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I demoni di Russell Westbrook

Leonardo Pedersoli by Leonardo Pedersoli
27 Ottobre, 2020
Reading Time: 13 mins read
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I demoni di Russell Westbrook

Copertina a cura di Nicolò Bedaglia

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Russell Westbrook è indubbiamente uno dei giocatori più discussi della lega, e, forse, della storia della pallacanestro.

I motivi non sono di difficile intuizione. La PG prodotto di UCLA affianca ad enormi pregi altrettanti marchiani ed evidenti difetti, e se, ad essi, abbiniamo la personalità, non certo deferente e adatta a un posto di secondo piano, abbiamo un quadro completo del perfetto oggetto di qualsivoglia discussione cestistica.

Uno degli aspetti maggiormente posti in evidenza nel corso degli anni, da me come da molti altri, è la sua capacità di incidere al massimo grado possibile, in contesti probanti, intendendo con tale espressione un livello di competizione tale da estremizzare e mettere in luce tutte le lacune e difficoltà di un giocatore, al punto da costringerlo a riadattarsi, oppure, ma solo nel caso dei grandissimi, di forzare questo “blocco” mantenendo inalterato il proprio stile di gioco e la propria efficacia.

 

La serie contro i Lakers

La serie contro i Lakers (indubbiamente un avversario di grosso calibro, come dicevamo sopra) ha, a mio avviso, mostrato in modo abbastanza palese ed estremo quali siano le debolezze nel gioco di Brodie, che l’hanno portato, nel corso degli anni, a rappresentare un “cap” (espressione di gergo: “tappo”), per le proprie squadre, e che al contempo ne hanno fatto, forse, uno dei migliori floor raiser dell’ultimo decennio e mezzo.

Fornisco subito il primo e unico disclaimer di questo articolo: sono consapevole delle particolari condizioni in cui si sia svolta tale serie, a cui possiamo aggiungere peraltro il tardivo rientro di Westbrook (prima per via del Covid e in seguito per un problema muscolare) e l’House-Gate, che ha reso, di fatto, la serie poco competitiva per le ultime due partite, dopo una prima parte comunque combattuta. Cionondimeno ritengo che quanto visto in queste cinque partite sia solo l’ennesima dimostrazione di alcuni trend ormai consolidatisi nel corso degli anni, e non ne rappresentino quindi una sorta di apice ipotetico, ma anzi una mera conferma. Ad ogni modo, a scanso di equivoci, nell’analisi mi sono concentrato in prevalenza sulle prime tre partite del secondo turno, prima che la serie di situazioni estrinseche appena menzionata ne minassero la competitività.

 

La fase offensiva

Partiamo con il prendere in considerazione quello che indubbiamente è la più grande vulnerabilità del gioco della PG dei Rockets: il jumper.

Da sempre, da quando è entrato con prepotenza nello star-system NBA, questo è stato il punto più sfruttato e cavalcato dagli avversari per cercare di mettere in difficoltà proprio il nostro numero 0.

Nella serie contro i Lakers Russell ha tentato un totale di 51 conclusioni di questo tipo, di cui 27 da 3 punti, convertendole complessivamente con un eFG del 38%, dato, come facilmente intuibile, non particolarmente positivo, e peggiorato dal fatto che, nella stessa serie considerata, i tentativi al ferro siano stati solo 39, peraltro anche in questo caso mandati a bersaglio con un non entusiasmante 55%.

La small-ball dei Rockets, che avrebbe dovuto, specie nelle intenzioni del suo ideatore, permettere al nostro di esprimere tutto il suo potenziale vicino a canestro, si è rivelata dunque inefficace di fronte a una squadra che ha costantemente sfidato Russell al tiro perimetrale, preferendo concedergli metri e metri per aiutare nel pitturato piuttosto che rischiare una penetrazione sua, o di un compagno; non a caso la squadra ha visto una diminuzione, nei suoi minuti in campo, sia delle percentuali ferro che della frequenza di triple dall’angolo, situazioni paradigmatiche della “moreyball” per come comunemente intesa.

