“Le scienze naturali, come pure le scienze sociali, partono sempre da problemi; da ciò che in qualche modo suscita la nostra meraviglia, come dicevano i filosofi greci.” scriveva Karl Popper nell’incipit di “Tutta la vita è risolvere problemi”. Anche se noi non siamo qui per “fare scienza” abbiamo sicuramente bisogno della meraviglia per continuare a parlare, a discutere e ad appassionarci alla pallacanestro.
La meraviglia in questi playoff non è mancata: ci sono state sorprese, delusioni e momenti iconici. Ripercorriamoli per ricordare chi, tra i quasi 200 giocatori scesi in campo durante la post-season, ci ha stupito maggiormente.

Donovan Mitchell
Partiamo dall’inizio, partiamo dal primo turno. Mitchell si presenta in questi playoff arrivando da un’ottima stagione e forte della sua prima partecipazione all’All Star Game, ma onestamente non mi sarei mai aspettato un rendimento così importante ai playoff.
Dopo una pazzesca Gara 1 contro Denver, probabilmente una delle gare più spettacolari di questi playoff, terminata con 57 punti, 7 assist e il 74% di TS, sono rimasto stupito da quando il tiro di Mitchell, soprattutto in situazioni di pull-up, sembrasse incredibilmente più fluido e compatto.
Come si vede nel video sopra, Mitchell ha migliorato la sua meccanica di tiro durante il periodo del lockdown: ora il suo movimento sembra più controllato e meccanico, garantendogli meno varianza e più precisione.
A conferma di quanto detto sopra, basta pensare all’assurdo miglioramento che ha avuto tra regular season e playoff in termini di percentuale (ricordandosi che 7 partite non sono un campione abbastanza ampio e che le percentuali avute in post season non saranno sostenibili). Durante la stagione Mitchell ha tirato 4 triple in pull-up a gara, convertendole con il 32%, una percentuale standard, sicuramente non alta considerando che a lui non sono riservate le stesse attenzioni che vengono riservate a tiratori più mortiferi dal palleggio.
Durante la serie contro i Nuggets il numero di tentativi in questa situazione è quasi raddoppiato, arrivando a 7.3 a gara, e la percentuale è esplosa (51%).
Se non ci fosse stato un chiaro miglioramento visivo nella meccanica di tiro staremmo parlando esclusivamente di un periodo “divino”, ma qui c’è qualcosa di più ed è qualcosa che dovrebbe far ben sperare i tifosi Jazz.
Il secondo aspetto del gioco di Mitchell che mi ha colpito durante i playoff è stata la capacità di leggere le situazioni sul pick&roll per punire costantemente le scelte della difesa. Dirò la verità, i Jazz non sono stati la squadra che ho seguito di più durante la regular season, ma la maturità che il prodotto di Lousville ha raggiunto in questi playoff mi è sembrata molto incoraggiante.
In questo articolo il nostro Alexandros Moussas analizza Gara 1 della serie e pone, giustamente, l’accento su una situazione che potrebbe essere un problema durante tutta la carriera di Mitchell: la gestione del raddoppio.
Questa situazione tattica è un dilemma per buona parte dei grandi creatori NBA, soprattutto per giocatori non molto alti e che non sono passatori d’élite come Mitchell. Essendo alto solo 1.90m, la stella degli Utah Jazz fatica a vedere sopra la testa degli avversari e quindi è più complicato per lui trovare lo scarico una volta che arrivato il raddoppio.
Questo suo limite è emerso in gara 7 dove ha perso ben 9 palloni.
La cosa che mi ha colpito, però, è che ha adottato, per eludere il raddoppio, un approccio simile a quello di Curry: leggere la situazione e togliersi la palla dalle mani prima che il raddoppio ti metta in difficoltà.
C’è da dire che Denver ha avuto ben poche occasioni di raddoppiare Mitchell viste le spaziature dei Jazz, preferendo, quindi, attenderlo al ferro.
