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La sfortunata stagione dei Pacers

Michele Laffranchi by Michele Laffranchi
12 Settembre, 2020
Reading Time: 11 mins read
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L'eliminazione degli Indiana Pacers

Copertina a cura di Francesco Villa

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Un altro sweep ha accompagnato la conclusione della stagione degli Indiana Pacers: dopo il 4-0 patito l’anno scorso contro i Boston Celtics, i gialloblu sono stati spazzati via – in maniera assai meno pronosticabile – dai Miami Heat dell’arcirivale Jimmy Butler. Un risultato impietoso, che ha evidenziato, se ce ne fosse ulteriore bisogno, i limiti di una squadra che sembra sempre sul punto di agguantare il definitivo salto di qualità ma che, per i motivi più diversi, vacilla al momento decisivo.

Per Indiana, infatti, si tratta della quinta eliminazione consecutiva al primo turno. Gli anni delle due finali di conference consecutive contro gli Heat di Lebron James paiono risalire ad ere geologiche fa. Con il senno di poi, l’infortunio tremendo di Paul George è il turning point – purtroppo in negativo – del recente passato ad Indianapolis: ad andare in frantumi, dunque, non solo la caviglia del sedicente Playoff P, ma le speranze di una franchigia, in quel momento, florida ed effervescente.

Da allora, tante cose sono cambiate. Due i fili conduttori: da un lato gli infortuni, maledetti compagni di viaggio e leit motiv che, anche quest’anno, hanno gravato inevitabilmente sul destino dei Pacers; dall’altro, la sensazione di vivere in un limbo. Una squadra, insomma, che pur avendo delle qualità, fatica ad avere una specifica identità e un’impronta riconoscibile sul parquet.

Ecco uno dei motivi che potrebbe aver spinto la società a dare il benservito a Nate McMillan dopo 4 stagioni – 183-136 il record, che diviene un misero 3-16 nei playoff -. Soprattutto spiegherebbe la volontà, secondo quanto riportato da Adrian Wojnarowski, di gettarsi su un coach come Mike D’Antoni, uomo di personalità spiccata e dallo spartito cestistico ben definito, alla ricerca d’una manovra offensiva spumeggiante. L’uomo giusto, per la dirigenza, con il quale uscire dal limbo.

Rockets coach Mike D’Antoni — in the final year of his contract — will be an Indiana target should he become available, sources tell ESPN.

— Adrian Wojnarowski (@wojespn) August 26, 2020

Ma questo, ad ogni modo, sarà il possibile futuro dei Pacers. Ad oggi, l’unica certezza è il passato recente, intriso di sfortuna e frustrazione. Come si è arrivati all’ennesimo sweep e al conseguente licenziamento del fu Mr. Sonic?

 

La Regular Season: fra rientri e infortuni

Indiana ha concluso la Regular Season con un record di 45-28 (0.616), al quarto posto ad Est. Il record contro le squadre con almeno il 60% di partite vinte diviene di 13-15: negativo, non eccessivamente, ma testimone comunque di una maggiore difficoltà a districarsi nelle gare più complicate, anche per l’assenza di un vero e proprio go to guy al quale affidarsi nel clutch time delle partite.

Victor Oladipo, che incarna alla perfezione questo ruolo, è rientrato a fine gennaio contro i Bulls, dopo aver perduto un’intero anno solare a causa di un terribile infortunio al tendine del quadricipite femorale destro. E, proprio alla prima apparizione, ha griffato una tripla d’autore per spedire la gara all’overtime:

 

Proprio dal suo recupero completo passerà, giocoforza, il futuro di Indiana: Oladipo, infatti, ha chiuso le 19 gare di RS post rientro con un minutaggio in progressiva crescita (28 minuti a serata), ma con numeri (14.5 PPG e 2.9 assist di media) e percentuali (39.4 dal campo e 31.7 da tre) che sono ben distanti da quelli cui aveva abituato i tifosi della franchigia di Indianapolis.

