trade calerà, mentre è difficile sapere quale Oladipo vedremo nella prossima stagione: tornasse ad un livello All Star scatterebbe la caccia ad averlo da parte di diversi team ed Indiana avrebbe tutto da guadagnarci (ma rimarrebbe la necessità di cederlo qualora lui non volesse rifirmare); in caso contrario i Pacers si ritroverebbero con un giocatore non più appetibile sul mercato, forse non in grado di essere il centro di un progetto “contender” e con il rimpianto di non averlo scambiato quando ancora era possibile farlo con profitto.
Pritchard deve decidere cosa fare con Oladipo prima ancora di prendere qualsiasi altra decisione sul roster e sul mercato in generale, perché le possibilità che Indiana diventi davvero competitiva in ottica playoff non possono prescindere dalla corretta valutazione di quanto Victor possa contribuire al next step dei Pacers. Muoversi sul mercato in qualunque senso senza un corretto e approfondito assessment della questione sarebbe come brancolare nel buio: il rischio di imbattersi in un ostacolo e farsi molto male sarebbe davvero concreto.