Ovviamente quanto visto nella bolla non può essere lo standard: proprio per questo ho preferito approfondire i miglioramenti, piuttosto che citare inizialmente i numeri. Ora però è arrivato il momento: 36 punti, 5 assist e 5 rimbalzi con il 70% di TS e il 51% da 3 punti. Questo è sicuramente ciò che ci ha stupito di più.
Luguentz Dort
Chi si sarebbe aspettato che un rookie di 20 anni che ha giocato solo 36 partite di regular season sarebbe stato l’ago della bilancia in una serie playoff tirata come quella tra Rockets e Thunder? Chi si sarebbe aspettato che fosse l’unico giocatore, negli ultimi anni, a riuscire a limitare James Harden in single coverage? I motivi per cui Luguentz Dort ha stupito sono semplici: difesa incredibile e nessuna paura di prendersi il tiro, malgrado le scarse percentuali in attacco.
Harden nella serie ha viaggiato a 30 punti e 8 assist con il 62% di TS; marcato da Dort ha tirato invece con solo il 31% dal campo (17 su 54). Il secondo giocatore contro cui ha più possessi giocati durante questi playoff è stato Dennis Schroder, contro cui ha tirato 17/28. Poi Danny Green, nella serie successiva, contro cui ha tirato 11/18. Persino contro Anthony Davis ha tirato 7/11.
Dall’altra parte del campo, ciò che ha stupito, è l’attitudine di Dort al tiro. Durante le 6 partite giocate nella serie contro i Rockets il prodotto di Arizona State ha tirato 50 triple, segnandone 13. Una percentuale pessima, ma che dimostra la costanza e la perseveranza di Dort nel tirare quando non era marcato.
Come si vede nella clip Harden si rifiutava di fare un close up su di lui, molto probabilmente per sfidarlo, costringerlo a tirare per fargli perdere fiducia, ma Dort non ha mai desistito esplodendo in Gara 7 con 30 punti e 6/12 da 3 punti.
Purtroppo questa bella favola si è conclusa nel peggiore dei modi per lui, che è stato stoppato dal suo diretto rivale, James Harden, al termine di una pazza gara 7.
Il ragazzo continuerà ad essere una certezza in difesa ma i dubbi sul suo tiro sono legittimi e difficilmente colmabili. Solo il futuro ci farà capire se Dort potrà essere davvero un game changer.
Jerami Grant
Passiamo ad uno dei giocatori che più mi ha sorpreso in questi playoff ma in cui nutrivo profonda fiducia.
Durante la prima serie ha patito molto il dover difendere su un attaccante rapido come Mitchell. Grant non è adatto a marcare point guard rapide e a passare dietro i blocchi perché fisicamente è molto lungo, ma era comunque la miglior scelta per i Nuggets. Quando è stato utilizzato lontano dalla palla e ha potuto fare roaming ha dimostrato il suo vero potenziale da difensore e ci ha dato un assaggio di ciò che ci avrebbe fatto vedere nelle serie successive.
In attacco ha dato il suo contributo segnando sugli scarichi e sugli assist di Jokić, riuscendo a segnare 11 punti con il 41% dalla lunga distanza.
Nella serie contro i Clippers Jerami ha faticato tantissimo offensivamente ma, malgrado ciò, è stato un elemento fondamentale per consentire ai Nuggets di spuntarla nel confronto con i Clippers.
Finalmente non ha più dovuto marcare un giocatore con le caratteristiche di Donovan Mitchell, ma si è dovuto occupare di un giocatore che, per caratteristiche fisiche e stile di gioco, è più nelle sue corde: Kawhi Leonard.
É stato anche il terzo miglior stoppatore della serie, subito dopo a Nikola Jokić e Kawhi Leonard.
Nelle Western Conference Finals, contro i Lakers, è definitivamente esploso offensivamente. Malgrado il tiro non entrasse come nella serie contro i Jazz, è riuscito a far registrare 16 punti a partita ergendosi a terzo violino offensivo della sua squadra.