Westbrook ha infatti mostrato, in determinate situazioni, di non sapersi adattare a questa sua grossa debolezza, intestardendosi nel cercare questo tipo di conclusioni piuttosto che attaccare in velocità una difesa già mossa (esempio più semplice potrebbe essere un taglio), cosa che gli avrebbe invece permesso di sfruttare a pieno le sue doti migliori. Non a caso la sua grandissima seconda parte di stagione, da gennaio in poi, aveva visto un’estrema diminuzione e selezione delle conclusioni in arresto-tiro, accompagnata da un fisiologico aumento dell’efficienza. Questa tendenza è però purtroppo sparita nel momento in cui si è trovato davanti una difesa da playoffs, pronta a sfruttare ogni piccola crepa nel gioco di un avversario.

 

La situazione è poi andata ulteriormente peggiorando nel momento in cui i Lakers hanno deciso di accoppiargli Anthony Davis, il quale, va detto per correttezza, oltre a essere stato il miglior difensore dei playoffs, rappresenta per lui anche la nemesi ideale, avendo sia la velocità di piedi per accoppiarsi efficacemente sul perimetro, sia la stazza e lunghezza per impedire conclusioni facili al ferro (per dare un’idea: gli avversari tendono a tirare vicino a canestro con un 4% in meno di frequenza quando AD è campo nei playoffs). Alcuni esempi di queste sue difficoltà li abbiamo avuti nelle prime tre gare della serie, sia contro The Brow, sia contro altri accoppiamenti, teoricamente più agevoli del numero 3 giallo-viola.

In tutte queste clip possiamo infatti notare come la difesa conceda ben più di un comodo cuscino a Westbrook per tirare e come lui faccia fatica ad attaccare il ferro contro la lunghezza dei difensori di Los Angeles, accontentandosi quindi, colpevolmente, di moltissimi tiri in sospensione, i quali, come abbiamo detto, non rappresentano certo il suo punto migliore. Il problema, aggiungo, non si risolve poi come puramente individuale, andando infatti a rappresentare un aiuto a livello sistemico per la squadra avversaria, la quale può permettersi di prendere molto più spesso del normale una scelta semplice, non dovendosi preoccupare per nulla del numero 0 in quasi tutte le situazioni di gioco statico a metà campo, e potendosi dunque concentrare sull’impedire situazioni più pericolose generate dai compagni.

Volendo però andare oltre a quella che è una sua conclamata e riconosciuta problematica, possiamo notare anche altri segnali che ci indicano le difficoltà incontrate dall’ex Thunder in questa serie: esempio di ciò può essere una spiccata quanto indecifrabile mancanza di decisione, che in molte situazioni lo ha portato a scelte sbagliate, o ancora uno spaesamento, sicuramente in parte determinato dalle circostanze, ma non di meno piuttosto evidente, che si è ripercosso sulla buona riuscita di una moltitudine di situazione durante il suo permanere in campo.

In generale si potrebbe dire che l’intera sua serie (e forse l’intera carriera), sia stata costellata da questa sensazione di “confusione” che l’ha portato a commettere moltissimi errori banali e una marea di palle perse, sia in situazioni di kick-out, sia in situazioni di palleggio francamente difficili da decifrare.

Per un passatore del suo livello (e stiamo parlando di uno dei migliori di sempre senza alcuna ombra di dubbio) certi errori sono inammissibili, e questa, purtroppo, rappresenta, ancora una volta, una costante nella storia del numero 0 quando trovatosi di fronte a una situazione di grossa pressione difensiva (che i Lakers hanno sicuramente offerto).

Nel momento in cui il livello di competizione si alza, e la difesa tende inesorabilmente a toglierti la prima e seconda opzione, spesso tende a ricadere in delle pessime abitudini, come se si trovasse in una situazione di obnubilamento, sia a livello di shot selection, che di decision making puro e semplice.

