“Perché Dinwiddie è l’eroe che Brooklyn merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso. E quindi gli daremo una trade. Perché lui può sopportarlo. Perché lui non è un eroe. È un playmaker silenzioso che vigila su Brooklyn”.
La stagione della rifondazione dei Brooklyn Nets non è andata come previsto. L’anno zero invece che porre le basi per edificare il successo futuro ha distrutto dalle fondamenta la franchigia newyorkese. Caos, infortuni e decisioni discutibili hanno minato le certezze dei bianco-neri che ora sono costretti a prendere una decisione forte: rivoluzionare o morire.
Ciò che è apparso più evidente è che i giocatori legati al ‘sistema Atkinson’, tranne Caris LeVert, sembrino un corpo estraneo rispetto al resto della squadra. Su tutti Spencer Dinwiddie. Dopo una RS da protagonista inaspettato, la point guard non è riuscita a capire in quale direzione stesse andando la squadra, rimanendo un passo indietro rispetto ai nuovi compagni. Se in una squadra che vedeva D’Angelo Russell come accentratore di gioco era fondamentale avere una bocca di fuoco che potesse sostituirlo quando non era in campo ed aiutarlo a costruire quando i due si dividevano il parquet, in questi Nets serve tutt’altro ruolo e, probabilmente, un giocatore diverso.

Cosa è stato Spencer Dinwiddie?
Sarebbe troppo facile rispondere “l’uomo giusto al posto giusto” ma questo è stato il fu numero 8 (attualmente indossa il 26). Dopo tre stagioni da girovago tra Detroit, G-League e Chicago si presenta davanti a Dinwiddie la chance della vita, quella che non va sciupata per nessuna ragione al mondo. I Brooklyn Nets hanno iniziato da poco un progetto affascinante con coach Kenny Atkinson e sono alla ricerca di una point guard di riserva. La stagione 16/17 si conclude senza particolari assoli: il prodotto dei Colorado Buffaloes dimostra di poter essere un giocatore da NBA ma con un minutaggio di poco superiore ai venti minuti, molti dei quali giocati con la second unit.
L’annata della svolta è quella successiva. D-Loading atterra sul pianeta Brooklyn ma il tempo sul parquet non diminuisce per Dinwiddie. Gli infortuni che tormentano Jeremy Lin e la capacità dell’#8 di giocare al fianco di Russell gli consentono di ritagliarsi uno spazio sempre più importante nelle rotazioni di coach Atkinson arrivando a diventare membro del quintetto con cui i Nets chiudono la gara.
Il 21 gennaio del 2018 è il giorno della tanto desiderata vendetta. I bianco-neri vanno in trasferta a Motor City dove li attende proprio l’ex squadra della point guard. Sul punteggio di 99-100 per i padroni di casa e con meno di 5 secondi da giocare l’head coach decide di disegnare l’ultimo possesso proprio per Dinwiddie. Il pallone del destino a malapena sfiora la retina, + 2, vincono i Nets.
Da quella gara probabilmente la percezione degli addetti ai lavori e degli appassionati NBA nei confronti del numero 8 è cambiata totalmente. Nella stagione 2018/19 diventa un assoluto protagonista del roster che riporta i play-off a Brooklyn e che avrà sempre un posto speciale nel cuore della Brigade.
Vive una stagione che non ha praticamente senso: 16.8 punti di media partendo dalla panchina con una effective field goal percentage del 51.7% ed una true shooting percentage del 58.0%. Corre per il premio di Most Improved Player e diventa uno dei sesti uomini più decisivi della lega. Un’annata super che gli vale il rinnovo contrattuale: un triennale a partire da 10.6 milioni di dollari con player option sul terzo anno.
Con l’arrivo di Kyrie Irving e Kevin Durant sembrano essere poste le basi per il successo futuro dei Nets, e invece…
Il ruolo attuale di Spencer Dinwiddie
In una squadra con Uncle Drew e KD il numero 26 può ricoprire il ruolo di terzo violino in coabitazione con Caris Levert. In questa RS a causa dell’infortunio che ha messo k.o. l’ex Warriors durante le scorse finals, le noie fisiche che hanno tormentato l’ex play di Boston e i vari acciacchi della shooting guard dei Nets, molto spesso Spencer Dinwiddie si è ritrovato ad essere la prima soluzione offensiva e non ha affatto sfigurato, anzi.
I punti sono passati dai 16.8 ai 20.6 per partita, gli assist da 4.6 a 6.8 ed i tiri da 12.2 a 16. Ad essere calata però è l’efficienza del giocatore: la percentuale di tiri a canestro riusciti è passata dal 44.2% al 41.5%, la eFG% dal 51.7% al 47.6% e la TS% da 58.0% a 54.1%. Un calo visibile non solo attraverso le statistiche ma anche guardando giocare i Nets. La point guard ha tenuto decisamente troppo il pallone in mano (lo usage rate è passato dal 24.9% al 29.2%) prendendo spesso dei tiri forzati e non mettendo troppo in ritmo i compagni.
Come si vede nella clip, i Celtics accettano il cambio voluto dai Nets e Gordon Hayward prende in consegna Dinwiddie. Il #26 punta a mandare fuori giri l’ex Utah con il suo ball handling, non ci riesce ma prova lo stesso il tiro che, ovviamente, non va a bersaglio. Tutto questo quando sono passati solo 10 secondi dall’inizio dell’azione.