Ha avuto difficoltà, sia nella serie contro i Clippers che nella serie contro i Lakers, a creare per se stesso quando mancavano pochi secondi sul cronometro; nonostante questo, nelle Western Conference Finals ha dimostrato di potersi creare un tiro se messo nelle giuste condizioni.
Insomma, Jerami è stato assolutamente un fattore sia in attacco che in difesa. É stato uno dei motivi che ha portato i Nuggets a competere per il titolo di conference ed è stato sicuramente uno dei giocatori più sorprendenti.
Come tutti sappiamo Jerami Grant ha intenzione di rifiutare la player option da 9 milioni, una scelta che, dopo questi playoff, sembra essere corretta. Sarà curioso capire se resterà a Denver o si accaserà altrove e soprattutto sarà interessante capire le cifre con cui riuscirà a strappare un contratto.
Jamal Murray
Non so nemmeno da dove iniziare per parlare della sua postseason. I suoi playoff sono stati totalmente fuori da ogni logica. Probabilmente è il giocatore che più ha sorpreso della squadra rivelazione della bolla di Orlando.
Andiamo in ordine cronologico, partendo dalla serie contro gli Utah Jazz. Come ho già scritto precedentemente nel capitolo dedicato a Mitchell, la serie è stata folle grazie alle prestazioni balistiche eccezionali dei due amici: Murray e il precedentemente citato Mitchell.
Mitchell and Murray hug it out after wild Game 7 ending https://t.co/wrxVo2PhEW
— Matthew Allan (@Besses) September 2, 2020
Durante le 7 gare della serie Murray ha tirato 8.6 triple a gara convertendole con un sontuoso 53.3%. Quello che ha stupito, però, è stata la sua incredibile capacità di andare al ferro.
La difesa di Utah non è mai riuscita a trovare contromisure per lo strapotere dimostrato da Murray durante le 7 gare, dimostrando di avere lo stesso problema che i Nuggets avevano nel contenere Mitchell.
Il punto più alto durante la serie, per il prodotto di Kentucky, è stato in Gara 6. Sotto 3-2 nella serie, Murray è esploso segnando 50 punti, di cui 21 nel quarto quarto, con un pazzesco 5/5 da 3 punti e 7/8 al tiro, di fatto chiudendo definitivamente la partita e forzando Gara 7.
Sconfitti i Jazz, è il turno dei Clippers. In Gara 1 si fatica, i Nuggets arrivano stanchi, i Clippers partono forte e Murray non riesce ad incidere trovandosi marcato da Leonard, George e Morris.
Da Gara 2 Murray ritorna su un livello alto, ma il tiro sembra non entrare più come entrava nella serie contro i Jazz. La gara viene subito indirizzata grazie alle ottime prestazioni di Murray e Jokić, che segnano 26 punti complessivi nel primo quarto.
Gara 3, per Murray è la copia carbone di Gara 1, tanta fatica venendo marcato bene, il tiro non entra e segna solo 14 punti con 5/17 al tiro. In Gara 5 e Gara 6 le percentuali salgono, Murray riesce ad incidere e i Nuggets vincono.
Questo breve recap l’ho scritto per arrivare a Gara 7. Questa Gara 7 è una delle partite di Murray che più mi ha colpito durante i playoff. Nel periodo di più grande difficoltà della squadra, durante il secondo quarto, Murray trascina i compagni segnando 20 dei 30 punti di squadra, con 9/12 dal campo, permettendo ai Nuggets di rimanere francobollati ai Clippers.
Come possiamo vedere in questo video di highlights, in questa gara i Clippers non sono riusciti a trovare nessuna contromisura al talento di Murray.
Nella serie contro i Lakers Murray ha smesso di stupire. Ha continuato a performare a grandi livelli (25 punti, 7.4 assist con 63% di TS), ma non in nessuna partita ha messo a referto prestazioni incredibili come nelle due serie precedenti.
Prima di abbandonare i playoff ci ha, però, regalato un’ultima incredibile giocata, da guardare e riguardare all’infinito.