 

In questa serie di clip possiamo facilmente notare alcuni dei banali errori di cui parlavamo sopra, nella foga di attaccare la lunghissima difesa di LA spesso ha perso autonomamente il controllo del pallone e quando anche riuscisse ad attirare l’aiuto, spesso la riapertura si è rivelata imprecisa o tardiva. Molte di questi sbagli, tra l’altro, come si può benissimo vedere, sono palle perse così dette “live”, vive, ovvero che rimangono in campo e permettono all’avversario di sfruttare una facile transizione, specie se avvengono sotto la linea di tiro libero, e questo, contro la squadra di LeBron James ed Anthony Davis, è un regalo fin troppo costoso per i suoi colori.

La serie di Westbrook non è però solo e soltanto fatta di ombre, va detto infatti che, nel momento in cui la squadra tutta, se non l’intera organizzazione (visti i recenti sviluppi) si è trovata sull’orlo del collasso, lui è l’unico che ha continuato a lottare e metterci quella cattiveria che lo ha sempre contraddistinto, anche nei due sostanziali scrimmage di prestagione rappresentati dalle gare 4 e 5.

Non solo comunque in queste partite dalla bassissima intensità, ma anche nelle prime tre gare, il nativo proprio della Città degli angeli, è stato in grado di mostrare alcuni lampi di talento che da lui sarebbe lecito aspettarsi con maggiore continuità. La capacità di finire al ferro, nonostante le percentuali scarne, è comunque ottima e quando è riuscito (o si è deciso) a tagliare con decisione, i risultati si sono visti, specie dal momento in cui Vogel ha scelto di mandare continui raddoppi su Harden (soprattutto nelle seconde metà di gara), con l’intenzione chiara e netta di far prendere decisioni agli altri 4 e, in particolare, proprio a Westbrook.

 

Nelle prime tre azioni possiamo notare come Westbrook possa incidere sfruttando le penetrazioni dei compagni, sia che queste avvengano in una situazione di 1vs1 (come nel caso della seconda clip) sia che avvengano dopo una riapertura, magari generata proprio da un suo precedente movimento in avvicinamento (prima e terza clip), dopo il quale continui a rimanere in visione e disponibile per una conclusione ravvicinata. La successiva clip mostra invece proprio la situazione in cui è per lui possibile utilizzare, proprio a vantaggio delle proprio caratteristiche migliori, la gravity generata dai compagni: nel primo caso il raddoppio (probabilmente erroneo) su Gordon apre spazio a Rivers, Davis è troppo preoccupato da Harden e permette una facile corsia per il canestro e fallo. Le ultime due ci danno invece un’idea chiara di come avrebbero potuto essere sfruttati i raddoppi su Harden, con in entrambi i casi la difesa Lakers in difficoltà per il 4vs3 e facilmente bucata (complici, c’è da dire, un paio di errori di LeBron e Davis).

Russell, in aggiunta, ha nuovamente mostrato di possedere un ottimo IQ cestistico, il che rende, a mio avviso, ancora più inspiegabile, e forse grave, la frequenza e incidenza dei suoi momenti di blackout, i quali, non essendo presumibilmente dovuti a mancanza di intensità, sono davvero di difficile interpretazione, specie quando questi accadono in frangenti dell’azione apparentemente dalla non complicata lettura. Le situazioni che abbiamo messo in evidenza sarebbero infatti replicabili senza troppa difficoltà, e non si comprende il motivo per il quale ci si ostini a giocare, per non si sa quale vezzo estetico, “nelle mani della difesa”, andando in modo nettissimo contro i propri enormi pregi.

Tutto quanto appena detto viene ulteriormente messo in rilievo dal ruolo ricoperto da Russell all’interno della squadra. Possedendo indubbiamente infatti delle spiccate doti di leadership, anche nei confronti di giocatori a lui superiori (l’abbiamo visto in modo chiaro negli anni di Oklahoma City), Westbrook tende a rappresentare un punto di riferimento per i compagni, che sanno di potersi affidare, nel bene o nel male, al suo carisma. Ciò però non è necessariamente un bene, in quanto lo porta in moti casi a essere l’uomo verso cui tutta la squadra, e forse lo stesso James Harden, guarda nei momenti di difficoltà, anche a detrimento del suo stesso gioco, che non è, e non sarà mai, adatto dal punto di vista tecnico a risolverti una situazione di difficoltà dal nulla con il puro talento grezzo.  