Il suo contratto da 21 milioni di dollari a stagione si esaurirà nel 2021: se fino al gennaio 2019 sarebbe stato impossibile immaginare i Pacers senza la sua star, ora la questione è più complessa. Maxare un giocatore reduce da un infortunio così impattante potrebbe essere rischioso, dunque il 2020/21 servirà a Oladipo sia per recuperare se stesso, sia per dimostrare agli addetti ai lavori di poter tornare il giocatore in grado di spaventare Cleveland nella post season 2018. Anche per riuscire a strappare quello che sarà, verosimilmente, il contratto più lauto della sua carriera.

Sfortuna vuole che proprio colui che i Pacers avevano firmato per sostituire Oladipo, ovvero Jeremy Lamb, abbia subito un infortunio pressoché identico a quello patito dall’ex guardia dei Magic – solo all’altro ginocchio, quello sinistro: Lamb, che stava giocando una stagione positiva a 12.5 PPG con il 45% dal campo e il 33% dall’arco, ha così dovuto, suo malgrado, concludere anzitempo la prima annata con la casacca dei Pacers. Una perdita importante, in un momento in cui Lamb stava trovando il suo equilibrio in campo e, grazie alla sua spiccata abilità nel costruire tiri dal midrange, stava contribuendo al ritmo offensivo di tutta la squadra.

 

In due delle tre lineup più calvacate della RS Lamb era presente, a testimonianza della fiducia riposta in lui da McMillan e della solidità che, sui due lati del campo, l’ex guardia di OKC offriva a coaching staff e compagni.

Come fin troppo spesso è accaduto nelle ultime stagioni, dunque, a tracciare i turning points della stagione della banda gialloblù sono stati gli infortuni: il primo, portato dietro dall’anno passato e capace di ridimensionare l’apporto di Oladipo per una stagione e mezza; il secondo, che ha messo fuori gioco uno dei barometri della squadra, nel suo momento di massima maturazione per giunta. In mezzo ci sono stati i continui acciacchi patiti da Malcolm Brogdon, giunto da Milwaukee come playmaker titolare della squadra e costretto a saltare ben 19 partite a causa di continui fastidi muscolari.

Difficile trovare continuità quando la malasorte colpisce con così puntuale perseveranza: i Pacers non sono andati oltre due mini cicli da cinque successi consecutivi, ma hanno da loro l’importante attenuante di non aver mai praticamente potuto schierare i propri talenti al completo. Nonostante questo, i Pacers sono arrivati alla bolla con il record di 39-26, quindi ed est e con la possibilità di chiudere lo stralcio rimanente di RS davanti a Miami e Philadelphia.

 

TJ Warren, il re della Bolla

L’exploit di 6 vittorie e due sole sconfitte all’interno del Disneyworld Resort di Orlando è riassumibile con un nome e un cognome: TJ Warren. L’ala piccola di Indiana, autore sino a quel momento di una stagione più che discreta – 18.7 i punti di media, che lo rendevano top scorer della squadra, viaggiando all’incirca sulla produzione di Sabonis e Brogdon – s’è letteralmente trasfigurato nel miglior scorer della bolla. Lui, che nei cinque anni di carriera vissuti fino a quel momento non aveva mai registrato due trentelli consecutivi, ha squarciato le prime tre gare con, rispettivamente, 53, 34 e 32 punti, per un irreale 63.5% dal campo.

Raffreddatosi fisiologicamente, il 26enne da North Carolina ha comunque chiuso la streak di 8 gare all’interno della bolla con 31 PPG, il 57.8% dal campo e il 52.4% dall’arco. Qui sotto potete gustare le ultime due, meravigliose triple con cui Warren ha sigillato la prima gara nella bolla, contro Phila, legittimando il soprannome di Bubble’s superstar.

 

Difficile capire a cosa sia dovuto questo assurdo exploit offensivo: da un lato, il giocare ripetutamente sullo stesso parquet potrebbe aver facilitato i meccanismi di tiro di Warren; dall’altro, l’infortunio e l’assenza di Sabonis, con l’utilizzo dell’unico lungo Turner ad aprire il campo, hanno indubbiamente facilitato le spaziature e, in questa direzione, l’ala piccola ha sicuramente avuto la possibilità di attaccare con una fluidità mai avuta altrimenti in carriera.