Ciò che mi ha stupito, ma che al contempo mi lascia perplesso della run playoff di Murray, è la sua scarsa abilità nel conquistarsi i tiri liberi. Ha dimostrato di essere fortissimo nei circus shot, ma il circus shot non è una tipologia di tiro su cui puoi contare per standardizzare le tue prestazioni ad alto livello. La sua run playoff è di un livello altissimo, ma ciò è dovuto a prestazioni balistiche incredibili più che ad una reale capacità di giocare costantemente ad un livello così alto.
Voglio spiegarmi meglio portando l’esempio di James Harden, uno dei migliori attaccanti della lega, per far capire quanto è importante essere in grado di guadagnarsi tanti tiri liberi per essere costantemente al top in NBA. Durante gli ultimi playoff, malgrado le prestazioni assurde di Murray, James Harden ha avuto una TS% più elevata del prodotto di Kentucky. Durante la postseason Harden ha tirato con solo il 33% da 3 punti, contro il 46% di Murray, ma malgrado questo, in rapporto al numero di tiri, Harden risulta più efficace. Perché? Semplice, perché quando Harden è in serata no al tiro può comunque contare sulla sua straordinaria abilità nel guadagnarsi tiri liberi, mentre Murray non può farlo.
Il FTr di questi playoff per Murray è stato di .212, ovvero per 100 tiri dal campo presi guadagnava circa 21 tiri liberi. É un dato insufficiente per pensare di riuscire ad essere un fattore anche quando si è nella serata storta, ma dalla stella della squadra pretendi un contributo positivo anche nelle serate no. Non so se migliorerà sotto questo punto di vista, perché non ha mai mostrato segnali incoraggianti, ma ha solo 22 anni, tutto può succedere.
Chiudo con una piccola curiosità riportata da Crazy Stats.
Jamal Murray is averaging the most 4Q/OT points among players who advanced to the CF in the play-by-play era (since 1997):@BeMore27 – 10.06 points (2020)@swish41 – 10.00 (2011)@KingJames – 9.61 (2009)
— Crazy Stats (@NBAcrazystats) September 25, 2020
Michael Jordan – 9.57 (1997)@kobebryant – 9.47 (2008)#NBAPlayoffs pic.twitter.com/OcFooFC6Aw
Tyler Herro
Altro giro, altro prodotto di Kentucky. Vi devo fare un elenco dei giocatori di Kentucky di cui non si conosceva il reale potenziale fino a quando non hanno messo piede in NBA? Herro è stato scelto con la scelta numero 13, Devin Booker con la scelta 13, Bam Adebayo con la numero 14, Shai Gilgeous-Alexander con la numero 11. Insomma, la squadra di Coach Calipari molto probabilmente non mette in luce tutti gli aspetti del gioco dei ragazzi che forma.
La prima cosa che stupisce di Tyler Herro è la grinta, la determinazione e la fiducia nei propri mezzi che ha dimostrato durante tutti i playoff. Già durante la regular season aveva dimostrato questa propensione ma non è scontato, per un rookie, traslare quanto fatto vedere in regular season anche ai playoff.
Things Tyler Herro can’t do: Buy a beer.
— DANNY G ??? (@dr_graz) October 10, 2020
Things Tyler Herro can do: Hit game clinching free throws in a Finals elimination game. pic.twitter.com/Yj3tl53g9B
Herro non ha paura di prendersi tiri, anche quando sbaglia. Potrebbe essere un contro, ma credo che per l’attacco di Miami sia fondamentale che la difesa si preoccupi e tema il prodotto di Kentucky, in modo da avere garantite le spaziature corrette in campo.
Durante i playoff ha mostrato anche interessantissimi flash di playmaking e creation.
L’Eastern Conference Finals contro i Celtics di Tatum, Brown e Kemba Walker è stata chiusa da Herro con 19 punti, ma anche 5 assist di media a fronte di due palle perse a partita.
Durante Gara 1 ha tirato 0/3 da 3 punti fino a 3 minuti dalla fine della partita, quando ha segnato la tripla del 98-101 e poi quella del 103-105, tenendo a galla i suoi e permettendo a Jimmy Butler di forzare l’overtime.
