A Chicago fa freddo, certo, ma dubito che qualcuno possa mai spalancare la porta dell’ufficio di Billy Donovan gridando “Iceberg a dritta!”; precisazione necessaria visto che secondo Charles Barkley essere il coach dei Bulls è un lavoraccio poco meglio di quello del capitano del Titanic. Potrebbe sembrare così a prima vista ma il vento nella Città del Vento sta cambiando e l’arrivo di Donovan, libero da appena due settimane dopo la separazione consensuale dai Thunder di Sam Presti, ne è la prova definitiva.
A questo punto, vi aspetterete di leggere il perché – immagino – e sarà proprio quello che farete dopo che vi avrò raccontato questo aneddoto inutile: secondo alcune testimonianze il Capitano Smith, mentre il Titanic colava a picco nelle gelide acque dell’Atlantico, si sarebbe tuffato per mettere in salvo un neonato su una scialuppa, per poi arrampicarsi di nuovo a bordo del suo colossale vascello ed inabissarsi con esso. L’ho letto mentre preparavo questo articolo e quindi lo scrivo. Io non butto via il mio tempo.
La forza dei nuovi Bulls
L’aspetto che colpisce di più è che Donovan avesse deciso di lasciare i Thunder perché non interessato a far parte di un rebuilding. OKC dall’esterno pare in una situazione migliore dei Bulls, con Chris Paul sotto contratto e giovani di qualità da cui ripartire; e ripartire non dal fondo, ma da una solida apparizione ai playoffs, in cui sono stati eliminati in sette partite al primo turno dai più esperti Rockets.
Questo significa due cose: primo, che Donovan crede molto nel potenziale dei Bulls e nella possibilità di fare bene fin da subito con questo roster; secondo, che Karnišovas ed Eversley non vogliono perdere tempo ricominciando un rebuilding da zero, ma hanno intenzione di proseguire quello impostato da Paxson puntando forte su chi già c’è e sulla appetitosa free agency 2021.
Proprio in ottica free agency Donovan sembra essere superiore agli altri candidati, che prima del mancato rinnovo fra Coach Billy e OKC erano Kenny Atkinson e due assistant coach a detta di tutti pronti al grande salto: Wes Unseld Jr e Ime Udoka, che avevano già lavorato con Karnišovas ed Eversley rispettivamente a Denver e Philadelphia. Donovan aveva a suo favore l’esperienza rispetto a Unseld Jr. e Udoka, e una miglior reputazione con i giocatori rispetto ad Atkinson, che non si è certo fatto buona pubblicità rinunciando, o essendo spinto a rinunciare ad allenare Irving e Durant.
Con ogni probabilità, se non si fosse inaspettatamente liberato Donovan, il posto sarebbe stato di Unseld Jr. – sources tell The Shot – ma la nuova dirigenza ha virato decisa su una rottura con il passato, andando a prendere un coach dal nome altisonante e che non avesse rapporti precedenti con nessuno all’interno della franchigia. Cosa che non accadeva dal 2003, quando Paxson rimpiazzò il traghettatore Cartwright con Scott Skiles.

Da sottolineare, appunto, l’evidente differenza di approccio e reputazione fra la nuova dirigenza e la vecchia, che più che essere incompetente – e non lo era, i risultati parlano chiaro al netto delle difficoltà post Derrick Rose – molto semplicemente non era più al passo con i tempi. Come i 50enni che fanno i balletti su Tik Tok, 6- per l’impegno ma se evitate è meglio. Oltretutto in NBA con un 6- per l’impegno non si va da nessuna parte, se non dritti alla lottery e verso un’altra scelta numero sette, mentre l’obiettivo sarebbero i playoffs e il titolo numero sette.
Dicevamo, la differenza di approccio: appena Donovan è rientrato dalla famiglia in Florida dopo aver lasciato il suo lavoro a Oklahoma City, Karnišovas ed Eversley sono riusciti ad ottenere un colloquio prima di altre squadre di livello più alto, e sono poi riusciti anche nell’intento di convincere il fresco disoccupato a tuffarsi nella difficile impresa di riportare i Bulls ad essere una contender, complice lauta retribuzione. Questo vuol dire avere idee chiare, carta bianca dalla proprietà sulle spese e una reputazione ottima fra gli addetti ai lavori.
Chi è Coach Donovan?
Tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora è stato come una boccata di ossigeno per un ambiente divenuto tossico dopo aver visto trasformarsi in agonia e rimpianti quello che sembrava iniziato come il decennio del ritorno ai fasti degli anni ‘90. In conferenza stampa Donovan ha potuto permettersi uscite per le quali Jim Boylen sarebbe stato esposto a pubblico ludibrio, riguardo al non avere obiettivi fissi in mente ma essere più concentrato sulla crescita dei singoli e del gruppo. Una serenità ritrovata che può fare la differenza, nonostante questa sia una stagione decisiva per il trio di giocatori – Lavine, Markkanen e Dunn, se rinnoverà – arrivato nello scambio che ha dato il là al rebuilding mandando Jimmy Butler a Minneapolis.
I Bulls in Billy Donovan trovano sicuramente un allenatore solido e completo, fra i pochi coach di successo al college in grado di costruirsi un’ottima carriera fra i professionisti. In cinque anni ai Thunder, con cinque squadre dal nucleo sempre diverso, è riuscito a centrare sempre i playoffs e vincere oltre il 60% delle partite, facendo rendere al meglio le proprie stelle e adattandosi sempre ai giocatori invece di cercare di adattarli alla sua idea di basket.
Non mancano le ombre, come il 3-1 sprecato contro i Warriors nel 2016 con conseguente addio di Durant, e le quattro uscite al primo turno consecutive, risultati che hanno attirato qualche critica sul non sapersi adattare e reagire velocemente in una serie di playoffs. A sua discolpa si può sostenere che quegli Warriors erano una macchina da 73 vittorie e si salvarono in extremis grazie a un mostruoso Klay Thompson, mentre gli altri anni, al netto di un Dame Lillard leggendario, il livello dei Thunder era tutto sommato quello.

Florida Connection
Per concludere, alcuni ex-Bulls hanno speso parole di grande stima nei confronti di Donovan. Doug McDermott, che ha fatto tappa ad OKC insieme a Taj Gibson, ha lodato la capacità del coach di instaurare relazioni produttive con i propri giocatori, mostrando di essere diretto e sincero e conquistando così il rispetto dello spogliatoio a prescindere dalle scelte che inevitabilmente possono scontentare qualcuno.
Ben più interessante per i tifosi dei Bulls è invece la testimonianza di un doppio ex, “The man in the middle, from Florida, number 13… Joakim Noah!”, che ha chiamato personalmente Donovan per dargli il benvenuto in città e ha festeggiato il suo arrivo a mezzo stampa tramite K.C. Johnson di NBCS Chicago. Con questo vi saluto, lo avevo lasciato per ultimo perché sapevo che dopo la benedizione di Joakim, a un tifoso Bulls non serve sapere altro. Billy Donovan forse non sarà l’uomo giusto per vincere un anello – nessuno lo è finché non lo fa, del resto – ma è un passo, anzi un’ampia falcata, nella direzione giusta.