Questo dominio offensivo – non più ripetuto nello sweep patito contro i Miami Heat, quando Warren ha chiuso comunque una serie discreta a 20 PPG col 47% dal campo e il 36.8% da tre – dimostra che l’ex Suns ha la possibilità di ritagliarsi nel futuro di questa franchigia uno spazio importante in attacco, con l’enorme pregio di non essere un ball hog, avendo bisogno della palla in mano giusto il tempo di spedirla in fondo alla retina.

 

Sabonis alza bandiera bianca

Se TJ ha rappresentato il volto, ameno nella Bolla, di Indiana, la faccia oscura della luna ha le fattezze snelle e longilinee di Domantas Sabonis: il figlio del grande Arvydas, infatti, ha dovuto lasciare la Bolla prima ancora di cominciare a giocarvi. Il 25 luglio il centro lituano ha alzato bandiera bianca, fermato da un aggravarsi del fastidio al piede sinistro, causa fascite plantare decisamente antipatica, che lo tormentava da tempo. Sabonis, al massimo in carriera in quel momento in tutte e tre le raw stats (18.5-12.4-5, unico nella lega insieme a Giannis Antetokounmpo a vantare numeri del genere), si stava prendendo il proscenio come star della squadra, ereditando la leadership dall’altro ex OKC, Victor Oladipo.

Sabonis offriva ad Indiana duttilità, sapendosi adattare sia a giocare da ala grande insieme a Turner nella lineup iniziale, sia come centro e punto di riferimento dell’intera second unit al momento di dare spazio agli uomini di rotazione. Il suo playmaking, eccelso per un lungo, era autentico ossigeno per McMillan al momento del riposo dei giocatori in grado di costruire tiri e attacco da soli.

Sabonis è stato il giocatore, durante la RS, ad avere l’OFF RTG più alto per Indiana (109.9) e il secondo miglior NET RTG (3.1, praticamente identico a quello di Doug McDermott, che ha però quasi 800 minuti in meno rispetto al lituano). Inoltre, è l’unico giocatore ad Indianapolis con un differenziale negativo (-0.8) quando siede in panchina: con lui off court, infatti, l’OFF RTG scende ad un misero 104.8. Per dare un’idea del livello di stagnazione, solo i derelitti Warriors, ultimissimi nella lega con 104.4, fanno peggio.

Lavoro di piedi, tecnica e capacità di concludere grazie a un tocco elegante, forza fisica per spazzare via i lunghi avversari davanti al ferro: Sabonis sa, quindi, colpire nel pitturato con una miriade di soluzioni differenti. Prendiamo in esame tre spezzoni della gara giocata dai Pacers contro Minnie lo scorso 15 gennaio per dare un’idea della varietà di situazioni offensive e dell’abilità di letture in attacco di Sabonis.

Nella prima circostanza, il lungo lituano può attaccare dalla punta, in isolamento, Dieng: con due palleggi si avvicina al canestro e, grazie a una virata molto efficace, prende possesso del semicerchio. Qui manda fuori giri il centro dei TWolves con una finta classica del suo repertorio, concludendo al ferro in anticipo sul tentativo di stoppata. Un prontuario, insomma, da lungo old school.

 

Nel secondo frangente, invece, Sabonis segue la penetrazione di Holiday, prendendo posizione e sgomitando nei pressi del tabellone, per poi raccogliere piuttosto agilmente anche il rimbalzo d’attacco e, successivamente, appoggiare al ferro due punti molto comodi. A livello fisico i miglioramenti del centro lituano sono innegabili, e i 3 rimbalzi offensivi a serata – uno dei tanti career high della straordinaria stagione del figlio di Arvydas – testimoniano la volontà di lottare al massimo su ogni palla vagante.

 

Infine, un esempio dell’intelligenza e della semplicità del gioco di Sabonis. Nella clip in esame riceve da Brogdon, restituisce palla alla velocità della luce, bloccando contestualmente con vigoria. Risultato? Jumperino comodo per la PG ex Bucks e assist a referto – uno dei cinque di media a serata – per Sabonis.

 

Si può comprendere, a questo punto, il ruolo cruciale svolto da Sabonis all’interno degli equilibri dei quintetti di Indiana. Un giocatore non solo essenziale nei movimenti, ma essenziale pure nella sua imprescindibilità per il gioco di McMillan. Avvicinarsi, dunque, al primo turno dei playoff contro i Miami Heat di Spoelstra privi del proprio giocatore più funzionale non era sicuramente un biglietto da visita brillante per Indiana. L’andamento della serie, infatti, ha dimostrato tutti i limiti dei Pacers senza uno dei loro pilastri.