Durante Gara 4 delle Eastern Conference Finals è letteralmente esploso mettendo a segno 37 punti segnati in ogni modo possibile, dal midrange, da 3 punti e al ferro, dimostrando di avere una sequenza di soluzioni offensive ed un’intelligenza cestistica incredibile.
Iconica, nella serie, la tripla presa in seguito alla finta sul close-out di Tatum che finisce fuori dal campo saltando.
Durante le Finals, visti i problemi ed infortuni di Dragić e Adebayo, Herro è diventato il secondo violino offensivo della squadra continuando, come in ogni partita dei playoff, ad andare in doppia doppia. Come detto precedentemente, le percentuali sono crollate durante le finals passando dal 64% di TS della serie contro Boston al 48% di TS delle Finals.
Le responsabilità sono aumentate, le attenzioni della difesa anche (viste anche le percentuali pessime di Duncan Robinson prima della straordinarai Gara 5) e, malgrado le percentuali, Herro non desiste e gioca partite fantastiche come Gara 4.
In Gara 4 gli Heat hanno avuto diverse difficoltà e Herro è stato probabilmente il migliore dei suoi, donando una speranza alla squadra con 12 dei suoi 21 punti segnati nel quarto quarto.
Con questo canestro ci teneva a dimostrare quanto talento e tocco abbia.
Parlando dei lati negativi e delle cose in cui Herro non ha ancora alzato il livello ritorna il discorso tiri liberi precedentemente affrontato con Jamal Murray.
Herro ha avuto un FTr durante questi playoff, di .202, un dato assolutamente non entusiasmante, ma da prendere con le pinze perché bisogna ricordarsi che è un rookie e che molto probabilmente migliorerà fisicamente nei prossimi anni.
Il paragone da fare per Herro è Devin Booker: entrambi giocatori di Kentucky, entrambi scelti alla 13, entrambi con un grandissimo talento offensivo. Booker già dalla sua stagione da rookie aveva FTr più confortanti (.295) rispetto a quella di Herro durante questa stagione (.158 in regular season, .202 ai playoff), ma nel corso degli anni è comunque aumentata fino a portarsi ad un ottimo .397 di questa stagione. Il miglioramento per Herro è dunque possibile.
Non so quanti di voi lo sappiano, ma Devin Booker nel corso di questo stagione è stato uno dei migliori giocatori della lega nel concludere al ferro. Fino a qualche anno fa, questo dato, sarebbe stato impensabile per un ragazzo con molto tocco, ma braccia corte e doti atletiche limitate. Questo è un altro aspetto del gioco in cui sarebbe molto importante veder migliorare Herro nel corso dei prossimi anni. Durante i playoff Herro è andato al ferro con il 43.5%, dato non entusiasmante, mentre durante la regular season la percentuale sale ad un più confortevole 56%.
Altra curiosità su Herro: è il miglior rookie di sempre per punti segnati entrando dalla panca ai playoff.
Tyler Herro has the most points in @NBA playoff history by a rookie reserve (since starts became a stat in 1970-71).
— Crazy Stats (@NBAcrazystats) September 26, 2020
@raf_tyler Herro (2020) – 228 points@manuginobili (2003) – 226
Andrew Toney (1981) – 221#NBAPlayoffs pic.twitter.com/SQdstUG4Aj
La bellezza di questi playoff è stata anche questa: sono emersi tanti ragazzi giovani che ci fanno sperare in un futuro roseo e divertente per la NBA. Alcuni avevano bisogno di confermarsi, altri di dimostrare i loro miglioramenti, altri ancora hanno dimostrato di essere dei perfetti gregari per delle squadre che punteranno a competere.
Ci hanno anche insegnato, come si può evincere da questo articolo, che determinate skill possono essere un fattore fin dalle prime stagioni in NBA, come l’essere un grande difensore sul point of attack, senza brillare nelle altre qualità cestistiche, se si viene inseriti correttamente nei meccanismi di una squadra rodata e ben allenata.