 

La fase difensiva

La sua serie, abbiamo detto fatta di poche luci e moltissime ombre, si può non a caso definire a due facce (strano eh?), se gara 4 rappresenta infatti la parte positiva della luna, gara 2 è invece il punto più basso forse mai raggiunto dall’ex Bruins nella sua intera carriera.

Ci siamo infatti, fino ad ora, concentrati, giustamente, sulla parte più in vista del gioco del 9 volte all-star, ma è nella meta-campo difensiva che Westbrook ha mostrato veramente evidentissime lacune e nella quale ha rappresentato senza tema di smentite un danno per la propria squadra, e il peggio, da questo punto di vista, si è visto proprio nella gara che, con il senno di poi, ha deciso la serie, ovvero gara 2.

Con la partita punto a punto e la chance di portarsi avanti due a zero, Russell gioca infatti uno dei peggiori tempi difensivi che io personalmente abbia mai visto, ed in più lo fa in modo totalmente inesplicabile e direi quasi criptico.

In difficoltà con i falli personali (5 prima della fine del terzo quarto) ha infatti smesso totalmente di difendere, di fatto regalando la partita nelle mani di LeBron e compagni. E quando utilizzo il termine “smesso” non lo faccio per caso.

 

Possiamo qui vedere come Westbrook (inspiegabilmente in campo con 5 falli) letteralmente si sposti dalla direttrice dall’attaccante, attendendo probabilmente un aiuto, il quale però, quando la linea di penetrazione è offerta in modo così plateale, non ha mai il tempo di arrivare o di essere efficace. Nella penultima clip addirittura dopo un tiro sbagliato Russell rinuncia a tornare nella meta-campo difensiva, permettendo a James una facile schiacciata al volo. Mentre nell’ultima, dopo essersi accorto con un leggero ritardo del movimento di Morris, non offre alcun tipo di resistenza fisica alla facile penetrazione dalla lunetta di Morris.

Questo tipo di situazioni, nella gara 2, sono state ripetutissime, e, mi viene da dire, hanno quasi ricoperto l’intero ultimo quarto, con LA che ad ogni singolo possesso ha “targettato” Westbrook, sia nelle situazioni di isolamento che in quelle off-ball.

Gli errori non sono stati infatti limitati alla sola difesa on-ball, anche la difesa lontano dalla palla ha rappresentato un grosso problema per l’ex OKC, che spesso si è trovato distratto, quando non addirittura mancante della sua tanto spesso giustamente celebrata effort.

Persino a rimbalzo, caratteristica storicamente positiva per lui, non è riuscito a incidere come avrebbe dovuto, perdendosi spesso l’uomo e non eseguendo quasi mai un corretto taglia-fuori difensivo. Non è certamente da attribuire a Westbrook la maggior parte delle difficoltà in questo frangente dei Rockets, che erano molto inferiori per taglia all’avversaria, ma sicuramente se a questa già presenta ed inevitabile inferiorità, si va ad aggiungere distrazione, il risultato non può che essere deleterio.

 

Nella prima di queste azioni si nota infatti come Westbrook, dopo un tardivo ritorno difensivo si accoppi con Markieff Morris, salvo poi addormentarsi totalmente e permettere un facile taglio, premiato poi dalla bella palla di LeBron James. Successivamente vediamo invece un mancato taglia-fuori sul cambio che, ancora una volta, regala a Kuzma una semplicissima schiacciata al volo nel deserto. Ancora, nel terzo filmato guardiamo invece come, ancora su un cambio automatico, Russell si perda Caruso che si muove verso il pallone, senza nemmeno la necessità di blocco, ancora una volta un errore di distrazione, ancora una volta un tiro gratis, ancora una volta punti per gli avversari.

Questi sono un tipo di errori che, specie in una semifinale della Western Conference contro la testa di serie numero 1, non ci si può permettere con tanta leggerezza, pena il pagarli molto caramente.