 

Fine dei giochi: sweep degli Heat

Il resto della stagione dei Pacers è un’amarezza ancora troppo recente per essere digerita appieno: la serie contro Miami, che sulla carta sarebbe dovuta essere assai equilibrata anche perché le due squadre si presentavano ai nastri di partenza con record praticamente identici, si conclude in tempo minimo a favore degli uomini di Spoelstra. Ritornano con beffa accentuata le parole pronunciate in passato da Dwayne Wade:

Non ci può essere una rivalità coi Pacers, vinciamo sempre noi.

Rispetto al passato, le parole di Flash sferzano il doppio, perché sembrava esserci finalmente l’occasione di giocarsela alla pari con una franchigia, come quella della Florida, che aveva inflitto sberleffi a ripetizione in passato. E, invece, lo smacco è ancor più accentuato e la ferita è ulteriormente sferzata dalle sontuose prestazioni di Jimmy Butler, a più riprese beccatosi con Warren durante la RS e simbolo di una squadra coriacea quanto talentuosa. Il basket sciorinato dagli Heat, infatti, è stato luccicante: 116 OFF RTG, 39.1 % da tre e 24 assist a serata raccontano la fluidità di un attacco semplicemente abbacinante.

Indiana ha cercato di rabberciare nel miglior modo possibile la situazione, ma i 10.5 punti di differenziale medio affrescano una serie mai cominciata veramente. Bam Adebayo ha avuto il consueto impatto all around mentre, a targhe alterne, si sono accesi i tiratori di Miami (in gara 2 Duncan Robinson, in gara 4 Tyler Herro). A cozzare contro l’apparente semplicità del fluidissimo giro palla di Miami, le difficoltà ad entrare in ritmo, invece, da parte degli attaccanti di Indiana, soprattutto nei congestionati finali di gara. Se – ad eccezione di una mirabolante gara 3 da 34 punti e 14 assist – Malcolm Brogdon ha dato l’impressione di tendere ad eccedere in palleggi, Warren e Oladipo non sono mai riusciti a trovare il loro ritmo offensivamente.

L’ex giocatore di OKC e Orlando, in particolare, non fidandosi ancora della propria esplosività, ha preferito mettere alla prova il suo tiro dall’arco: più di 8 le triple provate a serata, con un comunque positivo 36.5% dall’arco. Il problema è che un Oladipo poco aggressivo è un deterrente per tutto l’attacco. D’altronde, però, fino a metà luglio sembrava non dovesse nemmeno scendere in campo. Poi, le buone sensazioni durante gli allenamenti e la decisione di provarci a partire da gara 2. Evidentemente, però, la condizione non poteva essere quella dei tempi migliori.

Dopo l’ennesimo smacco di un limbo di risultati e gioco che pare perpetuarsi ormai da sei stagioni, il front office societario ha fatto dietro front, esonerando Nate McMillan dal ruolo di head coach giusto due settimane dopo avergli prolungato il contratto. Una decisione, ovviamente, motivata dalla delusione scaturita dal secondo sweep consecutivo, il terzo nelle ultime cinque eliminazioni subite al primo turno dei playoff. Con la sensazione che, pur avendo ottenuto record sempre positivi e aver raggiunto in tutte e quattro le stagioni la postseason, McMillan non sia riuscito a trovare mai veramente una dimensione offensiva efficace per i Pacers. La dirigenza, stufa di questo limbo, tenterà di squassare alla radice l’ambiente durante il particolarissimo autunno che attende l’NBA. Si prospettano decisioni, dunque, decisive per il futuro di una franchigia alla ricerca di una nuova identità.

Tags: Domantas SabonisIndiana PacersMalcolm Brogdonvictor Oladipo
Michele Laffranchi

Michele Laffranchi

Fagocita sport fin dalla nascita. Da anni la notte si confonde con le gare NBA, per fortuna. L’altra sua passione è la scrittura: le fonde qui per raccontare sport, la cosa più meravigliosa che ci sia. Dopo il “quick release” di Stephen Curry, ovviamente.

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