Dinwiddie non è e non sarà mai questo tipo di giocatore ma ormai è certo che non possa tornare ad essere un comprimario o un role player. Vedere 30 minuti di hero ball portati avanti da un cestista che non ha questo tipo di giocate nelle corde è stato veramente difficile per i sostenitori di Brooklyn, ancor di più se si pensa a quando ha giocato insieme a Kyrie. Il loro fit non è un granché, anzi, e molto spesso l’ex Buffaloes finisce per restare fermo quando Irving ha il pallone tra le mani.
La dimensione off-the-ball del numero 26 è ancora tutta o quasi da costruire: poco movimento, pochi tagli, poca efficienza. Insomma ha bisogno di partire con il pallone tra le mani e BKN, se vuole arrivare dove sogna Sean Marks, non può permetterglielo. Sia ben chiaro, questa non va intesa come una critica al giocatore ma semplicemente per arrivare al piano di sopra c’è bisogno di altro.
Dove potrebbe andare a finire?
L’ipotesi che sembra più facilmente percorribile, quindi, sembra quella di una trade. Ma dove potrebbe andare a finire un giocatore del genere? La risposta più semplice potrebbe essere in un team che ha già una stella che però non sia un ball handler primario. Dinwiddie ha bisogno dei propri possessi e dei propri isolamenti (poco meno di un possesso ogni cinque lo gioca in questo modo) ed anche quest’anno ha dimostrato di non sfigurare in questo tipo di azioni.
Undicesimo nella lega per numero di iso a partita (3.2), è nel 65esimo percentile in questa speciale classifica. Come si vede nella clip, il #26 cerca di giocare l’isolamento soprattutto quando ha un mismatch favorevole: in questo caso con Gibson, così da poter prendere vantaggio in penetrazione e chiudere facilmente al ferro con un facile layup.
L’aspetto principale del gioco di Dinwiddie però è sicuramente il pick&roll. Ne gioca oltre 10 a partita (quinto nella lega dietro solamente a Trae Young, Luka Dončić, Damian Lillard e Donovan Mitchell), una frequenza pari a quasi il 50% dei palloni giocati. Il problema è che rispetto ai giocatori che ne prendono più di lui, la point guard dei Nets ne realizza di meno (0.89 per possesso) e con una eFG% più bassa (45.6%), il tutto con un turnover ratio paragonabile solo a Young che però gioca 5 possessi in più a partita in situazione di P&R. Questo non vuole ovviamente dire che Dinwiddie non sia un buon giocatore in questo ambito (è comunque nel 62esimo percentile della lega), ma che la squadra che lo vorrà dovrà avere un ottimo rollante per poter sfruttare al meglio le abilità del #26.
L’identikit perfetto potrebbe essere proprio quello della franchigia che gli ha fatto muovere i primi passi in NBA, i Detroit Pistons. A Motor City hanno due ottimi lunghi (Blake Griffin e Christian Wood, seppure in scadenza), e Dinwiddie potrebbe trovarsi alla grande a giocare i P&R con loro. Anche in situazione di alley-oop il giocatore dei Nets ha sempre dimostrato di essere un buon passatore (lo sa bene Jarrett Allen). Insomma, uno schema come quello nella clip sottostante diventerebbe un habitué alla Little Ceasars Arena. Tra l’altro Wood ha dimostrato di essere anche un discreto tiratore dall’arco e potrebbero anche giocare pick and pop.
Un’altra franchigia che potrebbe essere ben disposta ad accogliere SD26 è quella di Orlando. La stella dei Magic, Nikola Vučević, è un lungo abilissimo a giocare da rollante, giocatore che si accoppierebbe perfettamente con Dinwiddie. Anche il backcourt composto da lui e Markelle Fultz sarebbe estremamente interessante, due cestisti capaci di completarsi a vicenda su entrambi i lati del campo. L’esplosività di Kelle e la capacità del prodotto di Colorado di costruire il gioco palla in mano potrebbero essere un’ottima arma tra le mani di Steve Clifford. In difesa l’ex Pistons sicuramente non farebbe rimpiangere Evan Fournier: non sarà un difensore d’élite, ma la sua stazza gli permette di reggere l’onda d’urto degli attacchi avversari.
Resta da capire cosa potrebbero ricavare i Nets dalla sua cessione. Il valore del numero 26 è piuttosto alto, non a livello di un all-star ovviamente. L’idea di BKN è di arrivare alla tanto desiderata terza stella e quindi è probabile che Dinwiddie finisca in un pacchetto che comprenda almeno Jarrett Allen, Caris LeVert e la scelta 2020 dei 76ers. Il problema è che non ci si può presentare con un pacchetto del genere in quel di Washington pensando di portare Bradley Beal nella Grande Mela.
Si potrebbe sacrificare la point guard per arrivare ad un giocatore più funzionale per il roster ma in quel modo si andrebbe forse a svalutare SD26. I Nets hanno un disperato bisogno di un lungo che sia quanto meno presentabile ai play-off e forse anche di un 3&D, qualora Prince non dovesse svegliarsi dal sonno letargico che lo ha colpito quest’anno.
Resta il fatto che Dinwiddie non è l’eroe di cui Brooklyn ha bisogno, o almeno non lo è più. Quella tra la point guard e i Nets è stata una storia di rivincita personale e collettiva che ha scaldato il cuore della BKN Brigade per oltre tre stagioni, ma probabilmente è arrivato il momento di dirsi addio. Spencer è pronto a spiegare le ali e diventare protagonista altrove con la speranza che il suo sacrificio sia il prezzo da pagare per arrivare molto lontano.