Le problematiche difensive non sono comunque state limitate alla sola gara 2 e anzi, hanno costellato la serie rappresentando, ben più dei supra-citati grattacapi offensivi, la vera problematica delle prestazioni dell’ex MVP, con un susseguirsi di situazioni come quelle appena descritte, alternate a situazioni di cattiva comunicazione o ancora di cambi non eseguiti in modo corretto. Da questo punto di vista, va detto, può peraltro aver anche influito l’interruzione della stagione e la conseguente mancanza di continuità data ad una squadra che, nella conformazione finale, ha giocato solamente una decina di partite o poco più.

Per una difesa basata fortemente sull’heavy-switch come quella dei Rockets la familiarità con il sistema è fondamentale perché, se è vero che ti permette di “pensare” meno, è altresì vero che richiede una continua e perpetua attenzione anche ai minimi dettagli in determinate situazioni. La difesa di Houston è infatti predicata su dei concetti semplici ma dell’esecuzione complessa, prevede infatti delle minime variazioni sullo spartito in relazione ad alcune scelte dell’attacco, come per esempio l’angolo di esecuzione di un blocco o la posizione della palla nello spazio in relazione a quella del tagliante.

 

Conclusione

Alla luce di quanto appena esposto mi sono trovato nella condizione di fare una riflessione di portata più ampia, prendendo in esame il giocatore Russell Westbrook nella sua interezza.

Risulta davvero possibile, per una squadra che voglia portarsi a casa il Larry O’Brien Trophy, una contender dunque, avere nel proprio roster, con un ruolo di primo piano (ruolo che è inevitabile nel momento in cui investi 40+M a stagione e dunque 35+ minuti a partita), un giocatore con tali e tanti evidenti limiti? 

Io credo che la risposta sia inequivocabilmente no, e troppe e consecutive sono le evidenze a supporto di questa tesi che troverei davvero complessa una risposta in senso avverso, o, perlomeno, la troverei un atto di fede contrario a qualsiasi analisi obiettiva. Facendo una rapida (ma anche non tanto rapida) scorsa delle serie importanti giocate da RW0 negli ultimi 7/8 anni, è evidente notare come queste difficolta siano un trend ripetuto nel tempo e non una somma disordinata di episodi randomici.

Una point-guard con vuoti nel suo gioco di questo tipo non ha più la possibilità, e non l’aveva nemmeno prima, di essere un elemento decisivo in una squadra di altissimo livello.

Questo ragionamento porta peraltro anche a chiedersi quanto la mancanza di certi elementi possa minare le ambizioni di alcuni team e quanto l’archetipo di giocatore a cui Westbrook può essere ascritto sia ancora proponibile nel basket di oggi come superstar, perché di fatto, se non è possibile per un giocatore di questo calibro, che eccelle in moltissimi altri aspetti, incidere ad alto livello, chi altro potrebbe riuscirci, portandosi dietro la zavorra di mancanze così facilmente riconoscibili e sfruttabili dal coaching staff avversario?

La risposta a questo interrogativo è più semplice di quanto sembri: si tratta semplicemente di ridimensionare il proprio ruolo. Un massimo salariale per Westbrook è al momento uno dei peggiori contratti della lega (è di questi giorni la notizia che toccherebbe ai Rockets, nel caso decidessero di lasciare andare Westbrook dopo un solo anno, fornire asset per rendere appetibile un’eventuale trade).

Ciò non vuol dire però un giocatore del genere sia del tutto inutile, anzi, è indubbio che con un ruolo minore e compiti ben precisi possa ancora fornire un apporto non indifferente anche in contesti più ambiziosi, e sono più che sicuro che tantissime squadre investirebbero cifre inferiori per Russell Westbrook, purché non sia chiamato a fornire ciò che non può e non è giusto chiedergli.

Tags: Houston RocketsLos Angeles LakersRussell Westbrook
Leonardo Pedersoli

Leonardo Pedersoli

Studente di Giurisprudenza ed istruttore Minibasket. Tifoso Knicks per autolesionismo, compenso ammirando il più grande di sempre, che mannaggia a lui poteva degnarsi di venire da noi nel 2010 ma ha preferito vincere qualcosa.

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